martedì 18 giugno 2019

Giorgia Meloni mente sul finanziamento pubblico ai partiti: ecco il video che la sbugiarda. DIFFONDETE



«Meloni mente sul finanziamento pubblico ai partiti. Meloni mente, ha sempre mentito. Dice di combattere l’austerità europea, ma ha votato la riforma costituzionale pro austerità di Monti. Dice di difendere i pensionati, ma ha votato la Legge Fornero. Dice di difendere lo stato sociale, ma poi ha votato i tagli a scuola e sanità».

Lo scrivono i Cinque Stelle su Facebook.

«Adesso dice di non aver mai presentato una legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Peccato che la legge con la sua firma sia stata depositata il 23 marzo 2018 e che pochi giorni fa Rampelli di Fratelli d’Italia abbia ribadito di voler reintrodurre il finanziamento pubblico. Abbiamo le prove documentate,» spiegano i pentastellati.

«La Meloni sa solo mentire. Ha detto che il Reddito di Cittadinanza va ai condannati e ai terroristi. È falso! Chiunque lo può verificare, è scritto nero su bianco nella legge. Meloni la deve smettere di dire bugie. Dica piuttosto perché ha REGALATO 3.000.000€ DEGLI ITALIANI A RADIO RADICALE. Ci risponderà?» concludono.

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Salario minimo, Travaglio umilia il sindacalista Landini in diretta tv: "Voi sindacati non vi cap



«STOP SFRUTTAMENTO DEI LAVORATORI! Il salario minimo è un provvedimento fondamentale che porteremo a casa nelle prossime settimane. Mai più paghe da 2-3 euro l’ora, questa vergogna deve finire! Secondo voi i sindacati continueranno ad opporsi?».

Così il Movimento 5 Stelle su Facebook condividendo il video di un intervento del direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, a Otto e Mezzo, su La7.

Il giornalista sostiene che «il primo tavolo interessante tra il governo e i sindacati sarà quello sul salario minimo». Ci sono due proposte in questo momento – ha spiegato Travaglio – «una proposta del M5s e una del Pd, e io non ho capito il ruolo del sindacato. Perché se uno gioca le due proposte, la proposta dei 5Stelle è in assoluto quella più vicina, rispetto alla proposta che da sempre portava il sindacato».

«Adesso» ha proseguito Travaglio «non si capisce per quale motivo il sindacato ha tante riserve mentali rispetto a una proposta di legge che è abbastanza normale: contrattazione nazionale, ma clausola di salvaguardia che non consenta a nessuno di pagare un dipendente meno di 9 euro lordi. Già il fatto che crei problemi, anche con le proteste degli imprenditori, stabilire che non si può pagare nessuno meno di 9 euro lordi all’ora, e che qualcuno abbia protestato perché il reddito di cittadinanza è più alto della retribuzione di milioni di persone che addirittura guadagnano da lavoratori dipendenti meno di 800 euro al mese, beh la dice lunga sulla difficoltà che abbiamo e sulla necessità che il sindacato e il governo si mettano lì a varare questo provvedimento che a me sembra veramente il minimo sindacale».

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Il Governo se ne frega della sanzione UE: avanti con taglio tasse per imprese e famiglie e via cuneo fiscale



Lo dice Matteo Salvini dagli Stati Uniti. Lo ribadisca Luigi Di Maio a Roma. Non c’è procedura d’infrazione Ue che tenga: il taglio delle tasse è nel Contratto di Governo e deve essere fatto con la prossima Legge di Bilancio. Senza se e senza ma. Nel giorno in cui il leader della Lega apre la visita a Washington, assicurando che “l’Italia vuole tornare ad essere il primo partner, il partner più importante nel continente europeo per la più grande democrazia occidentale” – come parlare a nuora (l’amministrazione Trump) perché suocera intenda (la Commissione europea) – e spinge per una “Manovra trumpiana”, il capo politico M5S, dopo aver riunito la squadra dei ministri pentastellati, conferma “la compattezza del gruppo sulle priorità del Movimento, che sono tre: l’abbassamento delle tasse, il salario minimo e il conflitto di interesse”. Insomma, un indirizzo politico chiaro con qualche sfumatura.

FRONTE COMUNE. Quasi un promemoria per il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Giovanni Tria, impegnati in queste ore nella delicata trattativa con la Commissione europea (leggi pezzo a pagina 3) nel tentativo di scongiurare la procedura d’infrazione per eccesso di debito che Bruxelles potrebbe raccomandare in via definitiva (dopo averla già avviata nei giorni scorsi) al Consiglio europeo e sulla quale deciderà, a maggioranza, l’Ecofin del 20-21 giugno prossimi. “L’ostinazione dell’Ue sui vincoli, sull’austerità non aiuta. Per questo ci apprestiamo a trattare con l’Unione europea da pari a pari senza timori reverenziali”, taglia corto Salvini, in un punto stampa organizzato a Washington, dove come detto si trova in visita istituzionale. “Possiamo decidere come modularla negli anni, ma un taglio delle tasse ci deve essere assolutamente – aveva, del resto, già ribadito alla vigilia della missione -. Convinceremo la Ue con i numeri, la cortesia, altrimenti le tasse le taglieremo lo stesso, e la Ue se ne farà una ragione”. Insomma, avverte Salvini, i margini per “la flat tax ci devono essere. Non è una scelta. Poi si può decidere come modularla negli anni, ma un taglio delle tasse, non per tutti ma per tanti, dovrà essere presente nella prossima manovra economica”.

SGRAVI FISCALI. Trovando sponda, sia pur con qualche distinguo, in Di Maio. Che ieri a Palazzo ha riunito i ministri Cinque Stelle per tracciare la linea. Un incontro convocato dal leader M5S, dopo i colloqui avuti sia con lo stesso Salvini sia con il premier Conte. “La Flat tax si farà e sarà rivolta al ceto medio. L’abbassamento delle tasse è indispensabile e vogliamo rilanciare la nostra economia. Quindi su questo punto avanti come un treno”, taglia corto il vicepremier Di Maio al termine del vertice con la squadra dei ministri pentastellati. Mettendo sul tavolo anche un’ulteriore proposta. Durante l’incontro per approfondire i termini della proposta sul salario minimo, che si rivolge a una platea Di circa 4 milioni di italiani, il ministro del Lavoro ha messo sul tavolo una prima proposta di riduzione del cuneo fiscale da inserire nella prossima legge di bilancio. “Bisogna restituire dignità a milioni di lavoratori sottopagati, ma al contempo occorre aiutare anche le imprese uccise dalle tasse”, chiarisce Di Maio, agganciando l’iter delle due proposte (salario minimo e taglio del cuneo). Un modo per blindare soprattutto la prima dopo le riserve sollevate dalla Lega circa l’opportunità di applicare il tetto legale minimo orario indiscriminatamente a tutte le tipologie di lavoro. Quanto ai chiarimenti richiesta da Bruxelles al Governo (il termine scade venerdì), la lettera non partirà prima di domani sera. Quando, al rientro di Salvini dagli Usa, ci sarà un vertice a tre con Conte e Di Maio.

venerdì 14 giugno 2019

Finalmente un Governo che pensa ai terremotati, con lo Sblocca Cantieri si rialzano i luoghi colpiti



Con 259 sì, 75 voti contrari e 45 astenuti, l’aula della Camera ha dato il via libera definitivo al decreto sblocca-cantieri. Il provvedimento, su cui il Governo ha posto la fiducia, diventa così legge. “Dopo un intenso lavoro del Governo e del Parlamento – ha commentato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sulla sua pagina Facebook – il decreto Sblocca-cantieri è legge. Grazie a tutti i Parlamentari che hanno contribuito a questo risultato. Ora siamo nella condizione di accelerare sul completamento delle opere infrastrutturali e sui cantieri ancora aperti. Inoltre diamo una prima importante risposta per le zone terremotate‬”.

La sblocca cantieri contiene anche la riforma del Codice degli appalti, le norme sui commissari straordinari per le opere prioritarie, nuovi aiuti per le zone colpite dai terremoti degli ultimi anni e le telecamere negli asili e nelle strutture per anziani. Tra le novità: l’affidamento del subappalto non potrà superare il 40% dell’importo complessivo del contratto di lavori. Il limite è stato abbassato rispetto al 50% previsto dal testo originario del decreto ma comunque alzato rispetto al 30% del Codice degli appalti.

La legge sospende fino al 20 dicembre 2020 l’obbligo per i Comuni non capoluogo di fare gare attraverso le stazioni appaltanti. E’, inoltre, congelato per due anni il divieto del ricorso all’affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione dei lavori. Tra i 40 e i 150 mila euro è previsto un affidamento diretto previa consultazione di tre operatori. Tra i 150 mila e i 350 si prevede una procedura negoziata con la consultazione di almeno 10 operatori, che diventano 15 fino a un milione. Lo sblocca-cantieri prevede anche che il via libera all’eventuale cessazione anticipata di una concessione autostradale passi attraverso il vaglio della Corte dei Conti, in modo da escludere la colpa grave del dirigente. Arrivano i commissari straordinari per il completamento del Mose e per il Gran Sasso.

La legge finanzia, con un fondo di 160 milioni di euro, l’installazione di telecamere nelle scuole dell’infanzia statali e paritarie e nelle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali. Spostato dal 15 maggio al 10 luglio il termine per iniziare l’esecuzione dei lavori per i piccoli comuni che abbiano avviato la progettazione per gli investimenti per la messa in sicurezza di scuole, strade, edifici pubblici. Per garantire la cantierizzazione celere delle opere pubbliche arriva dal primo settembre 2019 una società ad hoc con capitale sociale di 10 milioni di euro.

La denuncia dei materiali e sistemi costruttivi utilizzati dal costruttore allo sportello unico può avvenire anche tramite Pec. Inoltre il Mit può autorizzare altri laboratori, oltre quelli ufficiali, per prove e controlli sui materiali. Ci sono le coperture per garantire la continuità scolastica anche laddove il numero degli alunni risulta inferiore alla soglia minima. Un nuovo sistema di comunicazione di emergenza per tutte le calamità, It-alert, invierà in tempo reale messaggi a tutti i telefonini presenti nelle aree interessate. Dal primo gennaio 2020, la società Sport e Salute (l’ex Coni servizi), ha la qualifica di centrale di committenza per gli appalti pubblici per le scelte di politica pubblica sportiva. Alle Regioni la competenza per le autorizzazioni agli impianti volti al trattamento dei rifiuti, il cosiddetto ‘end of waste’.

"Un lavoro mai fatto prima". Capolavoro Raggi, stanziati 60 milioni per la manutenzione delle strade di Roma. Silenzio tombale dei media



“Nei prossimi due anni oltre 60 milioni di euro saranno dedicati alla manutenzione ordinaria delle strade di Roma. Abbiamo avviato un nuovo modello di gestione delle vie della grande viabilità che prevede un sistema integrato di servizi e lavori attivi h24”. E’ quanto ha annunciato, con un post sulla sua pagina Facebook, la sindaca di Roma, Virginia Raggi.

“Si tratta del primo grande ed organico investimento realizzato per la rete stradale di Grande Viabilità della Capitale – prosegue la sindaca – che raccoglie ed armonizza in un sistema unico e coordinato attività diverse quali la sorveglianza non solo di strade ma anche di ponti e gallerie, l’attivazione di un call center tecnico, l’esecuzione di un monitoraggio puntuale svolto con strumenti ad alto rendimento tecnologico e la programmazione e gestione informatizzata del pronto intervento e della manutenzione ordinaria”.

“Le forze in campo sono consistenti: almeno 9 automezzi sono dedicati h24 alle attività di sorveglianza – conclude Raggi – mentre almeno 48 squadre di operai e mezzi sono sempre pronte ad intervenire nelle emergenze oppure a effettuare ripristini stradali in ordinaria manutenzione. In sintesi, Roma Capitale, per i suoi 800 Km di strade di Grande Viabilità e relativi 11 milioni di mq di area stradale, si accinge ad investire una cifra, comparativamente, pari a quasi il doppio della media di altre città capoluogo italiane. Un lavoro mai fatto prima d’ora”.

"Ma le regole valgono solo per l’Italia?". Conte annuncia la lettera di risposta ai parassiti di Bruxelles che vogliono massacrare gli italiani



“La lettera è quasi pronta, la stiamo rivedendo”. E’ quanto ha detto il premier, Giuseppe Conte, parlando della risposta ai rilievi della Commissione che Roma invierà nelle prossime ore. “Non abbiamo bisogno di misure correttive. I nostri fatti – ha aggiunto il presidente del Consiglio al suo arrivo al summit dei Paesi del sud d’Europa di Malta – e le nostre azioni sono scritti nei nostri bilanci, nei conti e nelle nostre entrate. Quindi i fatti ci sono”. Parlando della nomina del successore di Mario Draghi alla Bce, Conte ha detto che chiederà “che ci sia maggiore coesione” aggiungendo che gli Stati membri dell’Europa del nord “sono coesi” mentre i paesi del Mediterraneo a volte rischiano di dividersi. Da qui la necessità di fare fronte comune sulle nomine.

Taglio costi politica. Il M5S azzera gli sprechi alla Camera, al Senato la Lega invece li aumenta



Il dato è emblematico: se per il 2019 la Camera dei Deputati, presieduta da Roberto Fico, prevede di spendere circa 10 milioni in meno rispetto all’anno precedente, a Palazzo Madama la musica pare non cambiare affatto. Anzi: anche se lievemente, i conti peggiorano. Stando alla prima bozza di bilancio di previsione passato al vaglio del Consiglio di presidenza – che La Notizia ha potuto visionare – il Senato costerà quest’anno 544 milioni di euro, rispetto ai 539 previsti nel 2018. Cinque milioni in più che, come specificato nella relazione dei Questori, sono imputabili alle “spese derivanti dallo sblocco del turn-over” e, dunque, ai prossimi concorsi per rimpiazzare una fetta di dipendenti prossimi alla pensione. Il capitolo relativo al trattamento del personale, infatti, sale da 98,7 milioni a 103,7.

Non a caso, circa una settimana fa, una nota annunciava che “il Presidente è stato autorizzato ad indire i concorsi per le varie categorie dei dipendenti di Palazzo Madama il cui personale risulta attualmente sotto organico”. Oggi, in effetti, il Senato conta 649 dipendenti, a fronte di una pianta organica che dovrebbe oscillare tra 977 e 1.254 unità. Qui troverebbero, dunque, giustificazione i 5 milioni in più di spesa previsti per il personale. Secondo quanto risulta al nostro giornale, per stabilire quante persone assumere e in che ruolo, partirà prima un’analisi del fabbisogno che si concluderà il 30 luglio; i risultati verranno sottoposti poi ai sindacati e infine portati in Consiglio di presidenza.

Resta, però, curioso che, mentre la Camera riduce la spesa, il Senato a gestione Maria Elisabetta Alberti Casellati, ma a maggioranza gialloverde, muove in controtendenza. L’abbiamo visto anche con i vitalizi: il taglio al Senato è avvenuto tre mesi dopo rispetto alla Camera. E, a tal proposito, anche in questo caso – specifica la relazione – “i risparmi dovuti all’applicazione della riforma del calcolo dei vitalizi sono stati lasciati in un apposito fondo, istituito prudenzialmente fino alla fine dell’iter processuale in corso”. E così, i 22,2 milioni ‘risparmiati’ grazie al taglio dei degli assegni degli ex, per ora restano a bilancio seppure inutilizzati.

LA LISTA DELLA SPESA. C’è da dire che, secondo quanto risulta al nostro giornale, rispetto alla prima bozza, alcune voci sono state lievemente modificate, senza però intaccare il saldo finale, che resterebbe di 544 milioni tondi. Andiamo allora a vedere come si arriva a tale esborso. Partiamo dai senatori: tra indennità e rimborsi per l’attività parlamentare anche nel 2019 bruceremo 80 milioni di euro. Ancora di più ci costerà il personale per cui, come detto, quest’anno supereremo i 100 milioni di euro. Ai gruppi parlamentari, invece, andranno circa 22 milioni di euro. Ci sono, poi, le altre canoniche spese di funzionamento, a cominciare dal cerimoniale che, esattamente come l’anno scorso, costerà poco meno di 2 milioni di euro.

Più o meno il doppio, invece, se ne andrà per “studi, ricerche, documentazione e informazione”, cui si aggiunge un’importante comunicazione istituzionale: circa 5 milioni di euro tra atti parlamentari, servizi televisivi e “attività di promozione”. Non potevano poi mancare la ristorazione (1,7 milioni) e i servizi di pulizia e facchinaggio (oltre 5 milioni). A chiudere il cerchio, una serie di contributi che Palazzo Madama garantisce – per un totale di circa 1,2 milioni – a fondazioni, organizzazioni internazionali, istituti e “per l’acquisto del magazzino del Senato”. Giusto per non farsi mancare nulla.

Riceviamo e pubblichiamo

In merito a quanto riportato dall’articolo pubblicato oggi su La Notizia precisiamo che le informazioni riportate non corrispondono al vero. Dal 2010 al 2019 la spesa previsionale del Senato si è costantemente ridotta e, come si evince dalla relazione tecnica al Bilancio, ulteriori risparmi sono stimabili, solo per il 2019, in un importo pari a 12 milioni di euro. L’opera di razionalizzazione della spesa del Senato si evince sia dal Bilancio di previsione sia dal Rendiconto delle entrate e delle spese. Il rendiconto, dal 2012, si è ridotto costantemente, anno dopo anno, in termini percentuali dell’11%, senza tenere conto dei riflessi inflazionistici. In parallelo, se guardiamo al Bilancio di previsione la spesa si è costantemente ridotta dal 2010 al 2019 per un importo pari all’8,5%. L’incremento di 5 milioni dovuti allo sblocco del turn over va inquadrato in un contesto di carenza di personale rispetto a quanto previsto dalla pianta organica. Va dunque sottolineato che il Senato ha costantemente proseguito nell’azione di razionalizzazione delle risorse e a dimostrarlo sono le cifre: 255 milioni di euro di risparmi – che potranno essere utilizzati per altre finalità di pubblico di interesse – ottenuti dal 2012 ad oggi. Il rapporto tra il Bilancio di Palazzo Madama e il Bilancio dello Stato si è costantemente ridotto passando dallo 0,083 del 2006 allo 0,056 del 2018. In merito alla rideterminazione degli assegni vitalizi, si precisa: la delibera dell’Ufficio di presidenza della Camera è datata 12 luglio 2018; il Consiglio di presidenza del Senato ha adottato un analogo provvedimento il 16 ottobre 2018, nonostante questa sfasatura temporale nell’adozione dei provvedimenti, la decorrenza della rideterminazione dei vitalizi è stata perfettamente allineata all’1 gennaio 2019, analogamente a quanto fatto dalla Camera.
Antonio De Poli, questore del Senato



Prendiamo atto delle precisazioni del senatore De Poli, che tuttavia non smentiscono né contraddicono nulla di quanto scritto da La Notizia: nel 2019, considerati i risparmi, il Senato prevede di spendere 544 milioni di euro, 5 in più rispetto al 2018, esattamente come riportato nell’articolo. Quanto all’incremento di 5 milioni della spesa per il personale dovuto allo sblocco del turn over, il senatore De Poli non fa che confermare quanto da noi scritto. Infine, in relazione alle delibere che hanno introdotto il ricalcolo contributivo dei vitalizi, ci riferivamo, evidentemente, ai tre mesi di scarto intercorsi tra l’approvazione del provvedimento alla Camera e al Senato. Fermo restando che gli effetti di entrambi gli interventi si sono prodotti a partire dal primo gennaio scorso. (CG)

mercoledì 12 giugno 2019

"PROCEDURA D'INFRAZIONE? SIAMO PRONTI A TUTTO" Savona, la dichiarazione di sfida ai parrucconi di Bruxelles




Il pericolo che dalla Commissione europea arrivi una sonora bocciatura alla prossima manovra di Bilancio dell’Italia è sempre dietro l’angolo. Ipotesi alla quale il ministro degli Affari europei, Paolo Savona, non vuol farsi trovare impreparato. Ospite a In mezz’ora su Raitre da Lucia Annunziata, il ministro ha detto: “Spetterà al Parlamento decidere cosa fare ma è necessario un gruppo dirigente pronto a qualsiasi evenienza”.



Le parole di Savona rievocano lo spettro del “piano B”, quell’ipotesi mai del tutto accantonata che l’Italia possa ritrovarsi costretta a prendere le distanze dall’area euro e dalle sue restrizioni. Limiti come quelli imposti dai tecnici del ministero dell’Economia, ai quali Savona manda un messaggio chiaro: “Non spetta ai tecnici decidere cosa fare, ma alla politica. I 50 miliardi ci sono, ma non vengono investiti in Italia, per questo bisogna fare delle riforme ma se convinciamo i mercati e l’Europa ci dà una mano, riusciamo a finanziare i nostri piani con i nostri soldi”.

Senatori che paghiamo anche da morti: ecco l’elenco completo censurato dalla Stampa italiana



Una volta ultimato il mandato presidenziale, il senatore a vita ha il diritto di ricevere il cosiddetto “assegno di fine mandato”. Gli eredi di Giulio Andreotti, ad esempio, hanno presentato la domanda al Senato per avere la liquidazione da Senatore a vita, nonostante gli importi siano alti, sono calcolati su


 criteri molto simili a quelli dei comuni lavoratori. Sia Andreotti che tutti gli altri senatori a vita, hanno ricevuto gli assegni di fine mandato dagli anni 50 ad oggi. Fino ad oggi sono 34 ad essere stati incassati dagli eredi alla morte del senatore. Gli eredi dei senatori dell’anno 2010 hanno ricevuto il cosiddetto “pagamento agli eredi di persona deceduta” ben 901.818,23 euro. In questo caso, nel 2010 era deceduto solo il senatore Cossiga.

Tra gli altri Senatori a vita che sono deceduti nella storia della Repubblica italiana, troviamo Leo Valiani con 17 anni di attività, Norberto Bobbio 20 anni, Eugenio Montale 14 anni, Giuseppe Saragat 17 anni, Giovanni Gronchi 16 anni e Rita Levi Montalcini con 11 anni di attività. Tra quelli con un’attività più breve si ricordano Arturo Toscanini che dopo un solo giorno si è dimesso, Trilussa con un’attività di 20 giorni, Mario Luzi e Vittorio Valletta della durata di 4 mesi e 9 mesi rispettivamente.

Inoltre, il secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione indica che il Presidente della Repubblica ha il diritto di nominare come senatori a vita, 5 cittadini che si sono impegnati per la Patria nel campo sociale, artistico, letterario e scientifico. Ad esempio, il presidente Giorgio Napolitano, durante il suo primo mandato ha nominato un solo senatore a vita scegliendo Mario Monti che a sua volta ne ha nominati quattro. Tra questi, Lorenzo Piano, Elena Cattaneo, Claudio Abbado e Carlo Rubbia durante il suo secondo mandato. Il presidente Sergio Mattarella ha scelto di nominare come senatore a vita Liliana Segre, reduce dell’Olocausto e nominata senatrice italiana a vita lo scorso 19 gennaio 2018.

La donna è sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti e ne è la testimone.

Ma quanto ci costano i senatori a vita?

I senatori che vengono nominati dal Presidente della Repubblica ci costano 21.850 euro al mese o 276.639 all’anno per ognuno. L’indennità parlamentare è di 5.219 euro al mese, alla cifra si aggiunge una diaria fissa di 129 euro e una variabile di 3.370. Ma non solo, a queste cifre vengono aggiunti i rimborsi delle spese per l’esercizio del mandato che è pari a 4.180 euro e un rimborso spese forfettario di 1.650. Pensate che sia finita qui? Vi sbagliate. Al totale di queste cifre vengono aggiunti anche i rimborsi delle spese per ragioni di servizio pari a 108 euro, un rimborso di 195 euro per la dotazione di strumenti informatici, l’assicurazione RC di 312 euro e la polizza a vita di 221 euro. Poi si aggiungono anche altre voci di spesa come i treni, gli aerei, le autostrade ecc che arrivano ad un totale di 1.651 euro al mese.


Capolavoro Conte: così il Premier adesso pretende 65 miliardi di risarcimento per le banche italiane fallite a causa dell'UE



“Bisogna procedere con cautela. E’ un precedente importante: non è da escludere un appello della Commissione ma dobbiamo trarne tutte le conseguenze politiche e giuridiche anche ad esempio sul piano risarcitorio. Mi sembra cosa buona e giusta”. E’ quanto ha detto il premier, Giuseppe Conte, annunciando l’avvio di un’azione risarcitoria verso l’Ue dopo la sentenza con cui il Tribunale Ue ha annullato la decisione di vietare l’uso dei fondi di garanzia di depositi per i salvataggi bancari.

La linea ufficiale dell’Italia, sulla stessa sentenza con cui la giustizia europea ha bocciato la decisione di Bruxelles di impedire al nostro Paese l’utilizzo del Fondo Interbancario a Tutela dei Depositi (Fitd) per il salvataggio di Banca Tercas, è aspettare i 57 giorni che restano alla Commissione per fare ricorso. Nel frattempo sono già partite le riunioni al Ministero del Tesoro per approntare le prossime mosse, che potrebbero portate il nostro Governo a chiedere alla Commissione Europea un maxi risarcimento che potrebbe sfiorare i 65 miliardi di euro.

Il motivo? Si chiama burden sharing o bail in, due principi comunitari che voglioni che siano gli azionisti e gli obbligazionisti a farsi carico del salvataggio delle banche in crisi, attraverso la riduzione del valoro dei titoli in proporio possesso o la loro conversione in capitale. Esattamente quanto è accaduto ai possessori dei titoli di Banca Etruria, CariChieti, Banca Marche, Cariferrara, Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. E per aspetti simili anche ai possessori di titoli del Monte dei Paschi di Siena.

Visto che la sentenza della Corte di Giustizia ha sostanzialmente giudicato illegittimo il divieto impostoci dalla Commissione Europea di usare il Fitd per salvare queste banche, ora i tecnici del Governo, con l’ausilio della Banca d’Italia, d’intesa con l’Associazione Bancaria Italiana (Abi) e con gli avvocati che si sono occupati della questione, stanno elaborando una strategia. Il primo problema, che sarebbe stato già in parte risolto, è quello del soggetto legittimato a chiedere il risarcimento, che è stato identificato nello Stato italiano, mentre non sembrerebbe sussitere in capo alla Banca d’Italia. L’Abi, invece, per bocca del suo presidente Antonio Patuelli, ha fatto presente che sta studiando “ogni possibilità giuridica, per chiedere e ottenere risarcimento dalla Commissione Europea”.

L’altro nodo da sciogliere è relativo alla quantificazione del risarcimento da chiedere. Infatti se si usa come parametro il valore dei titoli cancellati (azioni e obbligazioni) la cifra è di circa 24 miliardi di euro. Mentre i soldi impegnati dallo Stato per intervenire sulle banche ammontano a più di 40 miliardi. Cifre erogate con una molteplicità di strumenti la cui ricognizione completa richiederà diverse settimane visto che tra fondi, garanzie rilasciate agli istituti di credito, titoli sottoscritti dal Tesoro e contributi rilasciati a favore delle banche che si sono accollate gli istituti in difficoltà, è difficile districarsi. Senza contare che in alcuni casi i soldi spesi potrebbero tornare indietro. Quindi sarà necessario prima capire quanto è stato effettivamente sborsato e quanta parte di questi soldi si sarebbero potuti risparmiare con l’utilizzo del Fondo di Garanzia. La partita è appena iniziata e le elezioni Europee sono alle porte.

martedì 11 giugno 2019

Andrea Scanzi: "Ecco il manuale anti-M5S che va in onda in ogni talk in tv"



di Andrea Scanzi – Il Fatto Quotidiano) – Ti hanno invitato a un dibattito? A cena si parla del governo? Al bar non ti danno il cappuccino se prima non dici come la pensi su Paola Taverna? Niente paura: corri in edicola e acquista Come parlare sempre male dei 5Stelle anche se in realtà stai parlando di filosofia teoretica. Autori vari, Edizioni Carofiglio Umile, costo 180 euro (però ben spesi). È un libro irrinunciabile, che parte dall’unico assioma della politica attuale: i 5 Stelle hanno torto anche quando hanno ragione. Oppure, se preferite, “i grillini ci hanno la rogna”. È un po’ la versione nostrana del noto paradosso di Edward Lorenz: “Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?”. Oggi la frase è diventata così: “Può un ruttino di Mario Giarrusso provocare la Terza guerra mondiale?”. La risposta è “sì”, perché l’unica certezza nella vita è che i 5 Stelle sono il Male e il Pd il Bene. Ce lo ha ricordato due giorni fa a Otto e mezzo anche Alessandro De Angelis, autoproclamatosi “quirinalista” per mancanza di prove, che mentre si parlava di quel troiaio del Congresso delle Famiglie di Verona (su cui la pensa come i 5Stelle, ma non può dirlo), ha buttato la palla in tribuna dicendo che “però il M5S ha appoggiato il dl Salvini e la legge sulla legittima difesa, quindi sta uccidendo i diritti”. Tutte cose che in quel momento non c’entravano nulla, e dunque per De Angelis andavano benissimo.

Raggiungere il talento dei “sermonisti” catodici oggi di moda non è facile, ma il libro vi aiuterà a muovervi nell’agorà politica con esempi concreti. Eccone tre.

Sessismo e Toninelli.

I 5Stelle si stanno battendo per aumentare le pene sul femminicidio, varare una legge ad hoc sul revenge porne contrastare i troppi Gandolfini. Però non si può dire, perché i grillini sono – per antonomasia – omofobi e sessisti: garantiscono Cirinnà e Costantino della Gherardesca. Quindi, se qualche odioso Travaglio vi sta ricordando alcune mosse in apparenza condivisibili dei 5Stelle, voi non fidatevi. E spostate subito a caso il tema del dibattito. Tipo: “Sì, però 18 anni fa mi hanno detto che Toninelli guardò il culo di una ragazza mentre faceva la fila per comprare due etti di migliaccio in una macelleria di Crema, quindi è sessista. C’era anche Severgnini che può confermare”. Se lo direte, non mancherà una Marianna Aprile ad applaudirvi, per aggiungere poi che (testuale) “i 5Stelle hanno un’idea ancillare della donna”.

Povertà e Di Maio.

Non conta nulla che i 5Stelle abbiano varato Decreto Dignità, reddito di cittadinanza e (si spera) salario minimo, tutte cose che se le avesse fatte Zingaretti oggi Giannini lo paragonerebbe come minimo a Bordiga. Non conta: i grillini restano – per antonomasia – fascisti e schiavisti. Quindi, anche qui, dovete spostare l’attenzione. Per esempio: “Queste sono armi di distrazioni di massa della propaganda grillina. La verità è che Di Maio, quando faceva il bibitaro, una volta rubò una Zigulì allo stadio ed è stato proprio il mancato gettito di quell’acquisto a provocare la crisi mondiale”. Se poi aggiungerete che a 17 anni Di Maio trafugò pure un UniPosca in una tabaccheria di Afragola “ed è per questo che oggi mancano le coperture”, Giannini vi erigerà una statua equestre.

Corruzione e Bonafede.

La Spazzacorrotti è (più o meno) quella legge che milioni di elettori avrebbero voluto dal centrosinistra nell’infinito lasso di tempo intercorso tra il 1994 e il 2018, ma anche questo non si può dire. Quindi confutate tutto, possibilmente senza argomenti. Tipo: “La deriva giacobino-grillina è un pericolo per le libertà faticosamente conseguite col sangue dei nostri avi”. Pausa. Poi (con l’aria di un Augias che ti rivela il senso della vita): “Mio nonno era partigiano con Pertini. Fu proprio Sandro, durante i lunghi anni della prigionia, a dirgli che il problema del Paese non era il fascismo bensì Bonafede. Che non era ancora nato, ma già rompeva i coglioni”.

Cosa aspettate? Comprate il libro e, nel dubbio, date sempre la colpa ai 5Stelle: i tanti Zucconi, nel senso di Vittorio (ma forse non solo), ve ne saranno grati.

A Bari il M5S si taglia gli stipendi e regala 4 rampe ai disabili.



«#FACCIAMOSCUOLA, INAUGURATE QUATTRO RAMPE PER SUPERARE LE BARRIERE ARCHITETTONICHE, REALIZZATE GRAZIE AL TAGLIO DELLO STIPENDIO DI NOI CONSIGLIERI DEL #M5S #PUGLIA. Questa mattina ho partecipato all’inaugurazione delle quattro rampe realizzate nell’IISS Giulio Cesare di #BARI, per migliorare l’accesso al plesso scolastico, permettendo il superamento delle barriere architettoniche presenti dinanzi a vari accessi (atrio ingresso, palestra, auditorium, ulteriore ingresso) e all’uscita di emergenza».

Lo ha fatto sapere tramite Facebook la portavoce del M5S Puglia Antonella Laricchia.

«Si tratta» ha spiegato «di uno dei 26 PROGETTI finanziati IN TUTTA LA PUGLIA grazie ai 257 MILA EURO del taglio stipendi di noi Consiglieri Regionali del Movimento 5 Stelle Puglia. LA SCUOLA DEVE ESSERE ACCESSIBILE A TUTTI».

«Siamo orgogliosi che, grazie a 10 MILA EURO delle nostre restituzioni, si siano potute realizzare queste rampe. Purtroppo i gradini per ACCEDERE a un Istituto, banali per i più, possono diventare UN OSTACOLO INSORMONTABILE: lo sanno bene gli alunni disabili di tutta la Provincia di Bari, che frequentano la scuola di mattina, e gli abitanti del quartiere, che utilizzano la palestra per le attività sportive del pomeriggio,» ha aggiunto l’esponente pentastellata.

«Ho voluto dire ai ragazzi che quelle rampe non sono soltanto il risultato di UNA POLITICA CHE RINUNCIA AI suoi PRIVILEGI e dona dei soldi, di cui sente di poter fare a meno, ma anche la conseguenza di UN GRUPPO DI DOCENTI che dona il suo tempo per stilare UN PROGETTO e realizzare un dono che rende l’edificio più accessibile: sono IL SIMBOLO DI UNA SOCIETÀ CHE FUNZIONA, una società dove ognuno fa semplicemente IL PROPRIO DOVERE e magari anche qualcosina in più, per AIUTARE GLI ALTRI,» ha concluso Laricchia.


Sondaggi, il M5S rispicca il volo e sorpassa il PD! Ecco i numeri



Sorpresa! I Cinque Stelle piazzano il controsorpasso e, dopo la débâcle elettorale delle ultime Europee, sono di nuovo sopra al Pd. Almeno stando all’ultimo sondaggio Gpf Inspiring Research per La Notizia, realizzato a poco più di una settimana dal voto per il rinnovo dell’Europarlamento. E che accredita il Movimento guidato da Luigi Di Maio al 23,3%, contro il 22,7 del Partito democratico dell’era Nicola Zingaretti.

CHI SALE E CHI SCENDE. Ma come si spiega questo ribaltamento di fronte a così stretto giro da una tornata elettorale – quella delle Europee del 26 maggio scorso – che aveva visto i 5S scivolare al terzo posto proprio alle spalle dei dem? “Certamente il dato del Movimento Cinque Stelle è la vera sorpresa di quest’ultima rilevazione – conferma il presidente e amministratore delegato di Gpf, Roberto Baldassari -. Ma è un dato altrettanto facile da spiegare: il sondaggio è stato realizzato prendendo come riferimento le elezioni della Camera dei deputati e, quindi, una tornata politica, con un’affluenza del 67%, un po’ più bassa delle precedenti Politiche del 2018 ma più alta di quella registrata alle ultime Europee. Questo spiega i circa 7 punti di differenza rispetto al risultato di dieci giorni fa e il controsorpasso su un Pd che, sostanzialmente, conferma il risultato del 26 maggio scorso”. Vento in poppa, ovviamente, per la Lega, con Matteo Salvini vero vincitore insieme alla leader di FdI Giorgia Meloni dell’ultima tornata elettorale. Ma qual è stato l’effetto del verdetto per le Europee? “Uno su tutti: la maggioranza degli italiani boccia l’ipotesi di un voto anticipato: per il 54% il Governo Conte deve andare avanti”, prosegue Baldassari.

SCENARI POSSIBILI. Una percentuale che aumenta se il quesito viene rivolto esclusivamente a chi dichiara di votare M5S. “Per il 61% dell’elettorato grillino il Movimento deve restare al Governo ‘mediando’ con la Lega – spiega l’Ad di Gpf -. Rompere e tornare al voto è invece la strada indicata solo dal 32%”. Ma non è tutto. “Alla domanda ‘di chi è la colpa’ della deludente performance delle Europee, solo il 21% della base M5S risponde indicando il nome di Di Maio. Addirittura meno di quanti (il 27%) mettono sotto accusa gli altri leader del Movimento, come Di Battista, Fico, Grillo e la Raggi. Fermo restando che la maggioranza dell’elettorato grillino (il 57%), addossa genericamente la responsabilità alla dirigenza che non avrebbe fatto un’adeguata campagna elettorale sui territori”. E gli elettori della Lega? “Il 49% ritiene che il Carroccio debba rimanere nel Governo – continua Baldassari -. Mentre per il 47% dovrebbe uscirne per capitalizzare alle Politiche l’ampio consenso delle Europee”. Capitolo leader. Salgono di un punto Sergio Mattarella (“effetto 2 giugno”), Giuseppe Conte (“il pompiere della maggioranza”) e Salvini (“è il suo momento”). Addirittura di due, la Meloni. Stabile Zingaretti, mentre perdono un punto Di Maio e Silvio Berlusconi. Il leader di +Europa, Della Vedova cede il 4%.

NOTA METODOLOGICA. Vox Populi è il monitoraggio settimanale di Gpf Inspiring Research che descrive le tendenze e le opinioni degli italiani sui temi di attualità politica, economica, sociale e culturale. Audience: 836 interviste valide. Campione con estrazione casuale rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne articolato per sesso, età, professione, ampiezza centri, livello di istruzione e orientamento politico. Estensione geografica: Intero territorio nazionale. Metodologia di rilevazione: Cati-Cami-Cawi. Periodo di rilevazione: 31 maggio 2019.




Vince Di Maio! Whirpool non lascerà Napoli e non licenzierà nessuno. Silenzio tombale dei media



“Con rammarico Whirlpool Emea prende atto della dichiarazione rilasciata questa mattina a radio Rtl dal Ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, di voler revocare gli incentivi concessi e di bloccare il pagamento su quelli richiesti, pur non avendo l’Azienda mai proceduto ad alcuna disdetta dell’accordo siglato”. E’ quanto si legge in una nota della stessa azienda.

“In linea con il Piano Industriale firmato lo scorso ottobre – prosegue Whirlpool -, l’Azienda non intende procedere alla chiusura del sito di Napoli, ma è impegnata a trovare una soluzione che garantisca la continuità industriale e i massimi livelli occupazionali del sito. Whirlpool Emea riconferma la centralità dell’Italia e la volontà di continuare a lavorare con tutte le parti coinvolte per trovare una soluzione condivisa. Nel corso dell’incontro al Ministero previsto per domani, 12 giugno, ci auspichiamo di poter iniziare il percorso con le istituzioni presenti e le organizzazioni sindacali volto a risolvere la vertenza”.

“Whirlpool non ha tenuto fede ai patti e si è rimangiata la parola e dice di voler chiudere lo stabilimento di Napoli”, aveva detto questa mattina il vicepremier Luigi Di Maio annunciando la firma della “direttiva ministeriale che revoca tutti gli incentivi” concessi a Whirlpool. “Ne hanno avuti circa 50 milioni di euro dal 2014 a oggi. Se vieni in Italia e prendi i soldi dello stato – ha aggiunto Di Maio – non è che poi te ne vai e chiudi gli stabilimenti tenendo un atteggiamento contrario ai patti”.

giovedì 6 giugno 2019

Scanzi: "Con Conte per la prima volta dopo 30 anni gli italiani non si vergognano del proprio Premier"



(Andrea Scanzi) – Se volete ridere (per non piangere), rileggetevi gli epiteti con cui venne accolto Giuseppe Conte tra maggio e giugno. Neanche aveva cominciato a fare il Presidente del Consiglio, che già era stato dilaniato dalla stessa classe dirigente che – con la sua incapacità – aveva aperto la strada al Salvimaio e dalla stessa informazione che – con la sua ruffianeria – ne aveva incensato i predecessori. Conte era un millantatore, un prestanome, un incapace: un omino inutile, telecomandato come Ambra con Boncompagni. E questi erano i complimenti: di solito lo si riteneva null’altro che un mezzo deficiente, comandato per giunta da due minus habens come Salvini e Di Maio. E’ ancora il parere di chi resta turborenziano, tipologia umana che temo non potrebbe essere salvata neanche dal combinato disposto di Jung e Freud.
Era più che lecito avere dubbi su un sostanziale sconosciuto, scelto dal M5S come Ministro della Pubblica Amministrazione nell’impossibile monocolore 5 Stelle e – di colpo – catapultato in cima a un governo di per sé stravagante. Ora, però, se ci fosse un minimo di onestà intellettuale e non questo generalizzato tifo purulento di qua e di là, bisognerebbe ammettere come e quanto Conte stia stupendo: in positivo. Ne è prova ultima la risoluzione, colpevolmente tardiva ma politicamente encomiabile, del caso Sea Watch-Sea Eye. Una risoluzione (si ribadisce tardiva, e in quel ritardo c’è tutta la colpa del governo italiano e dell’Unione Europea) che dimostra non solo il talento diplomatico di Conte (e Moavero), ma pure la sua autonomia. Da mesi va avanti la nenia secondo cui, nel governo, faccia tutto Salvini. A furia di ripeterlo nei social e talkshow, è divenuto una sorta di Dogma. Ma è così vero che Salvini regni e signoreggi su Di Maio, Conte e il mondo intiero, compresa la non marginale Galassia di Andromeda? E’ vero mediaticamente ma non politicamente: a parte il Dl Sicurezza, pieno peraltro di storture, per ora di concreto Salvini si è fatto – più che altro – le pippe a manetta. Conte, reputato “prestanome” dagli stessi che celebravano Monti (noto filantropo vicino ai deboli), veneravano la Diversamente Lince di Rignano e santificavano Gentiloni dimenticandosi quel suo essere “prestanome” di Renzi, ha più volte messo all’angolo Salvini. Sulla Sea Watch, sugli inceneritori, sulla legge anticorruzione. E si spera pure su trivelle e Tav.
A settembre, in tivù, osai affermare che sul Salvimaio avevo (ho) miliardi di dubbi e certe cose mi facevano (fanno) schifo il giusto, ma che Conte era la sorpresa più positiva dell’esecutivo e che mi pareva già allora il miglior Presidente del Consiglio dai tempi di Prodi. Fui massacrato, e ovviamente il massacro arrivò dai soliti scienziati rintanati nei loro attici con vista grandangolare sul proprio ombelico. Oggi ribadisco il concetto, ben sapendo che neanche gli faccio tutto ‘sto gran complimento: anche una sogliola morta di onanismo sarebbe preferibile a Renzi.
Conte è migliorato pure nei suoi discorsi in Parlamento, dove all’inizio soffriva parecchio, e in tivù, dove – altro suo unicum – si ostina ad andare pochissimo. Le prime volte, da Floris a ridosso del voto (quando raccontò di provenire dalla sinistra) e poi ancora a DiMartedì dopo la nascita del Salvimaio, parve moscio. Idem all’esordio da Vespa, durante la quale mostrò il santino di Padre Pio a cui è devoto. Pochi giorni fa, ancora a Porta a porta, si è rivelato molto più sicuro e quasi baldanzoso (“Salvini non vuole sbarchi? Vorrà dire che li farò prendere in aereo..”). L’uomo non disdegna l’ironia. A volte esagera (“I tagli ai pensionati sono impercettibili, nemmeno L’avaro di Molière se ne accorgerebbe”) e a volte ci prende (“Chi butto dalla torre tra Renzi e Gentiloni? Renzi si è già buttato da solo…”). Sottovalutandolo (quasi) tutti oltremodo, hanno finito col rendere ancora più evidenti le sue qualità: un’altra delle troppe cantonate di una cosiddetta “opposizione” che non riuscirebbe a essere così ridicola neanche se ci si impegnasse deliberatamente.
Aggiungo un ultimo aspetto legato alla sua veste diplomatica. Quando Conte va all’estero, è assai a suo agio con le lingue (compresa quella italiana: e già qui c’è del clamoroso). Non solo: ai summit coi (presunti) grandi della terra, non fa le corna e neanche si improvvisa ilare bullo come quell’altro gradasso quando incontrava Schultz. Cordiale, affabile: sicuro di sé. Forse è la prima volta dal 2006 che tanti italiani non si vergognano di un Presidente del Consiglio. Non che Conte sia un fenomeno: è solo un uomo serio e normale alla guida di un governo improbabile e sbilenco, che a volte le indovina e più spesso no. Ma anche solo essere “normali”, in questi tempi di fenomeni finti e politica sputtanata, suona quasi rivoluzionario.

"Rassegnatevi, non faremo mai quello che dite voi!" Capolavoro Di Maio, ecco la sua risposta alle sanguisuga dell'UE



Di Maio: “L’Europa non ha imparato dai suoi errori. Serve flessibilità per abbassare costo del lavoro e cuneo fiscale. La trattativa passi per il Parlamento”

“Non siamo disposti a fare quello che si è fatto negli anni passati e cioè, nei momenti di crisi europea, tagliare i servizi ai cittadini. Quella lettera dimostra che l’Europa non ha imparato dai suoi errori e continua a dire che in un momento di contrazione dell’economia dobbiamo fare più tagli. Così si indebolisce l’economia”. E’ quanto ha detto Luigi Di Maio intervenendo, questa mattina, a Radio Anch’io.

“Non penso che i parametri europei vadano aboliti tutti – ha aggiunto il vicepremier -, però soprattutto per gli investimenti nella Green economy, nell’ambiente e nell’abbassamento del costo del lavoro e dunque del cuneo fiscale bisogna poter andare fuori dai parametri deficit-pil, così da permetterci di rilanciare davvero un’economia che in questo momento si sta fermando in tutta Europa”.


“Inizia una trattativa per fermare la procedura dI infrazione. Per me – ha detto ancora il leader del M5S – non ci devono essere manovre correttive. Sia ben chiara una cosa: per me questa trattativa non la devono fare i burocrati. Deve passare anche per il Parlamento con degli atti di indirizzo in modo tale da mettere tutti i paletti politici che servono per tutelare i cittadini. Si troveranno i modi magari non si deve coinvolgere tutta l’Aula, ma per esempio in commissione finanze, ci devono essere degli atti di indirizzo da parte delle forze politiche perché in questo momento i funzionari di Stato si devono attenere agli indirizzi politici perché in questo momento noi non possiamo permettere che si tolgano diritti ai cittadini e alle imprese. Nella trattativa dei prossimi giorni spiegheremo che siamo forti delle nostre ragioni”.

ECCO FINALMENTE LE PROVE DEL CONTROLLO TOTALE DELLA GIUSTIZIA DA PARTE DEL PD: così il galoppino di Renzi decideva quali giudici potevano fare carriera



I rapporti tra magistrati e politica sono esplosi definitivamente con l’inchiesta della procura di Perugia, che ha spaccato direttamente Palazzo dei Marescialli: passo indietro di 5 togati su 16 (4 autosospesi e uno dimesso): hanno tutti incontrato il deputato imputato Lotti. Accompagnato dall’ex leader di Mi ed ex sottosegretario di Letta, Renzi e Gentiloni. Un meccanismo perverso, orientato dall’esterno per influire su poltrone fondamentali nell’amministrazione della giustizia.

tratto da Il Fatto Quotidiano

Sono due mondi che dovrebbero stare a distanza di sicurezza. Poteri che – Costituzione alla mano – devono essere separati. E invece magistratura e politica non sono mai state tanto vicine. Di più: compenetrate. È un vecchio problema quello dei rapporti tra toghe e politica. Basti pensare che ciclicamente torna all’ordine del giorno la proposta di abolire tutte le correnti – un mezzo che inevitabilmente entra in contatto con la politica – per eleggere i membri del Csm e dell’Anm tramite sorteggio. Già quattro anni Piercamillo Davigo lasciò Magistratura indipentente denunciando “una certa sudditanza” dei colleghi nei confronti del mondo politico.  Una questione che è esplosa definitivamente con l’inchiesta della procura di Perugia. Indagine che ipotizza reati gravi per magistrati importanti e influenti, come Luca Palamara. E che grazie al trojan, installato sul telefono del pm indagato per corruzione, ha documentato i legami tra le correnti dei magistrati e i piani alti della politica. Per questo motivo l’indagine umbra è arrivata a spaccare il cuore del potere delle toghe: il Consiglio superiore della magistratura. Quasi un quarto del consiglio è fuori gioco: quattro consiglieri togati – quelli eletti dagli stessi magistrati – si sono autosospesi, uno si è dimesso. Il vicepresidente David Ermini – in un discorso concordato, corretto e limato fino alle virgole dal presidente della Repubblica – ha parlato di “degenerazioni correntizie, giochi di potere e traffici venali“. Il consigliere di Area, la corrente di sinistra, Giuseppe Cascini, ha parlato di vicenda assimibilabile “a quella della P2“.  I due si riferiscono ovviamente ai fatti emersi dall’inchiesta di Perugia. Cioè a un meccanismo perverso,orientato dall’esterno di Palazzo dei marescialli per indirizzare voti e quindi  influire su cariche e poltrone fondamentali nell’amministrazione della giustizia. Sul quale si allunga l’ombra di Cosimo Ferri, vero e proprio uomo cerniera tra il mondo delle toghe e quello dei politica.

L’uomo cerniera tra toghe e politiche – Doppio figlio d’arte (il padre fu magistrato e politico col Psdi, ministro del governo De Mita), Ferri – che non è indagato – è ancora oggi illeader de facto di Magistratura Indipendente. Considerata da sempre la corrente di destra delle toghe – ne hanno fatto parte tra gli altri Paolo Borsellino, Marcello Maddalena, Pier Luigi Vigna e Davigo (poi uscito per fondare la sua Autonomia e Indipentenza) – a un certo punto si è trovata a essere la corrente più vicina al centrosinistra. Una giravolta degna dell’ultimo partitino di cambiacasacca, parallela allo sbarco in politica di Ferri. Magistrato acchiappavoti quando fu eletto al Csm e all’Anm, nel 2013 Ferri è passato direttamente dal vertice della sua corrente al governo: nominato sottosegretario alla giustizia dei governi di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, considerato all’inizio in quota Forza Italia – partito al quale aveva aderito il padre negli anni ’90 – non si dimette dopo che Silvio Berlusconi toglie il sostegno all’esecutivo. Si definiva un “tecnico“, prima di ottenere dal Pd un seggio alla Camera alle elezioni del 2018. È lui l’uomo del Nazareno con la toga.

Il Nazareno in toga – Anche perché nel frattempo Ferri non ha smesso neanche per un secondo di esercitare la sua influenza su Magistratura indipendente. La prova? Alle ultime due elezioni per le elezioni del Csm. Nel 2014 – quand’era già sottosegretario – inviava sms ai colleghi per invitarli a votare i candidati della sua corrente. Quattro anni dopo – quand’era già deputato – non ha perso il vizio, anche se questa volta i suoi messaggi contenevano un solo nome da votare: quello di Antonio Lepre, poi ovviamente eletto. Lepre è uno dei due magistrati di Mi che si è autosospesodal Csm nelle scorse ore. Insieme al collega Corrado Cartoni ha partecipato all’incontro con Ferri, Palamara, Luigi Spina e Luca Lotti. Oggetto dell’incontro: la nomina del nuovo procuratore di Roma. La stessa procura che accusa Lotti di favoreggiamento nell’inchiesta Consip.

Il contagio di Lotti – In questo senso quell’incontro documentato dal Gico della Guardia di Finanza è la rappresentazione plastica di come funzionano oggi le correnti nella magistratura. E come le stesse correnti siano legatissime alla politica. O almeno, alcune correnti. Attorno a quel tavolo, infatti, ci sono almeno dieci voti di consiglieri togati del Csm. Cinque sono di Magistratura indipendente, di cui il leader è ancora il deputato dem Ferri, rappresentata all’incontro dai consiglieri Cartoni e Lepre, più l’altro consigliere Paolo Criscuolo, che si è autosospeso nelle scorse ore pur non essendo mai citato nell’indagine. Altri cinque, invece, sono i voti di Unicost, la corrente di centro delle toghe, guidata da Palamara, ex presidente dell’Anm, e rappresentata al Csm da Spina, che si è dimesso dopo essere finito indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento. Si è autosospeso, invece, Gianlugi Morlini. Anche lui, come il collega Criscuolo, non è mai citato nell’inchiesta, ma ha fatto un passo indietro spiegando di aver incontrato casualmente lo stesso Lotti. Lo ha visto a un “dopo cena”, dove era andato per raggiungere altri magistrati. Tanto è bastato per convincerlo a fare un passo indietro. Una specie di prevenzione al contagio, che ha già messo fuorigioco quattro colleghi di Morlini.

Il dopo cena tra giudici – Non è dato sapere, invece, cosa ci facesse Lotti a quel “dopo cena” tra giudici. In questa storia l’ex ministro dello Sport è l’unico personaggio a non vestire la toga. Eppure di giudici ne frequenta parecchi, spesso accompagnato dal collega di partito Ferri. D’altra parte Lotti è l’uomo al quale Renzi ha sempre affidato le missioni più delicate. Anche quelle sul fronte dei rapporti con la toghe. E infatti l’ex sottosegretario si è avvicinato a Ferri, una sorta di biglietto da visita umano per entrare nei ristretti giri di corrente dei magistrati. Ai quali l’accesso dovrebbe essere negato a un imputato. Soprattutto quando quei giri discutono di quale candidato votare al Csm come nuovo procuratore di Roma.

I giochi di corrente – Nel recente passato i giochi di corrente sono stati fondamentali anche per eleggere il vicepresidente di Palazzo dei Marescialli. Un’elezione che aveva spaccato il consiglio già all’esordio dei nuovi eletti. È grazie all’intesa tra Magistratura indipendente di Ferri e Unicost di Palamara se l’estate scorsa il Csm ha incoronato Ermini, ex responsabile giustizia del Pd, passato direttamente dal Parlamento alla poltrona numero due dell’organo costituzionale. Nonostante il parere contrario del numero uno, cioè il presidente della Repubblica. “I togati non possono e non devono assumere le decisioni secondo logiche di pura appartenenza“, aveva detto Sergio Mattarella alla vigilia dell’elezione di Ermini. Forse anche per questo motivo, per quell’elezione maturata all’interno del “Nazareno in toga”, che Lotti  si è poidetto deluso dal compagno renziano, spinto fino al vertice del Csm ma poi “non sufficientemente collaborativo“.

Le partite dei renziani al Csm – Quella per la nuova vicepresidenza del Csm non è l’unica partita interessante per i renziani. A confermare questa sua nuova passione per la toga era stato lo stesso Lotti, solo un anno fa. “Durante la mia funzione di sottosegretario ho incontrato molti membri non togati e togati del Csm con i quali parlavo del funzionamento delle commissioni del Csm. Ho incontrato anche altri pm e giudici di primo grado”, ha ammesso l’ex sottosegretario, interrogato nel maggio del 2018 dalla pm Christine von Borries. Il sostituto procuratore di Firenze voleva notizie su un incontro con  Antonio Savasta, l’ex pm di Trani poi arrestato per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari e falso. Trani è la stessa procura dove l’avvocato Piero Amara tenta di fare aprire un’indagine sul falso complotto Eni. “Non riesco a ricordare bene Savasta e cosa mi chiese”, risponde l’ex ministro sottolineando che di magistrati ne ha “incontrati vari durante cene a Roma che avvenivano anche con membri del Csm e qualcuno anche a Palazzo Chigi e in altre occasioni”. Al momento dell’arresto anche Savasta era in servizio a Roma. Aveva chiesto lui stesso il trasferimento, dopo essere stato sommerso da esposti che ne segnalavano l’incompatibilità ambientale. A dare l’ok al suo passaggio nella Capitale era stata la prima commissione, della quale faceva parte in quel periodo lo stesso Palamara.

Correnti e poltroni – Il potente ex presidente dell’Anm è accusato di essersi fatto corrompore con 40mila euro sempre da Amara per aver cercato di piazzare Giancarlo Longo a capo della procura di Gela. Progetto poi fallito: Longo è stato arrestato nel 2018, ha patteggiato 5 anni per corruzione e si è dimesso dalla magistratura. L’asse Unicost-Magistratura indipendente ha invece funzionato nel 2016 per la nomina del nuovo procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo. A votarlo tutti i consiglieri laici e togati, tranne quelli di Area (la corrente di centrosinistra), il laico del Pd Giuseppe Fanfani e quello del M5s Alessio Zaccaria. A Matera la correnti di Palamara e Ferri hanno eletto come capo Pietro Argentino, mentre sempre a Trani Unicost e Mi sono stati fondamentali per l’elezione di Antonino Di Maio. Adesso Palamara e Ferri volevano provare a scegliere il successore di Giuseppe Pignatone, il procuratore che ha chiesto il rinvio a giudizio di Lotti. Una partita delicatissima, collegata a cascata a tutta una serie di uffici che si sarebbero liberati a breve: primo tra tutti quello del procuratore di Perugia. Lo stesso che avrebbe deciso il destino dell’indagine su Palamara. A questo giro le correnti servivano a questo: a far scegliere i giudici dagli stessi indagati. E invece il meccanismo si è bloccato. Almeno stavolta.

ECCO IL TRUCCO CHE HA USATO RENZI PER PIAZZARE I GIUDICI A LUI FEDELI: un magistrato onesto svela finalmente come siano tutti fedeli a lui e non alla Costituzione



Nell’indagine sul controllo totale della magistratura da parte del PD di Renzi entra in gioco un pezzo da 90. Vi proponiamo il commento postato da poco da Franco Roberti, giudice antimafia eletto pochi giorni fa al Parlamento Europeo tra le fila del PD. Così racconta con grande onestà intellettuale come Renzi abbia messo tutti i suoi uomini grazie ad un abile sotterfugio:

di Franco Roberti

Un mio pensiero, da ex Magistrato e Procuratore Nazionale Antimafia, sul caso Palamara e CSM.

Nel 2014 il governo Renzi, all’apice del suo effimero potere, con decreto legge, abbassò improvvisamente, e senza alcuna apparente necessità e urgenza, l’età pensionabile dei magistrati da 75 a 70 anni. Quella sciagurata iniziativa era palesemente dettata da un duplice interesse:

1) liberare in anticipo una serie di posti direttivi per fare spazio a cinquantenni rampanti (in qualche caso inseriti in ruoli di fiducia di ministri, alla faccia della indipendenza dei magistrati dalla politica).

2) tentare di influenzare le nuove nomine in favore di magistrati ritenuti (a torto o a ragione) più “sensibili” di alcuni loro arcigni predecessori verso il potere politico.

Il disegno é almeno in parte riuscito perche da allora, mentre il Csm affannava a coprire gli oltre mille posti direttivi oggetto della “decapitazione”, si scatenava la corsa selvaggia al controllo dei direttivi, specie delle procure. Il caso Palamara ne é, dopo cinque anni, la prova tangibile, sebbene temo sia soltanto la punta dell’iceberg. Chiedo alla libera informazione (sperando che esista ancora) di non perdere l’attenzione su questo scandalo. Chiedo al Partito Democratico, finora silente, di prendere una posizione di netta e inequivocabile condanna dei propri esponenti coinvolti in questa vicenda, i cui comportamenti diretti a manovrare sulla nomina del successore di Giuseppe Pignatone sono assolutamente certi, se vuole essere credibile nella sua proposta di rinnovamento e di difesa dello stato costituzionale di diritto dell’aggressione leghista.

martedì 4 giugno 2019

"Truffa all'Inps e soffiate a De Benedetti". Nei guai "Repubblica" e il Gruppo Gedi, interviene la Procura



Nei dossier di cui si dovrà occupare il successore di Giuseppe Pignatone, in questa partita più che avvelenata per la procura di Roma, ci sarà anche molto spazio per Carlo De Benedetti (seppur indirettamente) e il gruppo Gedi. Come ricorda il Fatto, a Roma c'è sotto inchiesta il Gruppo Gedi (editore di Repubblica ed Espresso che sono estranei alla vicenda) per truffa ai danni dell'Inps. Negli scorsi mesi le sedi della Gedi sono state perquisite dalla Guardia di Finanza, con il sospetto che il gruppo abbia utilizzato alcuni escamotage per ottenere almeno 7 prepensionamenti tra il 2012 e il 2015.

Stop alle grandi navi a Venezia. Ecco la soluzione di Toninelli.



Una soluzione per Venezia c’è. Non c’era nessun vero progetto prima per portare le grandi navi fuori dalla laguna, ma il Ministero dei trasporti gialloverde, insieme a quelli dei beni culturali e dell’ambiente, l’ha messo a punto e i primi risultati dovrebbero vedersi subito. Lo ha assicurato il ministro Danilo Toninelli dopo che, attorno all’incidente di domenica scorsa tra una nave da crociera Msc e un battello gran turismo nel canale della Giudecca, che ha causato il ferimento di quattro turiste, si è consumata l’ennesima guerra tra Lega e Movimento 5 Stelle.

LE RASSICURAZIONI. Dopo essere stato il principale bersaglio delle accuse dei leghisti, con in testa il vicepremier Matteo Salvini, e del Pd, ieri sera il ministro Danilo Toninelli ha assicurato che non esiste alcun progetto per spostare le navi a Porto Marghera e che lui dunque non ha bloccato nulla. “Esiste un’ipotesi vagliata nel 2017 – ha sostenuto il titolare del Mit – che non è avvallata da progetti e che ha alla base la condizione del Vittorio Emanuele, per cui sia possibile andare a scavare o meno all’interno del Vittorio Emanuele”.

Di più: “Uno studio la cui natura non ha nulla a che fare con alcuno stadio di progettazione, nemmeno quello iniziale della fattibilità tecnico-economica”. Il ministro dei trasporti ha quindi assicurato che lui ha invece lavorato a delle soluzioni e che una è quella di Chioggia e l’altra quella di San Nicolò, precisando che entro la fine del mese verrà scelto un progetto definitivo. A dargli manforte senatrici e senatori pentastellati in Commissione cultura al Senato. E rassicurazioni sono arrivate anche dai ministri dei beni cultuali, Alberto Bonisoli, e dell’ambiente, Sergio Costa. Il nodo delle grandi navi a Venezia è stato quindi affrontato in un incontro tra lo stesso Toninelli e il presidente dell’Autorità portuale del mare Adriatico settentrionale, Pino Musolino, dopo che sull’incidente la Procura ha aperto un’inchiesta e Msc ha sospeso la crociera rimborsando i passeggeri.

LA POLEMICA. Il vicepremier Salvini, intervenendo sull’incidente di domenica, aveva sostenuto che i ministri sono pagati per risolvere i problemi, non per crearli, battendo sul progetto per Marghera. Bordate a cui si erano aggiunte quelle del governatore Luca Zaia e del sindaco Luigi Brugnaro. Affermazioni smentite appunto da Toninelli, che ha detto di essere stufo delle stupidaggini di Salvini.

Sblocca-Cantieri, accordo trovato. Vince la linea dei 5 stelle su codice d'appalto. Grandi novità per Roma ed i comuni colpiti dal terremoto



E’ bastata una telefonata tra i vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, per uscire dallo stallo e trovare l’intesa sul decreto Crescita e sullo Sblocca-cantieri che fino a qualche ora fa sembrava ancora in discussione. Un accordo raggiunto dopo una “lunga e cordiale” conversazione, avvenuta in mattinata e che i due leader della maggioranza, e poi il premier Giuseppe Conte, hanno valutato positivamente.  “Il ritorno al dialogo è una buona premessa – affermano fonti di palazzo Chigi – proprio come auspicato nel discorso del premier per procedere nella giusta direzione”.

A spiegare nel dettaglio cosa sia cambiato e come sia stato possibile raggiungere un accordo su una partita così delicata come la norma inserita nello Sblocca-cantieri e relativa al Codice degli Appalti, è stato lo stesso Luigi Di Maio: “L’accordo – ha spiegato il vicepremier pentastellato – sospende solo norme che già erano inattuate, come ad esempio, l’Albo unico sulle imprese, che non era stato costituito e si chiedeva ai Comuni di nominare i commissari delle commissioni valutatrici da un Albo che non esisteva. Quindi si tratta di una serie di interventi di buon senso”.

A detta del leader del Movimento, dunque, nessun passo indietro o resa ai desiderata di Matteo Salvini come invece ritengono le opposizioni (da destra a sinistra), ma semplicemente un ragionamento di buon senso. Una linea confermata anche dal capogruppo dei Cinque stelle al Senato, Stefano Patuanelli: “Non c’è da intestarsi vittoria o sconfitta: sullo Sblocca-cantieri ha prevalso l’aspetto tecnico, facendo lavoro complesso di sulle procedure, velocizzando ma rispettando garanzie e controlli”.

COSA SALTA E COSA NO. Nel dettaglio, saranno solo tre, rispetto alle cinque contenute attualmente nel testo, le norme del Codice appalti che saranno sospese per due anni, come ha spiegato ai cronisti lo stesso Patuanelli, al termine della capigruppo parlando dell’emendamento atteso al dl Sblocca-cantieri. Nello specifico, le norme che risulterebbero sospese sono: l’obbligo per i Comuni di fare gare attraverso le stazioni appaltanti (rimarrà solo la facoltà); l’obbligo di scegliere i commissari di gara tra gli esperti iscritti all’albo Anac (che, come detto da Di Maio, non è mai stato realizzato); lo stop all’appalto integrato, che quindi sarà possibile fino al 2020. Rimarrà, invece, il limite ai subappalti e l’obbligo di indicare la terna di subappaltatori in sede di offerta per le gare sopra soglia comunitaria.

Non solo: “La soglia per i subappalti resta al 40%” e “per le offerte economicamente vantaggiose rimane il 30% del limite del prezzo”, ha specificato Patuanelli. Tanto basta per capire come il rischio di infiltrazioni o di altre ruberie sarebbe fortemente limitato dalle soglie che rimangono e sulle quali sono stati i Cinque stelle a porre limiti chiari al pressing di Matto Salvini e della compagine leghista. L’unico dubbio che resta ora da dirimere è quello, concreto, sul testo. Fino a ieri, al di là delle parole, non era ancora stato depositato in Senato il testo che recepisce l’accordo raggiunto tra M5s e Lega sulle modifiche al Codice degli appalti. La commissione Bilancio, chiamata a dare i parerei sugli ultimi emendamenti al decreto Sblocca cantieri, è stata pertanto riconvocata oggi già dalle 8,30 di mattina.

GRANA AUTOSTRADE. Ma le novità non finiscono qui. Dopo le polemiche soprattutto di Confindustria e relativa a una norma contenuta nello Sblocca-cantieri e relativa alla revoca sulle concessioni autostradali, fortemente voluta dal ministro alle Infrastrutture, Danilo Toninelli. Secondo quanto si apprende da fonti ministeriali, il cosiddetto “scudo” per i funzionari pubblici che firmano l’eventuale cessazione anticipata del rapporto di concessione (previsto sin da subito dalla norma) passerebbe ora per il visto e per la registrazione della Corte dei Conti. Nella precedente formulazione il vaglio che escludeva la colpa grave del dirigente spettava invece all’Avvocatura generale dello Stato.

In questo modo ci sarebbe anche una maggiore garanzia che della revoca non ci sia potenziale abuso. Ma nella giornata di ieri a esprimere piena soddisfazione è stato anche il ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti. Perché tra gli altri emendamenti che saranno presentati oggi ci sarà anche uno sponsorizzato direttamente dal ministro che consentirà acquisti di materiali, strumentazioni e servizi più semplici, rapidi e con la possibilità di scegliere nel libero mercato le opzioni migliori per chi fa ricerca nelle università e nelle scuole statali. L’obiettivo rimane, dunque, per tutti lo stesso: velocizzare le pratiche evitando la mole di scartoffie.

Dopo l’intesa raggiunta sullo Slocca-cantieri, il nuovo fronte caldo è il decreto Crescita, soprattutto visti i tempi molto risicati per giungere alla conversione in legge del dl. La quadra, però, potrebbe essere molto più vicina di quanto si pensi. Come si sa il provvedimento, all’esame delle commissioni Bilancio e Finanze della Camera, aveva diviso i due azionisti della maggioranza su alcune delicate questioni contenute nel decreto: dal salvataggio di Alitalia a quello di alcune banche in crisi (a cominciare da Carige) fino, soprattutto, al salva-Roma, la misura che di fatto scongiura il rischio default della Capitale.

La norma – ricorderà qualcuno – era prima entrata e poi uscita dal decreto legge quando fu approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 23 aprile. Il Carroccio aveva fatto muro e Matteo Salvini in testa si disse contrario a varare delle norme che avrebbero aiutato una sola città. Ma è proprio su questo punto che la partita si sarebbe sbloccata: dopo un’intensa riunione tra Lega e Cinque stelle tenutasi il Governo dovrebbe presentare un pacchetto di emendamenti in commissione e l’accordo sul salva Roma potrebbe comprendere una serie di misure in grado di aiutare tutti i comuni con difficoltà finanziarie.

Accordo raggiunto, dunque, anche grazie al lavoro certosino del viceministro all’Economia Laura Castelli e del sottosegretario all’Interno Stefano Candiani. La volontà del Governo, hanno spiegato alcuni parlamnetari M5S intrattenendosi con i giornalisti, è “ridurre i debiti delle grandi città che sono il motore economico dell’Italia”. Piena convergenza con la linea leghista, dunque, senza però abbandonare i delicati problemi di Virginia Raggi. Queste le buone intenzioni. Vedremo ora se si riuscirà a tradurle in emendamenti che dovrebbero essere presentati oggi.

RITMO SERRATO. Altro snodo fondamentale potrebbe essere quello di Carige. La proposta della Lega per Carige, che era stata presentata come emendamento al dl Crescita, potrebbe essere ripresentata con una riformulazione da parte del Governo. L’emendamento originario puntava a permettere la trasformazione delle Dta (attività per imposte anticipate) in credito d’imposta in caso di aggregazioni bancarie, effettuate fino al 2020. La proposta mira a sostenere il possibile rafforzamento del patrimonio di istituti in crisi che vanno verso aggregazioni, come ad esempio Carige, e potrebbe riguardare anche la Popolare di Bari.

Ma era sorto il problema dell’eventuale aiuto di Stato che sarebbe stato condannato dalla Commissione europea. Da qui la necessità di riformulare il provvedimento. Si lotta ora contro il tempo. Anche perché nella giornata di domani è atteso, come detto, il pacchetto di emendamenti presentati dal Governo. Per poi arrivare alla presentazione del testo in Aula giovedì. A questo punto, considerando che entro il 29 giugno il decreto dev’essere convertito (pena la sua decadenza) è certo che il Governo venerdì chiederà la fiducia, che poi sarà votata sabato, prima che il testo approdi al Senato.










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