martedì 19 dicembre 2017

"Usano strategia mafiosa" un giornalista lancia una bomba sul PD

(Mario Giordano per la Verità) – Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Gli altri si affidano ai pizzini. Fa un certo effetto leggere in simultanea, sui giornali di ieri, le due interviste di Matteo Renzi (Corriere della Sera) e di Maria Elena Boschi (Il Messaggero), e la lunga lettera che il portavoce del segretario nazionale del Pd, Marco Agnoletti, ha scritto al Fatto Quotidiano. Tutte e tre, infatti, contengono larvate minacce, allusioni, dico-non-dico, messaggi in codice che sinceramente sembrano appartenere a un’altra era della politica. O forse, non sembrano nemmeno appartenere alla politica.


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Dalla rottamazione all’intimidazione: è imbarazzante scoprire che la nuova linea di comunicazione del Pd passa attraverso toni più vicini a Gava che ai nuovi social. Avevano promesso il rinnovamento. E invece si fermano all’ avvertimento.

Il pizzino di Renzi (copyright Corriere della Sera) è rivolto al leader dei cinque stelle. «Mi colpisce che Di Maio non voglia fare un confronto con me», dice il segretario Pd. «Gli chiederei degli 80 euro e del Venezuela, certo. Ma potrei domandargli come spiega l’ attività in questo settore di uno dei suoi principali collaboratori».

Ora un giornalista normale avrebbe interrotto Renzi per chiedergli: a quale attività si riferisce? Chi è il collaboratore? Qual è l’ accusa che deve rivolgere? Ma l’ intervistatrice è Maria Teresa Meli, in arte Tappetino, una donna un megafono, e dunque si limita a registrare la minaccia renziana («Diamo tempo al tempo e vedrete a cosa mi riferisco») e poi cambia argomento, con una delle sue ficcanti domande: «Su che cosa si vince, allora la battaglia elettorale?».

Ecco: magari la battaglia elettorale si vince anche evitando di parlare come un bullo di periferia con formule del tipo «La prossima settimana vedi che cosa ti succede», «Stai attento o il tuo amico finisce male», «Tuo cugino è un gran cornuto e lo sistemerò per le feste», oppure, per l’ appunto, «Diamo tempo al tempo e vedrete». Tutta roba che sembra più adatta a un film sulle periferie disagiate che a un’ intervista istituzionale al Corrierone. Anche perché delle due l’ una: o il segretario del Pd sa qualcosa di rilevante che riguarda la figura di Di Maio e allora ha il dovere di parlare; oppure non lo sa e allora ha il dovere di tacere. Tertium figura di merdam.

Uno potrebbe pensare che si tratti di un incidente di percorso, una scivolata estemporanea, un errore occasionale. Invece no: l’ avvertimento a tutto campo deve proprio essere il nuovo modello di comunicazione del Pd. Infatti anche nella sua lunga lettera al Fatto Quotidiano, il portavoce Marco Agnoletti, a un certo punto manda un pizzino diretto a via Nazionale: «Sulle acquisizioni della Banca Popolare di Bari», scrive, «potrebbe essere interessante, in varie sedi, aprire un approfondimento. Ma sicuramente i vertici di Banca d’ Italia sono più informati dell’ allora governo Renzi». Ma che vuol dire? «Spero di aver aiutato a chiarire», chiude poi la sua lettera Agnoletti, con ottimismo francamente eccessivo. Chiarire cosa, di grazia? Che cosa ha fatto la Banca Popolare di Bari? Sai qualcosa? E non lo racconti?

E perché? Cos’ è? Il mistero di Fatima? Stai davvero cercando di spiegare? O mandi soltanto segnali a riservati a chi deve capire? Tu chiamale, se vuoi, allusioni. Pratica nella quale eccelle ultimamente la regina decaduta Maria Elena Boschi. Quest’ ultima dopo aver fatto capire di avere molti messaggi del presidente Consob, Giuseppe Vegas, oltre a quello che la invitava a casa sua alle 8 del mattino (uauuuu: siamo al piccante), è tornata alla carica nella già citata intervista al Messaggero: «Non cancello spesso gli sms», ha detto, «ne ho quindi molti in memoria». Non solo quelli con Vegas, insomma, ma anche «con altri esponenti del mondo del credito e del giornalismo». Evviva, evviva: non possiamo essere che felici di questa intensa e amorosa corrispondenza di sms di sua maestà detronizzata Boschi. Ma di che si tratta?

Auguri di Natale o proposte di acquisizione di banche? Convenevoli sul tempo o insider sui decreti del governo? E chi sono questi «esponenti» del mondo del credito e del giornalismo? Normali leccaculo o persone che hanno commesso delle irregolarità? Non sarebbe il caso di specificare?

Non vorrei citare la solita frase di Agatha Christie, secondo la quale un indizio è un indizio, due indizi sono due indizi e tre indizi sono una prova. Ma non posso farne a meno. Tre interventi nello stesso giorno, tutti e tre con lo stesso tono minaccioso, tutti e tre con dei non detti che suonano come avvertimenti, segnano un passaggio nella strategia di comunicazione del Pd.

È come se il mondo renziano, nel prendere consapevolezza della sua caduta («il mio consenso è in calo»), inviasse messaggi in codice agli avversari: non ci faremo battere così, siamo pronti a reagire in ogni modo, apriremo gli archivi, solleveremo ondate di fango, trascineremo giù tutti quelli che riusciremo. Mandano a dire: perso per perso non ci fermeremo davanti a nulla. In fondo il senso dello Stato non è mai stato il loro forte, questo si sa. Però, ecco, c’ è un limite a tutto.

Perché se Renzi, Agnoletti e la Boschi sanno e possono documentare fatti rilevanti, messaggi imbarazzanti, questioni scottanti, se hanno notizie di reato o di inopportunità, se insomma conoscono qualcosa che è di rilevanza pubblica, lo devono dire prendendosi le loro responsabilità, come facciamo noi ogni giorno. Altrimenti parlino delle cose che sanno, se le sanno, senza mandare pizzini. Che non è cosa loro.

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