venerdì 4 agosto 2017

Napolitano dice bugie: la guerra in Libia è roba sua”. Bomba contro il paracarro. Adesso sono guai


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(Maurizio Belpietro per la Verità) – Con l’ età capita a tutti di dimenticare nomi e fatti del passato. Al

 presidente emerito Giorgio Napolitano, 92 primavere portate con una buona dose di arroganza, è però capitato addirittura di rimuovere un intero periodo storico, quello compreso fra febbraio e ottobre di sei anni fa. In un’ intervista a Repubblica, l’ ex capo dello Stato ieri ha lamentato la memoria corta degli altri.

«Io ho un ricordo che altri forse hanno cancellato», ha dichiarato stizzito con riferimento a ciò che accadde in Libia allo sbocciare delle primavere arabe. In pratica, l’ex inquilino del Quirinale nega di avere avuto un ruolo nell’intervento militare che a Tripoli depose il colonnello Muammar Gheddafi per imporre il caos. Ora, provate a digitare la seguente sequenza mentre navigate nel Web: Napolitano, Libia, 2011.

Tra i circa 199.000 risultati trovati con Google, il primo è un articolo del quotidiano La Stampa, uscito il 19 marzo del 2011 a firma di Ugo Magri, inviato ed editorialista del quotidiano torinese. Il titolo è eloquente: «Libia, Napolitano: non possiamo restare indifferenti alla repressione». Sottotitolo: «Il ruolo decisivo del Colle per superare i dubbi del premier». E ora mettete a confronto titolo e sottotitolo di sei anni fa con quello comparso ieri sulla prima pagina del quotidiano La Repubblica: «Napolitano: “Le bombe contro Gheddafi? Basta distorsioni ridicole: decise Berlusconi, non io”».

SMENTITA TARDIVA

L’ex capo dello Stato in pratica si è fatto intervistare dal quotidiano debenedettiano per smentire con sei anni di ritardo quanto scritto dalla Stampa. E nello smentire, il presidente emerito si vanta della sua memoria d’elefante. Che Giorgio Napolitano sia un elefante della politica è fuor di dubbio, ma che abbia una memoria simile a quella dei proboscidati si fa un po’ più fatica a crederlo, soprattutto se si ha cura di sfogliare le pagine dei giornali dell’ epoca.

Vediamo dunque di ripassare qualche dettaglio sfuggito ai ricordi. Cominciamo con il 22 febbraio 2011, in piena crisi libica. L’Onu ha già ammonito Gheddafi, minacciando sanzioni, ma non ha ancora votato la risoluzione che autorizza l’intervento militare. Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio già indebolito da una scissione voluta da Gianfranco Fini e ispirata da Napolitano, convoca un vertice a Palazzo Chigi da cui esce la stima dei profughi in fuga dalla Libia che potrebbero a breve sbarcare sulle nostre coste: tra i 200.000 e i 300.000.

Dunque, il Cavaliere prova a frenare, paventando un’invasione. Ma mentre il governo discute per sottrarsi alle pressioni internazionali che lo vorrebbero in prima fila e anche per evitare una crisi di governo (Umberto Bossi è dichiaratamente contrario a un intervento), a Romano Prodi, a Emma Marcegaglia (all’epoca capa degli industriali), ad Antonio Di Pietro, a Pier Luigi Bersani, a Massimo D’Alema e perfino al presidente dei vescovi, cardinal Angelo Bagnasco, prudono le mani.

PRONTI A PARTIRE

Loro non vedono l’ora di partire per la guerra di Libia. Più di tutti non vede l’ora Giorgio Napolitano, il quale lo stesso giorno dirama uno dei suoi memorabili comunicati per intimare a Gheddafi di cessare le ostilità. E il 4 marzo, prima cioè che l’ Onu voti la risoluzione che consente l’uso della forza, il capo dello Stato, intervenendo al Consiglio sui diritti umani al Palazzo Onu di Ginevra, parla di sfida al mondo da parte di Gheddafi, definendo il comportamento del dittatore una provocazione alla comunità internazionale. Non basta: il 9 marzo riunisce il consiglio supremo di difesa.

Da capo delle forze armate, nonno Giorgio ha già indossato la mimetica. La nota quirinalizia assicura che durante la riunione «sono state discusse le predisposizioni attivate per far fronte ai prevedibili sviluppi della crisi e agli eventuali rischi che ne potrebbero derivare». L’Italia dichiara anche di essere pronta a dare il suo attivo contributo e ad attuare le decisioni dell’ Onu e dell’ Alleanza atlantica. Tradotto: se volete bombardare, siamo pronti.

E così, mentre il 17 marzo l’Onu vota il via libera alla missione, Napolitano al teatro dell’Opera presiede un gabinetto di guerra. Oggi dice che decise Berlusconi, ma allora a forzare la mano a un Cavaliere riluttante fu proprio lui. Certo, decise Silvio, com’ era ovvio che fosse, dato che era il presidente del Consiglio, ma, come spiegò il 19 marzo del 2011 l’inviato della Stampa, «niente sarebbe stato possibile senza l’ intervento di Napolitano. Il suo richiamo alle decisioni difficili attese nella giornata di ieri, ma soprattutto l’ appello a valori più alti della pura realpolitik (“Non lasciamo calpestare il Risorgimento arabo”) hanno avuto l’effetto di sgomberare il campo da ostacoli su cui Berlusconi sembrava destinato a inciampare».

Del resto nei giorni seguenti al via libera alle bombe, per il presidente emerito furono ore intense, ricche di dichiarazioni. Otto aerei partono per colpire la Libia? Napolitano apre il suo ombrello e dichiara che «l’Italia non è in guerra, ma sta solo impegnandosi in un’azione autorizzata dall’Onu».

Il comando delle operazioni passa alla Nato? Re Giorgio benedice mentre stringe la mano alla delegazione guidata dalla democratica americana Nancy Pelosi. Su Tripoli continuano a cadere missili? Ma al capo dello Stato sembra di rivivere il 25 aprile della sua gioventù e infatti, celebrando l’anniversario della Liberazione, giustifica l’ operazione militare.

LE «DISTORSIONI»

Il nonno della Repubblica oggi nega di avere avuto responsabilità e parla di ridicole distorsioni? Leggete che cosa scriveva l’Avvenire il 27 aprile di sei anni fa. Titolo: «La copertura del Colle. Raid in Libia, il via libera di Napolitano». L’ articolo comincia così: «Ancora una volta Napolitano ci mette la faccia». E continua in questo modo: «Fa intendere di essere pienamente informato e consenziente: la linea che si sta seguendo, spiega il Colle, è quella «fissata nel consiglio superiore di Difesa da me presieduto».

Le virgolette non sono mie, ma del quotidiano dei vescovi, che riferisce un discorso diretto. Sei anni fa Napolitano parlava in prima persona delle decisioni prese, oggi però ha dimenticato e butta la croce del disastro libico addosso a Berlusconi: fu lui a decidere. Non so se, come dice Matteo Salvini, l’ ex capo dello Stato vada processato, ma sono certo che oggi dovrebbe almeno tacere e non cercare di cambiare la storia.

La guerra, per quanto riguarda l’ Italia, non solo la volle lui, ma fu lui a spingere la sinistra a sostenere l’ intervento. È per questo che uno storico e studioso dell’ Africa come Angelo Del Boca disse, nel 2015, di non poterlo perdonare. Per quanto riguarda noi, invece, non lo possiamo più sopportare.

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