lunedì 4 settembre 2017

“GENTE SEMPRE A CACCIA DI SOLDI, NON GLI BASTANO MAI” – SCANDALO TAV, ECCO CHI SONO I FIGLI DEI PARASSITI ARRESTATI PER TANGENTI


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1. CORE DE PAPÀ! L’EX MINISTRO LUNARDI: ”IL FIGLIO DI MONORCHIO E GLI ARRESTATI? GENTE SEMPRE A CACCIA DI SOLDI, NON GLI BASTANO MAI. MIO FIGLIO NON C’ENTRA NIENTE”


2. ”NOI NON ABBIAMO BISOGNO DI NESSUN FAVORE, TANTOMENO DA QUELLA GENTE LÀ. IL PROGETTO LO AVEVAMO VINTO PRIMA CHE DIVENTASSI MINISTRO. E NON FACCIAMO IL CEMENTO”
3. LE TANGENTI TRA INGEGNERI ERANO ”MOZZARELLE”, BUSTE PIENE DI SOLDI, O ”PAGHETTE”. E POI UN BEL PO’ DI VIAGRA, MIGNOTTE E SERATE ALLEGRE. ”MA NON LE BRASILIANE, MI FANNO SCHIFO. PREFERISCO LE BIANCHE”. ”LE PASTICCHE CE LE HAI?”. ”ARRIVANO DENISE E MORENA”

1.L’ EX MINISTRO: «È GENTE SEMPRE A CACCIA DI SOLDI MA GIUSEPPE NON È COME LORO»

Virginia Piccolillo per il ”Corriere della Sera”

Ingegner Pietro Lunardi, c’ è anche suo figlio Giuseppe, tra gli indagati per corruzione dell’ inchiesta sulle Grandi opere.

«Sì ma mio figlio non ha nulla a che fare con loro».

Loro chi?

«Il figlio del ragionier Monorchio e questi signori arrestati. Ci si confonde sui ruoli, ma la nostra azienda, la Rocksoil, di cui mio figlio è amministratore delegato da quando io ho dovuto lasciare per fare il ministro nel governo Berlusconi, fa progettazione. Loro invece fanno la direzione dei lavori».

Dal tono non sembra molto in sintonia.

«No, assolutamente. Anzi. Non mi sono mai piaciuti. Hanno già incassi alti dai lavori, ma sono sempre in cerca di altre fonti di guadagno».

Quindi non aveva suggerito di lavorare con loro?

«Assolutamente no. Mi domando come si possa lavorare con certa gente. Ai miei avevo sempre raccomandato di fare solo i nostri lavori, che ne abbiamo già abbastanza: è uno studio di 150 persone»

Però nell’ ordinanza si parla di «promesse» che suo figlio avrebbe fatto a Giampiero De Michelis, direttore dei lavori.

«Siamo a livello di promesse? È giusto che indaghino. Ma mio figlio non ha promesso nulla, perché non abbiamo bisogno di niente».

I magistrati dicono che De Michelis aveva svolto funzioni di controllo sulle attività della Rocksoil.

«Non devono controllare noi, ma che l’ opera sia svolta secondo il nostro progetto. Con loro abbiamo fatto solo una gara. Ma che poi non abbiamo vinto».

Forse in quella occasione, c’ erano state proposte di sinergie?

«No. È finita lì. Loro avevano un altro cantiere sulla Salerno-Reggio Calabria, forse si riferiscono a quello. Ma noi non c’ entriamo nulla»

I pm parlano di subappalti. Forniture di materiali che ai danni del contribuente sarebbero stati di qualità inferiore a quella dovuta…« Il cemento come colla»…

«Noi non ci occupiamo di materiale. Facciamo gallerie. È roccia. Non cemento».

Non vi eravate accorti di possibili illeciti o irregolarità sul cantiere?

«No. I lavori si svolgevano secondo i tempi previsti».

Quando vi eravate aggiudicati il progetto?

«Prima ancora che diventassi ministro. Avevamo avuto la progettazione iniziale. E poi, normalmente, chi ha fatto il progetto si aggiudica anche quella esecutiva. Ma non abbiamo mai avuto alcun favoritismo».



Sapevate che suo figlio era indagato?

«No. Lo ha scoperto in mattinata quando sono arrivati i carabinieri. Hanno controllato i progetti. Va benissimo che vadano fino in fondo. Alla fine scopriranno che mio figlio non c’ entra nulla».

Nelle carte si parla di un’«amalgama» di favori scambiati con utilità.

«Sì, ma noi non abbiamo avuto nessun tipo di favore. A noi non serve nulla. Tantomeno da quella gente là».

2.“INGEGNERE, LA PAGHETTA” E SE NON BASTAVANO I SOLDI SI PASSAVA AI RICATTI

Fabio Tonacci per la Repubblica

Il sistema era, a suo modo, semplice e funzionava così. Sempre. Quale che fosse la grande opera da portare a termine (si fa per dire). E non era un Sistema nuovo, come le inchieste della Procura di Firenze nel 2010 avevano già documentato. Sfruttava l’inganno, il “baco” della Legge Obiettivo sulle Grandi Opere del 2001.

Quello per il quale il controllore (il direttore dei lavori) veniva scelto dal controllato (le aziende costruttrici). Giampiero de Michelis, ingegnere e direttore tecnico, ha potuto giocare così su due tavoli: su quello dei committenti dell’opera. Entrambi i tavoli, naturalmenete, erano truccati. De Michelis, il “mostro”, aveva anche un socio occulto, Domenico Gallo. Gallo guadagnava. De Michelis guadagnava.

I CERTIFICATI TAROCCATI

Il “mostro” era anche lo strumento con cui i mega consorzi di imprese truffavano lo Stato fingendo di non essere in ritardo. I due amministratori di Salini-Impregilo, Ettore Pagani e Michele Longo, ad esempio, promettono a De Michelis un pezzetto del business da 750 milioni dello stadio del Qatar a patto che lui sostituisca il Sal (stato di avanzamento lavori) di aprile 2015 con uno a loro più favorevole.

De Michelis obbedisce, i finanziamenti per 607 milioni di euro vengono sbloccati, tra l’altro riuscendo a far lievitare le spese del Sal di aprile da 18 a 61 milioni di euro stracciando documenti e fabbricandone di falsi. Stessa cosa per Pisa Movers, il general contractor cui fa parte anche Condotte: De Michelis tarocca i Sal inserendo opere che non erano nemmeno state ultimate.

GLI EREDI ILLUSTRI

Le regole truccate erano note a tutti e di noto c’era anche qualche cognome illustre. Quello di Giuseppe Lunardi, ad esempio. Figlio di Pietro, il potentissimo ex ministro delle Infrastrutture del governo Berlusconi. Con la sua Rocksoil Lunardi junior, indagato per corruzione, si era messo in linea con le aspettative del “mostro”, cui aveva promesso qualcosa della gara da 15 milioni bandita dalla Regione Friuli.

 I due si vedono, almeno in un’occasione. «Lunardi mi è sembrato interessato, dobbiamo cominciare a fare cose insieme», dirà poi De Michelis. E chi era il capo di De Michelis, l’amministratore della Sintel da cui il “mostro” proveniva? Giandomenico Monorchio, il figlio dell’ex ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio. Monorchio jr è stato arrestato per alcuni contratti (uno da 288.000 euro, altri due da 40.000 e 20.000) che ha fatto assegnare alla Crono, società a lui riferibile.



Naturalmente anche De Michelis tiene famiglia: sua figlia Jennifer vuole lavorare nel mondo di papà. Le trovano un posticino nell’azienda Oikomodos per il quale si chiede un’ingegnere. «Non voglio fare incazzare nessuno — si lamenta un’imprenditore, tale Marchetti, con Enrico Pagani — ma lei non ha i requisiti che voi richiedete, c’è scritto che deve essere laureata… non è manco geometra». La ragazza rimane al suo posto. Perché l’imprenditore «vuole finire i suoi 54 milioni di lavori e portare a casa la pagnotta».

 L’ORTICELLO DELL’AZIENDA

Il lessico familiare della corruzione, naturalmente, si arricchisce di nuove metafore. «Hai portato la mozzarella? », dicono tra loro. Il 16 dicembre 2014 l’imprenditore Antonio Giugliano incontra l’allora presidente del Cociv Pier Paolo Marcheselli. Prende una busta dalla tasca. «Ingegnè…. grazie mille… la paghetta….». Secondo i finanzieri di Genova, era una mazzetta. Poco prima, lo stesso Giugliano aveva consegnato un’altra busta a Maurizio Dionisi, responsabile appalti Cociv.

Era questa la flora e la fauna dell’”orticello” coltivato dalla combriccola. «Le aziende hanno un’orticello loro, però in joint venture con l’ingegnere (De Michelis, ndr)… se l’ingegnere fa alla lettera il suo lavoro, è meglio che rinunciano, che si buttano a mare», ricorda a tutti Domenico Gallo. L’”amalgama” funzionava così, è teoria criminale applicata agli appalti pubblici. Primo comandamento: non fare guerre. Gli amici devono essere tutti contenti. «Perché se ognuno tira e l’altro storce, non si va mai avanti».

L’AUTOSTRADA NON COLLAUDABILE

C’è un momento in cui De Michelis, però, storce. «Sembra un Marlin che sbatte la coda», dicono. Monorchio jr lo vuole tagliare fuori. «Sappi che da domani sei deposto da tutti quanti i ruoli che hai». È il 17 dicembre scorso. Lui ne parla con la moglie Perla, la quale conviene che è venuto il momento di battere il pugno sul tavolo. Ma non per fare giustizia. Per farla fare sotto ai compari della combriccola. Ha un dossier sull’Anas che riguarda i cantieri dell’A3 affidati alla Impregilo di Ettore Pagani.

 Minaccia di farlo vedere al “maresciallo” della Finanza che indaga sui grandi appalti a Firenze nell’inchiesta “Sistema”. «Io le so tutte, e tenete conto di un’altra cosa allora che qua caschiamo, e tutta la Salerno-Reggio Calabria, dell’opera non collaudabile, dell’arbitrato… Ho le relazioni, di quando dovevate chiudere a 40 milioni. Ora qua o fate le persone per bene, completiamo il ciclo e poi mi mandate a fare in culo… perché così vi siete messi tutti d’accordo per mettermi in mezzo a una strada? Io mi difendo ». E infatti, è rimasto al suo posto fino al giorno dell’arresto.

3.“MA LE BRASILIANE NON LE VOGLIO, MEGLIO LE BIANCHE”

Giuseppe Filetto e Stefano Origone per la Repubblica

Il “mozzarellaro” arrivava da Afragola e negli uffici del Cociv di via Renata Bianchi, a Genova, ma non portava soltanto mozzarelle di bufala. Antonio Giugliano consegnava buste bianche, gonfie come mozzarelle, ma piene di banconote. E muto come un pesce per non farsi captare dalle intercettazioni ambientali, con le dita delle mani aperte indicava “dieci”. Diecimila euro.

Una tranche che secondo le indagini del Nucleo di Polizia Tributaria avrebbe tappato le bocche di Pietro Paolo Marcheselli e Maurizio Dionisi, dirigenti di Cociv. Il consorzio, general contractor del Terzo Valico per conto di Rfi, in cambio affidava appalti a Giugliano, titolare della “Giugliano Costruzione Metalliche”.

Che con ribasso di 35 euro rispetto al concorrente, si aggiudicava l’appalto di 2 milioni e 500mila euro per la fornitura relativa alle gallerie di Cravasco e l’innesto del Polcevera. «Missione compiuta… secondo le indicazioni ricevute!», esclamava Piersandro Tagliabue, membro del comitato tecnico del consorzio.



Gli appalti finivano agli “amici”. Non solo distribuendo mozzarelle e mazzette. Anche offrendo escort brasiliane, notti sfrenate in un albergo del capoluogo ligure. Gallerie e pasticche di Viagra, regali e gare truccate. Le intercettazioni dell’inchiesta dei pm Francesco Cardona Albini e Paola Calleri (coordinata dall’aggiunto Vincenzo Calia) regalano passaggi a luci rosse. Come quando l’imprenditore di “Europea 92”, Marciano Ricci, per cercare di assicurarsi l’appalto per la galleria Vecchie Fornaci (affidamento che poi non si materializza), paga a Giulio Frulloni, coordinatore costruzioni del Cociv, una prostituta.

Organizza dopocena hot, e per cercare di convincerlo, gli dice che non sarà solo, che è stato invitato anche Ettore Pagani, il vice presidente del consorzio. È tutto pronto, Denise e Morena sono già state contattate e disponibili a farsi trovare all’interno della suite. Lui deve solo aprire la porta. «Senti, ho due amiche brasiliane nere. Ti piacciono nere?». Frulloni ride, risponde con titubanza: «No… mi fanno schifo… ». Anche se Ricci ha subito una soluzione di riserva. «…O bianche, bianche!».

Notti euforiche. Frulloni parla con un altro imprenditore, genovese, che è nel giro delle grandi opere. «Pronto dove sei? Io sono con Ricci: andiamo a figa!». «Beati voi, c’è qualcosa per me?». E Ricci: «I soldi ce li spendiamo in mignotte». E l’altro: «Le pasticche ce l’hai?».

1 commento:

  1. Sbaglio o questo losco figuro disse:con la mafia bisogna conviverci!

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