di Marco Travaglio da Il Fatto Quotidiano del 5 Dicembre
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“Più che alla tradizione del bue che dà del cornuto all’asino (anzi al bue), la campagna contro le fake news lanciata dal noto spara-balle Matteo Renzi fa venire in mente un brevissimo film dei fratelli Lumière, L’arroseur arrosé (L’innaffiatore innaffiato). O una frase di Carmelo Bene in Un Amleto di meno: “È bello al minatore saltare in aria della sua stessa mina!”. L’altro giorno, sullo scandalo Etruria, il noto bufalaro pensava di aver chiuso la partita grazie alla testimonianza del procuratore di Arezzo alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, esattamente come quest’estate si illudeva di aver liquidato l’altra affaire che gli leva il sonno, Consip, grazie all’audizione del procuratore di Modena Lucia Musti al Csm. Purtroppo per lui, nel breve volgere di un paio di giorni, si è scoperto che entrambi i casi sono più aperti che mai. Su Consip, mentre Renzi e i suoi cari strillavano al golpe militar-giudiziario, bastò leggere il verbale della Musti per scoprire che mai la pm aveva detto ciò che i renziani e i giornaloni al seguito le avevano attribuito: e cioè che il capitano Scafarto e il colonnello Ultimo del Noe l’avevano sollecitata a colpire Renzi con la frase “Lei se vuole ha una bomba in mano e può farla esplodere. Scoppierà un casino, arriviamo a Renzi”. La prima parte della presunta frase sarebbe di Ultimo, datata 2015 e riferita a un filone dell’indagine Cpl Concordia (estraneo a Renzi) passato a Modena. La seconda sarebbe invece di Scafarto, risalente al 2016 e riguardante l’inchiesta Consip, a cui l’ufficiale stava lavorando per i pm di Napoli e in cui emergevano i nomi di Renzi, babbo Tiziano e altri del Giglio Magico. Fine del golpe.
Ora, su Etruria, si replica sullo stesso copione. Venerdì il capo della Procura di Arezzo Roberto Rossi, già noto per le bugie e le omissioni rifilate al Csm sul suo conflitto d’interessi di consulente del governo Renzi e di titolare dell’azione penale su Etruria, viene audito in Commissione. Attacca Bankitalia per una storia priva di rilevanza penale (il presunto tentativo di fondere Etruria a Pop Vicenza) ed estranea alla sua competenza territoriale (degli organi di vigilanza si occupa la Procura di Roma). E rivela che, nelle sue indagini sulla bancarotta dell’istituto aretino, non è emersa alcuna responsabilità di papà Boschi. Questi infatti era “solo” membro del Cda dal 2011 e vicepresidente dal 2014, mentre i crediti non garantiti erano stati deliberati fino al 2010 (e le successive proroghe firmate dai suoi Cda? Boh). Siccome Rossi non invoca il segreto investigativo, l’opposizione gli domanda degli altri filoni d’inchiesta su Etruria.
Ma lui – dopo avere scagionato Boschi sr. – tace. Non ha ancora finito di parlare, ed ecco Renzi e la sua batteria partire come un sol uomo con una raffica di dichiarazioni, tweet e interviste: “Nel crac Etruria i Boschi non c’entrano, è tutta colpa di Visco e Bankitalia”. La Stampa titola addirittura: “La Procura di Arezzo punta Bankitalia” (falso: non è neppure competente, tant’è che ha trasmesso gli atti su Bankitalia e Consob a Roma). Domenica però la Verità scopre che in uno dei filoni di cui Rossi non ha voluto parlare, papà Boschi è indagato per falso in prospetto. Notizia non più coperta da segreto investigativo, perché è già stata comunicata all’indagato con la notifica della proroga delle indagini dopo i primi sei mesi: dunque Rossi ha taciuto un’informazione decisiva e non segreta al Parlamento (lui però dice che ha fatto un cenno col capo), facendo credere che le indagini abbiano totalmente scagionato papà Boschi e regalando un assist elettorale a Renzi. Vedremo se ora il Csm e il Pg della Cassazione si sveglieranno, o continueranno a lasciarsi (e a lasciarci) prendere in giro. E se Renzi & C. oseranno ancora menarla con le fake news degli altri, vista l’iperproduzione della casa. Domenica, mentre il Bomba veniva sbugiardato per l’ennesima volta, Repubblica usciva con una nuova, sensazionale inchiesta dal titolo “Così si finanzia la fabbrica delle fake news” e smascherando una pista “che porta a Londra, a Mosca, in Albania” e parte nientepopodimenoché “da una fabbrica di manufatti in alluminio a Terni”. Lì, “in una sera gelida di novembre, durante una pausa di cambio turno, Leonardo, un metalmeccanico di 34 anni, ex punk, la terza media in tasca e i soldi per comprare il primo modem non più di sei anni fa, apre le porte del Sistema”. Perbacco: il Sistema, maiuscolo. Con un modem e la terza media. Roba grossa, “un fiume di denaro”.
Del resto “Leonardo di cognome fa Piastrella”, ma attenzione: quando diventa un “cavaliere nero dell’intossicazione online”, si fa chiamare “Ermes Maiolica”, e con quel nome è diventato “il più noto bufalaro italiano”. Infatti “un giorno alla sua porta” indovinate chi “bussa”? “I broker pubblicitari”. In cerca di che? Di “gente che faccia traffico”. Incredibile ma vero: Piastrella-Maiolica avrà solo la terza media, ma ha scoperto una verità sconvolgente. Tenetevi forte: “Più traffico hai, più soldi prendi dalla pubblicità”. Capito come siamo messi? Più gente frequenta un sito o una pagina social, o legge un giornale, o guarda una tv, più aumenta la pubblicità: non è incredibile? E le rivelazioni non finiscono qui: a Londra c’è una società pubblicitaria, la Clickio, filiale di una “casa madre russa, la AdLabs”: e l’hanno fatta entrare in Gran Bretagna, capite? Altre prove del patto d’acciaio Putin-Grillo-Salvini non ne occorrono. Ma Repubblica, generosamente, vuole esagerare: “Da qualche giorno, in Rete ha cominciato a fare capolino un certo Vincenzo Ceramica. Provate a indovinare chi sia”. Escludendo il troppo scontato Piastrella-Maiolica, potrebbe trattarsi di Renzi, per gli amici Er Mattonella.
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Roba da matti..
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