mercoledì 29 maggio 2019

Il giornalista Fini: "In Italia non piace la legalità, hanno vinto i corrotti"



E’ la vittoria del variegato partito dei corrotti, cosa che non dovrebbe poi meravigliare più di tanto visto che in Italia sono la stragrande maggioranza. La parola “legalità” non ha diritto di cittadinanza nel nostro Paese. La sera di domenica nelle varie no-stop televisive i conduttori e soprattutto i commentatori non riuscivano a trattenere l’esultanza per il tonfo dei 5Stelle, mentre dalle finestre aperte delle ricche e borghesi case milanesi si udivano grida di trionfo, come dopo l’ultima nostra vittoria ai Mondiali di calcio, non tanto per l’exploit di Matteo Salvini quanto per la clamorosa caduta dei 5Stelle. Una buona mano l’han data le cosiddette sinistre attaccando per anni i grillini a spada tratta, con motivazioni molto profonde, basate soprattutto sui congiuntivi, e aprendo così la strada alla destra più becera, più antropologicamente razzista, più antisociale che si sia mai vista in Italia, perché anche il Fascismo un programma sociale almeno ce l’aveva.

 Massimo Fini per Il Fatto Quotidiano, 28 maggio 2019

Scanzi: "Di Maio viene trattato come se fosse un problema per l'Italia, ma non lo è"



Di Andrea Scanzi oer ilFattoQuotidiano.it

"Premessa 1 (che a qualcuno non farà piacere): non sono riuscito ad appassionarmi a queste Europee, me ne fregava poco prima e meno di niente adesso. Per il referendum 2016 ci sentivo tantissimo. Per le elezioni 2018 mi sentivo carichissimo. A queste elezioni qua mi sono avvicinato come ci si avvicina a un fagiolo lesso. E mi annoiano mortalmente quelli che ne parlano come se domenica fosse accaduta una tragedia. Ma state calmi, via.

Premessa 2: non chiedetemi neanche di essere stupito. Con Luca Sommi, giocando, avevo detto Salvini 32 Zinga 24 M5S 20. Quindi ho sbagliato di molto poco. Erano i talebani 5 Stelle a vivere sulla Luna, convinti che i sondaggi li avesse fatti Soros e che tutti fossero felici di ‘sto governo senza infamia e senza lode.
Ciò detto, mi colpisce – ma non mi stupisce – questo godimento trasversale per il disastro che ha travolto Di Maio. Capisco gli orgasmi dei bimbominkia ultrarenziani, ma vedere tutta questa foia garrula in giornalisti e “intellò” fa un po’ cascare le palle (le loro; le mie stanno bene). Di Maio ha sbagliato tanto, ma spenderei tutto questo entusiasmo (e livore) quando i gasparri non faranno più parte della politica italiana. Il problema dell’Italia non è certo Di Maio, che almeno è una brava persona e tante cose buone le ha fatte.

Con trasporto minimo ed entusiasmo nullo, nel giorno del redde rationem grillino a Roma butto giù alcune considerazioni su Di Maio e 5 Stelle. Poi però basta, altrimenti mi annoio.

– Nessuno può fare contemporaneamente il vicepremier, il ministro (due volte) e il leader di partito. Neanche Adenauer. E Di Maio non è decisamente Adenauer.

– Reagire alla sconfitta – come molti ultrà grillini fanno – dando la colpa all’elettorato “insensibile e ladro” è bambinesco e patetico. E vi farà perdere ancora più voti. Anche perché è lo stesso elettorato che vi aveva votato in massa a marzo 2018. Quindi la colpa, a questo giro, è solo vostra.

– Ed è solo vostra perché avete fatto cose belle, che in pochi hanno sottolineato e che voi avete pure comunicato malissimo, ma avete fatto anche porcate vili come salvare Salvini sulla Diciotti per mero (e stolto) calcolo politico, neanche foste diventati democristiani minori. Lì avete tradito voi stessi e avete insultato chi ve lo faceva notare. Non solo avete dimostrato – in quel caso – di non capire nulla di politica (Salvini non avrebbe mai fatto cascare il governo), ma peggio ancora avete tradito voi stessi. Con l’avallo di un pavidissimo (in quel caso) Di Maio. E certe cose, poi, nell’urna le paghi.

– Avete un elettorato esigente che non vi perdona le cazzate e con voi ha dato l’ultima chance alla politica: se deludete voi, loro smettono di votare per sempre. Infatti il 38% di chi vi ha votato a marzo 2018 se n’è stato a casa e quasi nessuno (il 4%) ha votato Pd. Se dite di essere i migliori e poi sembrate di colpo il predellino di Salvini, la pagate cara. E infatti quasi metà del vostro elettorato se n’è stato a casa. Non era difficile prevederlo.

– Di Maio è stato sussiegoso oltremodo fino alla “via della seta”, per poi di colpo trasformarsi in picconatore esagitato anti-Salvini dopo. Totale mancanza di misura.

– “E’ colpa dei giornalisti”. Mah. Vi odiano da sempre, ma fino a domenica quella demonizzazione (spesso a casaccio) vi ha rafforzato. Come accadeva con Berlusconi. Se ora non è successo, un motivo ci sarà. Cercate una risposta, se non volete che a votarvi la prossima volta restino giusto i babbei ultrà col poster del sanculotto Giarrusso (Mario) in camera.

– Sempre a proposito di giornalismo. Nel 2019, ancor più a ridosso del voto, Di Maio è stato ovunque in tivù. Ovunque. Anche a sportellarsi con la Chirico da Porro. Anche nel canale satellite degli studenti del Liceo Fava. Anche nel sottoscala del Poro Merda. Proprio ovunque. Tranne che da noi ad Accordi & Disaccordi, noti mangia-grillini servi di Renzi, Salvini e Berlusconi. Lo abbiamo invitato 8mila volte e alla fine – come se fosse una regale concessione – aveva promesso di essere da noi mercoledì 22 maggio (in collegamento mezz’ora). Eccezionalmente in prima serata. Il canale Nove aveva predisposto una puntata speciale ad hoc, con tutto ciò che ne consegue (anche in termini di costi). Lo avevamo anche annunciato durante la puntata con Paragone e Gomez. Poi, due giorni prima della messa in onda, Di Maio ha fatto disdire tutto tramite “chi gli cura la comunicazione”. Wow: che stile, che correttezza. Detto che sopravvivremo tutti e che i problemi sono altri, un simile atteggiamento è da peracottari miopi quando non maleducati. Così non vai lontano.

– Per ora la vostra fortuna è che perdete sempre le elezioni che contano di meno, cioè le Europee. Se però non vi rialzerete in fretta, alle Politiche andrà anche peggio (alle Amministrative e Regionali accade già).

– Di Maio non ha solo colpe, chi lo asserisce è in malafede, e resta uno dei più bravi lì dentro: ma alcune colpe le ha. Per esempio avere detto 180 volte tra giugno e dicembre 2018 che “io e Salvini ci capiamo al volo”. Come se, poi, la cosa costituisse un vanto. Ehi, bimbo: prima delle elezioni dicevi che Salvini era quello che “Vesuvio lavali col fuoco” e poi di colpo ci limoni duro? Dai, su.

– Avere criticato la Raggi (e nelle stanze neanche troppo segrete Di Maio lo ha fatto eccome) perché era stata a Casal Bruciato “nel giorno di Siri” è stato pietoso. Andava casomai applaudita, la Raggi.

– La scena sul balcone è stata dilettantismo puro. La “sacra teca” con la tessera numero 1 del reddito di cittadinanza è stata patetica. E dire (più o meno) “aboliremo la povertà” è stato da neuro. Tutte cose che, purtroppo per Di Maio e 5 Stelle, rischiano di offuscare le tante cose buone fatte.

– Parlo a titolo personale, ma questa sbroscia dei soldi restituiti dallo stipendio è una grande rottura di palle. Bella, eh. Nobile, eh. Bravi. Ma non ho mai pensato che una brava persona dovesse per forza rifuggire la ricchezza, ancor più se meritata. Quei soldi sono vostri e non frega niente a nessuno se li ridate o no. Anzi, ci fate pure la figura dei bischeri. Teneteveli: sono vostri. Meglio immaginarvi a bere Champagne nel privato che vedervi salvare Salvini al governo.

10 bis. Vale lo stesso per la storica” riduzione dei parlamentari. Bella, eh. Bravi, eh. Ma sticazzi? Non me ne frega nulla. Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore (cit).

– Vedere i Sibilia e le Castelli sottosegretario all’Interno e viceministro all’Economia è semplicemente osceno. Non li vorrei neanche ad amministrare un geranio depresso.

– Se in un anno e tre mesi il tuo collega di governo raddoppia i voti e tu li dimezzi, vuol dire che tu per lui sei stato linfa e lui per te è stato Demonio. Può essere ingiusto, cattivo, folle. Quel che vuoi. Ma così è. Di Maio e i 5 Stelle sono stati il perfetto maquillage per far sembrare nuovo il partito più vecchio della politica italiana. Mero dato di fatto.

– Lunedì, in conferenza stampa, Di Maio è parso distrutto. Ci sta. Mi è parso però possibilista, o quantomeno fumoso, sul Tav. Come a dire: “Tutto pur di stare al governo”. Forse ho capito male io. Forse.

– Sono tre anni che parlate di una seria organizzazione su scala locale e nazionale, ma ancora sembrate “una strana monarchia elettiva” (cit Travaglio). Datevi una svegliata. Di Maio non è il “male” del movimento, chi lo dice/pensa o è in malafede o è una serpe frustrata, ma non può fare tutto da solo. E il primo a dovergli dare una mano è Di Battista. Come lui ben sa.

– Se siete arrivati fin qui senza imprecare mi fa piacere. Se invece state per insultarmi nei commenti, evitate di farmi perdere tempo bannandovi: non ho tempo per perdere tempo e non voglio ultras tra le palle. La stupidità mi annoia.

– Gran Finale. I 5 Stelle, oggi, sono in un cul de sac: come si muovono, si muovono male. In una tale condizione per loro disastrosa, l’unica certezza è questa: meglio far cadere il governo che vivacchiare tirando a campare. Ve lo dico da sempre, ma voi niente: a volte siete duri come le pine verdi. Ora non c’è più tempo: cercate un “pretesto” serio, tanto con la Lega non avete quasi nulla in comune e un pretesto lo trovate. Fate saltare il banco. Ritrovate voi stessi, se ancora un “voi stessi” esiste. E tornate a fare quello che sapete fare meglio: l’opposizione. Perderete poltrone. Perderete potere. Ma non perderete l’anima. Più starete dentro il Salvimaio e più lui vi spolperà. Più vi incollerete alla cadrega e più evaporerete.

Buona fortuna, anzitutto (privata) a Di Maio, che certo non è “il” problema dell’Italia (ma in tanti lo stanno trattando come se lo fosse).

Passo e chiudo.
Amen."

Conte show: "Non m'interessa delle elezioni, dobbiamo continuare a lavorare per gli italiani!"



“Commissariato da chi? Salvini ha sempre fatto parte delle forze del mio governo. Perché dovrei sentirmi commissariato?”. E’ quanto ha detto il premier, Giuseppe Conte, al suo arrivo a Bruxelles per il vertice dei capi di Stato e di governo dell’Unione europea. “Adesso – ha aggiunto il presidente del Consiglio – dobbiamo lavorare e rilanciare l’azione di governo”.

Sul tema della flat tax da 30 miliardi, proposta dal leader della Lega Matteo Salvini, Conte ha aggiunto: “Non abbiamo ancora iniziato a discutere della manovra economica e della riforma fiscale, inizieremo a esaminare le priorità che sono quelle scritte nel contratto e che non abbiamo ancora realizzato per mancanza di tempo. Poi ci sono tantissimi obiettivi, oggi abbiamo fatto una riunione operativa sul decreto sblocca cantieri e siamo in sede di conversione”. “Abbiamo chance e la determinazione per rivendicare per l’Italia le posizioni che merita”, ha aggiunto il premier interpellato sulle nomine europee senza però entrare nel merito dei ruoli.

Parlando dell’esito del voto Conte ha detto che “è giusto che gli esponenti delle forze politiche che hanno fatto campagna elettorale abbiano il tempo per commentarla”. “Come sapete – ha detto ancora – io non mi sono cimentato, credo che neppure a casa sappiano per chi ho votato, mi sono tenuto lontano perché è giusto nel mio ruolo aver vissuto da privato cittadino votante la campagna elettorale. Adesso dobbiamo lavorare, c’è l’azione di governo che ci aspetta, abbiamo in cantiere tante iniziative, dobbiamo rilanciare l’azione di governo”.

Alla domanda se sarebbe d’accordo nel rivedere il mandato della Bce Conte ha detto che “ci sono tanti dossier aperti” e “uno è anche quello: abbiamo tanto da lavorare”.

Mossa di Costa sull’Ilva. Si ridiscute l’autorizzazione. Nuovi criteri del ministro per l’acciaieria. Così si riaccende la stella green del M5S



Il duro responso delle urne sembra far tornare a splendere l’astro verde nella costellazione pentastellata. Tra via libera al gasdotto Tap, fanghi da depurazione con alti carichi di inquinanti da spargere sui terreni agricoli e condoni a Ischia, l’ala ortodossa del Movimento da mesi lamenta la perdita della vocazione green dopo l’abbraccio con la Lega e l’ingresso a Palazzo Chigi. Ieri mattina, a 48 ore di distanza dalla doccia gelata delle europee, il ministro Sergio Costa, da buon generale, ha così annunciato la nuova strategia sull’Ilva, dicendo di aver avviato una revisione dell’autorizzazione integrata ambientale per lo stabilimento di Taranto.

I tarantini e non solo, quando Luigi Di Maio e i pentastellati di Governo hanno deciso di mandar avanti le acciaierie anziché chiudere tutto come promesso in campagna elettorale, avevano fatto diversi passi indietro dal M5S. Avviata la strategia di recupero, nel corso di un’audizione in commissione ambiente alla Camera, il ministro ha invertito la rotta sull’aspetto più delicato per le politiche verdi a 5 stelle.

LA NOVITA’. L’Ilva di Taranto, l’acciaieria più grande d’Europa, da sempre la principale fonte di lavoro per i cittadini di Taranti, ma anche quella che avvelena l’aria del capoluogo, il 1 novembre 2018 è entrata a far parte del colosso Arcelor Mittal. L’attività è andata avanti, nonostante la condanna per la mancata tutela della salute emessa dalla Corte europea di Strasburgo, e sia i tarantini che gli ambientalisti si sono sentiti traditi dal Movimento5Stelle che dello stop all’Ilva aveva una sua bandiera. Intervenendo in commissione sulla piaga dell’inquinamento dell’aria e dunque anche sulle emissioni dell’acciaieria pugliese, il ministro dell’ambiente ha esordito parlando di una situazione ancora critica. Ma poi ha subito annunciato la novità che dovrebbe riavvicinare ortodossi e attivisti green, l’avvio della revisione della cosiddetta AIA.

TUTTO DA RIFARE. Costa ha precisato che il riesame dell’autorizzazione è finalizzato a introdurre “eventuali condizioni aggiuntive motivate da ragioni sanitarie”. Dunque a dare un giro di vite a produzione e relative emissioni. Un atto compiuto dopo che il 21 maggio scorso lo ha sollecitato il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, del Pd, visti gli esiti del rapporto di valutazione del danno sanitario elaborati da Arpa Puglia e Asl Taranto, che hanno evidenziato un rischio residuo non accettabile per la popolazione. “Si apre una nuova pagina per Taranto”, ha detto. E magari anche per i consensi a 5 stelle.

domenica 26 maggio 2019

Arriva la prima proiezione: crollo M5S, boom Lega. Pd secondo partito



Ecco il risultato delle prime proiezioni:
Lega 30%
PD 22%
M5S 18%

Europee, primo Exit poll Opinio Italia per la Rai: Lega primo partito con il 27-31%, Pd 21-25%, M5S 18,5-22,5%



La Lega, in base al primo Exit poll del consorzio Opinio Italia per la Rai, è il primo partito con il 27-31%. Il Pd è al 21-25%, M5s al 18,5-22,5%, Forza Italia all’8-12%, Fratelli d’Italia al 5-7%, Più Europa 2,5-4,5%, Europa Verde 1-3%, La Sinistra 1-3%, Partito Comunista 0,1-1,5%.

mercoledì 22 maggio 2019

Preparatevi, dopo le elezioni arriva il decreto targato M5S che tutti i partiti temono: il conflitto d'interessi



“Berlusconi è terrorizzato dal cambio dello status quo. È preoccupato per la legge sul conflitto di interessi, che stiamo per presentare e approvare”.

Lo ha detto il vicepremier Luigi Di Maio, nel corso di un’iniziativa elettorale del Movimento 5 Stelle a Milano.

Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio, durante un altro incontro elettorale a Pescara di qualche settimana fa, sempre in merito alla legge e mostrando un video in cui il leader di Forza Italia invitava gli elettori del M5S a svegliarsi, aveva detto: “Non voglio fare una legge contro qualcuno. Di solito si pensa a una sola persona e invece sono tanti, sono quelli che gli hanno fatto opposizione per anni e lui sicuramente è quello che ha più paura di tutti”.

Il pregiudicato invece, durante una puntata del programma televisivo “L’Aria Che Tira” su La7 a cui era ospite, aveva affermato che “il conflitto di interessi è semplicemente, non solo ridicolo, ma anche incostituzionale perché la nostra costituzione garantisce parità di fronte alla legge di diritti e di doveri a tutti i cittadini” per cui “distinguere secondo il censo dei cittadini, se uno possa fare politica o amministrare cariche pubbliche, è qualcosa contro la nostra costituzione”.

La conduttrice, Myrta Merlino, era intervenuta osservando che “non è il censo, ma il tipo di attività che si fa, che può influenzare l’elettorato o meno”.

“Certo – aveva replicato Berlusconi – ma io non sono preoccupato di queste tre proposte di legge, che indicano anche il fatto che i 5 Stelle sanno della loro incapacità e quindi vogliono eliminare chi invece è molto più in alto di loro quanto a esperienze, capacità, cultura, preparazione, sarà la stessa Corte Costituzionale ad eliminare questo pericolo”.

Mafia Capitale, condannato il braccio destro di Zingaretti. Il M5S chiede le sue dimissioni immediate mentre i media censurano la notizia



Condannato Venafro (ex capo di gabinetto di Zingaretti). M5S: «E c’è ancora chi ha il coraggio di negare Mafia Capitale?»

«Un anno di reclusione (pena sospesa), 500 euro di multa e divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per dodici mesi: è la condanna che i giudici hanno inflitto a Maurizio Venafro, ex capo di Gabinetto e braccio destro del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, per il reato di turbativa d’asta in relazione a una presunta attività interferenza durante l’iter della gara d’appalto (del valore di 90 milioni di euro) per l’assegnazione del servizio cup (centro unico di prenotazione) della Regione Lazio nel 2014. E c’è ancora chi ha il coraggio di negare Mafia Capitale?».

Il Movimento 5 Stelle commenta così la notizia della condanna inflitta a Venafro dalla III Corte d’Appello.


All’ex capo di Gabinetto di Zingaretti è stato anche disposto il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per 1 anno.

Nel processo di primo grado – come riportato dal Fatto Quotidiano – l’ex braccio destro del governatore era stato assolto con formula piena “per non avere commesso il fatto“, ma il 12 aprile il sostituto procuratore generale di Roma, Pietro Catalani, aveva chiesto al collegio giudicante di condannarlo ad un anno di reclusione.

La III Corte d’Appello ha anche confermato la condanna con la stessa accusa ad 1 anno e 4 mesi nei confronti di Mario Monge, ex dirigente della cooperativa Sol.Co. La vicenda – si legge sul Fatto – “è legata all’affidamento della gara d’appalto per l’assegnazione del servizio Cup della nel 2014, il centro unico prenotazioni delle prestazioni sanitarie della Regione, appalto bloccato dalla Pisana dopo i primi arresti nel dicembre del 2014 per Mafia Capitale”. Secondo l’accusa, è scritto nel capo di imputazione, Venafro «avrebbe concorso a indirizzare l’aggiudicazione dell’appalto in un’ottica di spartizione tra cooperative vicine ad ambienti di destra e di sinistra».

Radio Radicale: fine dei "privilegi" di Stato! Solo il M5S è riuscito a tagliare questo spreco



Ormai è certo: stop alle regalie di Stato a radio Radicale.

Oggi è scaduta la convenzione con il ministero dello Sviluppo Economico e l’emittente di Emma Bonino non prenderà più soldi dello Stato a sbaffo e senza alcuna plausibile giustificazione.

Finalmente il magna magna dei radicali, per decenni, sulle nostre spalle, è finito.

I presidenti, riuniti in Commissione Bilancio alla Camera per discutere del Decreto Crescita, hanno ritenuto inammissibili tutte le proposte di proroga della convenzione per Radio Radicale, a partire dall’emendamento della Lega a firma Massimiliano Capitanio che prevedeva il prolungamento della convenzione per 6 mesi, con 3 milioni e mezzo di fondi.

Appare ben strana questa alleanza tra la Lega e Emma Bonino per difendere Radio radicale, per difendere sprechi da parte di chi vuol diminuire le tasse: come si possono abbassare le tasse se gli sprechi continuano, se continua il magna magna a destra e a manca?

Questa volta invece la Spending Review è stata fatta davvero.

Non come la fece Cottarelli, farlocca, ma vera ed effettiva: lo Stato risparmierà oltre 20 milioni di euro nel 2019. In tutta la legislatura il risparmio sarà di 100 milioni di euro.

Avete letto bene: 100 milioni di euro di soldi pubblici risparmiati e tolti al magna magna dei radicali della Bonino.

Ripetiamo l’invito alla Bonino: se ci tiene a Radio Radicale si rivolga allo squalo che spolpò l’Italia, speculando contro di essa e che costò a noi cittadini miliardi di lire a non finire. Si rivolga a Soros che già la foraggia per la sua campagna elettorale per le europee. Chieda a Soros di dare a Radio Radicale 100 milioni di euro per i prossimi 5 anni.

Se ci pensate bene, è un atto di arroganza e di improntitudine, entrambe schifose, il solo fatto di ardire a chiedere tutti questi soldi pubblici per nulla: quelli di Radio Radicale si guadagnino da vivere lavorando come facciamo tutti e non vivendo a sbaffo sulle nostre spalle.

La risolutezza dei 5 Stelle di resistere a qualsiasi pressione per porre fine al magna magna di Radio Radicale merita davvero un encomio.

Altro che il trombone di Cottarelli, il super esperto di Spending Review che non osò tagliare un solo spreco, a partire da quello di Radio Radicale.

Questo è un messaggio veramente efficace per tutti coloro che vivono dagli sprechi e dai magna magna: le regalie politiche con il Governo del Cambiamento sono finite!

Le camarille con il Governo a 5S non si fanno più.

In tanti hanno cercato di chiudere i rubinetti di denaro pubblico per Radio Radicale, solo il Movimento 5 Stelle è riuscito a farlo!

Finalmente stop denaro pubblico a sbafo e senza giustificazione ai radicali di Bonino.

Stop a tutti i magna magna.

Che tutti imparino a guadagnarsi da vivere con il sudore della fronte, come fanno la maggior parte dei cittadini, molti dei quali col loro stipendio, guadagnato con molte fatiche, non riescono ad arrivare a fine mese e a partire dal 20 di ogni mese cominciano a tirare la cinghia.

Sarebbe stato un terribile insulto, un inaccettabile insulto, fatto direttamente a loro se si fosse permesso la continuazione del magna magna di Radio radicale e se si permetterà la perpetrazione di tutti gli altri magna magna.

A partire da quello proposto dal PD, di dare 100 milioni di euro ai partiti.

Ecco perché solidarizzano con Radio Radicale: sono parassiti di Stato come loro.

Alle europee diamo un altro calcio ai vecchi partiti. Come il 4 marzo



Le europee dimostreranno quanto i cittadini credono davvero al cambiamento. E come il 4 marzo non sia stato un incidente di percorso, ma il primo passo verso un nuovo paradigma. I cittadini sono chiamati a votare dopo un anno intensissimo di propaganda avversa. Un anno intero in cui le vecchie lobby hanno covato vendetta aizzando i propri giornalai contro il governo gialloverde ogni santo giorno. Vedremo se verrà confermata o meno la refrattarietà dei cittadini all’informazione spazzatura. E se si dimostreranno ancora capaci di ragionare con la propria testa, i cittadini non potranno che confermare la fiducia a questa fase di rinnovamento della nostra democrazia. Magari non perfetta – se mai la perfezione sia possibile in politica – ma perlomeno la malconcia democrazia italiana si è rimessa in moto dopo decenni di stallo partitocratico e si è rimessa in moto nella direzione decisa dai cittadini nelle urne. Finalmente governano due forze al servizio del “popolo” dopo decenni in cui la politica è stata al servizio di caste e di lobby onnivore. Dei tre pilastri del vecchio regime (lobby-partiti-stampa), le lobby sono ancora le più attive ed agguerrite nel sabotare il cambiamento, questo perché hanno le tasche ancora piene di soldi e dispongono della stampa e di schiere di servitù pronte alla bisogna. Quanto al terzo pilastro – i vecchi partiti – Pd, Forza Italia e Comunisti col Rolex versano in uno stato davvero penoso. La loro totale assenza di idee e contenuti è pari solo alla loro totale assenza di credibilità. Ma quello che sorprende è l’arroganza. Nonostante l’ecatombe del 4 marzo, non hanno cambiato di una virgola. Le stesse facce, le stesse parole, la stessa nullità. Fermi, ottusi e resi acidi dallo sterile desiderio di vendetta per riottenere le poltrone e le prebende perdute. Vedremo quanti cittadini si ostineranno a buttare il proprio voto nel cesso votando forze politiche che dopo aver fallito clamorosamente nel passato, propongono lo stesso modello e gli stessi uomini anche per il futuro. Una assurdità. Nell’ultimo anno i reduci del vecchio regime hanno infamato i populisti o come pericolosi o come incapaci. Hanno sparso panico ad ogni dove e si sono accaniti anche sui singoli. Strada facendo le loro nefaste previsioni sono state smentite una dopo l’altra e stando semplicemente ai fatti la lista dei risultati raggiunti dal governo è molto ricca soprattutto grazie al Movimento 5 Stelle. In attesa che quelle misure impattino progressivamente nella vita delle persone, è palese come questo governo abbia dimostrato coerenza verso i cittadini e coraggio delle proprie idee. Un approccio fattivo e libero dai condizionamenti esterni come quello dei tecnocrati internazionali e del pensiero tutto finanza e niente cuore. Il vecchio regime l’ha buttata in rissa per fermare questo governo e si è accanito soprattutto contro il Movimento 5 Stelle essendo la vera forza innovativa e con un bagaglio di contenuti potenzialmente letali per il vecchio modo di fare politica e i suoi protagonisti. Una rissa di matrice ideologica perché solo tornando indietro ai tempi della destra e della sinistra il vecchio regime può trovare un senso utile a sopravvivere. Con queste europee vedremo i risultati di un anno di sabotaggio e quanto invece i cittadini si ostinino a credere nel cambiamento ribadendo come il 4 marzo non sia stato un incidente di percorso, ma il primo passo verso un nuovo paradigma.

lunedì 20 maggio 2019

Taglio numero dei parlamentari, PD e FI pronti alla guerra: "Non lo permetteremo"



C’è chi punta ad abbassare l’età minima per gli aspiranti senatori. E pure quella prevista per il Presidente della Repubblica. Che Fratelli d’Italia propone venga eletto direttamente dai cittadini. Senza parlare della lotteria sulla composizione del futuro Parlamento. C’è chi vorrebbe aumentare il numero dei deputati a 500 (+Europa), 100 in più di quanto previsto dalla proposta di legge (pdl) costituzionale M5S-Lega già approvata in prima lettura a Palazzo Madama, e chi, invece, vorrebbe abbassare a 100 (il Pd) quello dei senatori, che la stessa pdl di maggioranza fissa a 200.

Insomma, c’è davvero di tutto nei 50 emendamenti che, martedì prossimo, saranno esaminati dalla commissione Affari costituzionali della Camera, presieduta da Giuseppe Brescia (M5S). “Lavoreremo con l’obiettivo di rispettare i tempi previsti per l’arrivo in aula del provvedimento, fissato dalla capigruppo per lunedì 29 aprile”, promette il presidente della commissione. Dove molti degli emendamenti (nessuno dei relatori) sembrano già destinati all’inammissibilità.

A farla da padrone sono le proposte di modifica del Partito democratico (circa la metà del totale). Puntano, innanzitutto, ad abbassare, rispetto alla pdl M5S-Lega, il numero dei senatori da 200 a 100 e pure l’età minima richiesta per candidarsi a Palazzo Madama (a 25 anni). Ma, allo stesso tempo, rilanciano il superamento del bicameralismo perfetto, rispolverando, in versione rivista e corretta, un pezzo della riforma Renzi-Boschi già bocciata al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche” e “i referendum popolari”, recita l’emendamento 1.6.

Elencando una serie di competenze che vanno dalle “leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane” alla “formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea”. Tutte le altre leggi, specifica il testo, “sono approvate dalla Camera dei deputati”. Solo l’assemblea di Montecitorio, inoltre, accorda e revoca la fiducia al Governo. Ma non è tutto.

Gli emendamenti 2.18 e seguenti del Pd, prevedono che “i presidenti delle Giunte regionali e i presidenti delle Province autonome di Trento e di Bolzano, partecipano con diritto di voto ai lavori del Senato limitatamente all’esame dei disegni di legge” concernenti la materia dell’autonomia regionale (articoli 116, 119, 120 della Costituzione), del sistema di elezione e dei casi di ineleggibilità e incompatibilità degli organi regionali (122), della fusione e creazione di nuove Regioni (132).

Nonché, aggiunge il testo, “all’esame dei disegni di legge in materia di rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni, in materia di rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni”, di “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e in materia di governo del territorio”. Poi ci sono gli emendamenti di +Europa. Che puntano ad innalzare il numero dei deputati a 500 e quello dei senatori a 250 (contro i 400 e i 200 previsti dalla pdl M5S-Lega). E’, invece, di Liberi e Uguali il copyright della proposta di abbassare a 40 anni l’età minima richiesta per l’elezione alla presidenza della Repubblica e a 25 per gli aspiranti senatori.

Come pure dell’emendamento che punta ad aumentare fino a 530 il numero dei seggi alla Camera dei deputati e a 265 quelli del Senato. E non finisce qui. A sparigliare ci pensa Fratelli d’Italia, con un emendamento che guarda al Quirinale. “Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto”, recita il 3.02, tra i cittadini che abbiano compiuto quarant’anni. Resta in carica “per cinque anni”, invece degli attuali sette, e può essere rieletto una sola volta. Nomina il primo ministro e “presiede il Consiglio dei ministri”. Insomma, di tutto di più. Semipresidenzialismo compreso.

Conte si è stufato e attacca frontalmente la Lega: "Non permettetevi più a mettere in dubbio il mio operato per il bene degli italiani"



“Il presidente del Consiglio sin dall’inizio, fin da quando è iniziata la competizione elettorale, non si è lasciato coinvolgere, sono rimasto sempre al di fuori della dialettica. Non troverete mai una mia dichiarazione o posizione a favore di dell’una o dell’altre parte politica coinvolte. Ora, in questo ultimo rush finale, vedo che la vis polemica e le reazioni emotive diventano più intense e accese. Attenzione, lo dico a tutti e a tutte le forze politiche che sostengono questa esperienza di governo: fino a quando c’è dialettica è comprensibile, ma quando si trascende fino comprendere il presidente del Consiglio e mettermi in dubbio l’imparzialità non è una cosa grave ma diventa gravissima”. E’ quanto ha detto il premier Giuseppe Conte, a margine della sua visita a Borbona, uno dei comuni del Reatino colpiti dal sisma del 2016, commentando le parole del sottosegretario Giancarlo Giorgetti.

“C’è una grammatica costituzionale – ha aggiunto il premier -, noi dobbiamo fidarci, siamo il governo del cambiamento che rifugge le opacità della vecchia politica. Se si mette in discussione l’operato del presidente del Consiglio si mette in discussione anche l’azione di governo e allora bisogna farlo con percorsi chiari e trasparenti. Le sedi ufficiali sono il Consiglio dei ministri e in prospettiva il Parlamento. Non possiamo accettare allusioni, insinuazioni affidate alla stampa o a una mezza intervista, bisogna affrontarlo in modo molto chiaro. La grammatica costituzionale chiede che chi lo faccia si assuma conseguentemente la responsabilità. Non si può dare la piena fiducia nell’operato del presidente del Consiglio – ha concluso Conte – e pochi giorni dopo metterne in discussione l’operato e l’imparzialità”.

Clamoroso! Di Maio denunciato da un parassita. Il motivo? Il taglio del vitalizio



Ha denunciato per alcuni tweet il vicepremier Luigi Di Maio, per "violenza privata", gli europarlamentari pentastellati Ignazio Corrao e Tiziana Beghin per aver modificato il regolamento per l'attribuzione dei vitalizi, e la giornalista di La7, Myrta Merlino, per diffamazione. La conduttrice de "L'aria che tira" aveva definito gli stessi vitalizi dei "privilegi rubati" durante una delle trasmissioni dedicate a questo argomento. Continua la battaglia, a colpi di carte bollate, dell'ex parlamentare vittoriese Giorgio Pizzol, 77 anni. Pizzol, qualche giorno fa, si è recato dai carabinieri per presentare formale denuncia dopo la riduzione del vitalizio che lo stesso percepiva in seguito al suo unico mandato da senatore nelle fila del partito socialista italiano, dal 1987 al 1992.

domenica 19 maggio 2019

"I politici italiani rubano e loro parlano della Raggi?". Giornalista tedesca sputtana i nostri media


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In un post sulla sua pagina Facebook, la giornalista tedesca Petra Reski torna sui vergognosi attacchi dei giornalisti nostrani a Virginia Raggi, ma ha anche un messaggio per tutte quelle persone che dopo il Caso Banca Etruria hanno attaccato la Boschi urlando al "sessismo"

Riportiamo il post:

"Certo fa male a tanti uomini lavorare "sotto" una donna. In particolare quando questa donna è carina e giovane e richiede una cosa così improbabile, scandalosa, eccessiva e inaudita come "non rubare" - in un paese in cui da decenni tutta la classe politica e dirigente, dal presidente del consiglio fino all'ultimo assessore si vanta di rubare davanti agli occhi di tutti. Incompetente, certo. Allora fa bene sfogarsi con un giornalistino in un bar.
Mi chiedo: Dove sono quelli che gridano di sessismo appena si rivela che una ministra è coinvolta negli affari sporchi di suo padre banchiere? E dove sono le donne che si fabbricano un pussy hat per una marcia in favore di Virginia Raggi?"


Luisella Costamagna: "Grazie M5S, se non ci foste bisognerebbe inventarvi"


(di Luisella Costamagna – ilfattoquotidiano.it) – Cari 5Stelle, se non ci foste bisognerebbe inventarvi. Avete finalmente portato aria nuova nella politica e nell’informazione italiana. Grazie alle proposte? Macché, con voi contano soprattutto gli errori! E di errori ne avete fatti e perseverate.


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Come l’ultimo, grave per chi ha fatto dell’onestà e della trasparenza la propria carta d’identità: la mancata restituzione di parte dello stipendio di alcuni vostri parlamentari e la candidatura di tre affiliati alla massoneria.

Vi tocca cacciarli, perché incarnano il tradimento dei principi con cui vi siete presentati agli italiani, ma non è facile essendo ormai in lista. Bisogna sperare che non siano eletti o, se lo saranno, facciano un passo indietro una volta entrati in Parlamento. Ma tra l’ok alle dimissioni (sempre che ci siano) della Camera di appartenenza e le sirene degli altri partiti, alla ricerca famelica di fuoriusciti, finiranno verosimilmente in qualche altro gruppo (tanto più che sono gratis). Insomma, avete fatto un bel casino e, nella migliore delle ipotesi, perderete subito dopo il voto qualche parlamentare.

Un errore di cui però dobbiamo dirvi grazie. Finalmente, grazie a voi, possiamo vedere una Politica con la P maiuscola, che parla di onestà, trasparenza, coerenza, e un’informazione con la schiena dritta, che titola “Candidato massone”, “Rimborsi farlocchi” e spiega nel dettaglio come si possa revocare entro 24 ore un bonifico bancario. Un’accuratezza che abbiamo visto poco, chessò, per l’inchiesta Consip o i processi di Berlusconi. Finalmente, grazie all’unico partito che si è tagliato gli stipendi – magari non tutti gli eletti, ma la maggior parte sì – versando oltre 23 milioni di euro al fondo per le piccole e medie imprese, e ha rinunciato a vitalizi e rimborsi elettorali, tutti gli altri partiti – che quei soldi li incassano tranquillamente – possono tirare un respiro di sollievo. Finalmente, con 76 “impresentabili” in lista (non per violazione di una regola interna al partito, ma del codice penale) e leader pregiudicati per frode fiscale e indagati per mafia, i rappresentanti della coalizione renzian-berlusconiana possono alzare il ditino e dire “Eh no, così non si fa” e il quotidiano di famiglia del suddetto pregiudicato titolare “Disonestà, disonestà, disonestà”. Finalmente, grazie a voi, hanno capito cosa significa? E finalmente, grazie a un partito che caccia un massone, gli altri – quelli dei leader piduisti, degli intrecci con la P3 (pure negli incontri di papà Boschi per Banca Etruria) o del Pd in cui bisogna “comunicare preventivamente a quali altre associazioni si sia iscritti” – possono sentenziare: “Da noi certe cose non succedono”. Nel senso che gli “assonnati” non vengono messi alla porta (anzi, ad avercene?).

Finalmente, grazie a voi, sentiamo Renzi citare Craxi in negativo (salvo poi “scusarsi con chi si è sentito offeso”: Di Maio o la figlia Stefania?) e definire il M5S “arca di Noè di truffatori e massoni. Querelatemi se dico il falso”, lasciando presagire una class action.

Insomma, cari 5Stelle, siete diventati il più potente alibi della politica e dell’informazione nostrane, le loro palline anti-stress. Attenti però a quelle degli italiani: a forza di errori, tendono a girare.

Un cordiale saluto.

«Non si può usare un carabiniere o un poliziotto come autista privato». Il Governo pronto a tagliare le scorte ai politici




L'annuncio del Viminale: pronta la "razionalizzazion" delle forze dell'ordine per le misure di tutela personale.


il Viminale annuncia la razionalizzazione partirà una razionalizzazione delle 585 scorte attualmente in vigore, di cui 15 per personalità nei confronti delle quali c'è massima allerta. Lo affermano fonti del Viminale sottolineando che la questione è stata affrontata ieri nel corso del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica. L'obiettivo del ministro dell'Interno Matteo Salvini è una verifica dei dispositivi di protezione per evitare errori di valutazione e, inoltre, prevenire abusi e sprechi.

I numeri
Le scorte oggi in vigore occupano complessivamente 2.072 unità delle forze dell'ordine: si tratta di 910 poliziotti, 776 carabinieri, 290 finanzieri e 96 operatori della polizia penitenziaria. Quattro le categorie dei dispositivi di protezione, in base al livello del rischio. Quello più elevato riguarda oggi 15 persone e impegna 171 agenti. 57 cittadini hanno invece la protezione di 'secondo livello', vale a dire una scorta su auto specializzata (383 agenti in tutto) composta da più mezzi, mentre per altri 276 cittadini la tutela su auto specializzata è di terzo livello (823 agenti impiegati) e 237 hanno una tutela su auto non protetta, vale a dire una scorta di quarto livello che coinvolge 695 operatori.

Magistrat, politici, dirigenti, giornalisti
Dei 585 nomi protetti dallo Stato, dicono ancora dal Viminale, quasi la metà (277) sono magistrati, seguono i leader politici nazionali e locali (69) e i dirigenti d'impresa (43). Ci sono anche 21 giornalisti e 18 esponenti governativi. A livello regionale, il maggior numero di scorte si concentra nel Lazio e in Sicilia, rispettivamente con il 31,6% e il 21,9% delle misure di protezione nazionali. Seguono Calabria (12,5%), Campania (12%), Lombardia (7,2%). Oltre ai servizi di scorta, inoltre, lo Stato mette a disposizione 38 servizi di vigilanza fissa con 221 persone impegnate: 18 poliziotti, 56 carabinieri, 147 unità dell'esercito.

mercoledì 15 maggio 2019

Via le scorte ai politici: Ecco quale sarà il prossimo passo del Governo del Cambiamento



Nella denominata Terza Repubblica l'inizio del cambiamento viene dalle scorte. Nei giorni scorsi, a quanto risulta a "La Verità", quotidiano diretto da Belpietro, è arrivata dal Governo appensa insidiatosi la richiesta di abolire e ridurre la scorta.



In Italia attualmente gli scortati sono circa 800 tra politici, imprenditori e altre personalità, su cui vigiliano circa 3000 agenti. Il costo di taali dispositivi è di circa 250 milioni, ma adesso il taglio sarà più consistente visto che i politici del nuovo Governo hanno deciso di dare l'esempio. Barbara Lezzi, Ministro del Sud, e Marco Bussetti, Ministro all'Istruzione hanno già anticipato tutti chiedendo di propria spontanea volontà alla scorta insieme all'auto blu.

Che goduria! Berlusconi trema dinnanzi allo "SpazzaCorrotti": "Pericolosissima"



“È una legge pericolosissima, e mette ogni cittadino italiano nelle mani di qualunque pm”. A poche ore dall’approvazione della legge Anticorruzione Silvio Berlusconi, imputato per corruzione in atti giudiziari per il processo Ruby, prescritto dal reato di corruzione impropria nel processo sulla compravendita dei senatori, condannato in sede civile a risarcire De Benedetti per il caso del Lodo Mondadori, condivide il suo disgusto per la spazzacorrotti. Nella serata dedicata agli auguri di Natale per i senatori di Forza Italia, avrebbe spiegato secondo quanto riporta l’Adnkronos, che basta la dichiarazione di un pentito, una semplice prova o indizio a farti rischiare la galera e il sequestro del proprio patrimonio. Nessuna dichiarazione ufficiale, ma era prevedibile che il commento dell’ex premier, condannato in via definitiva per frode fiscale, fosse quantomeno negativo.

“Oramai il popolo si è ribellato” quella mail privata di Savona dove “gli scappa” la verità




“Il mio silenzio sdegnoso li offende più di una risposta”. La mail di Paolo Savona, scovata dal Corriere della Sera, porta la data del 23 maggio.


È un botta e risposta privato che passa dall’indirizzo di posta elettronica del professore. “Mattarella non ha capito che ormai il popolo si è ribellato e deve dare una risposta…”. Sono parole durissime che ritirate fuori ora, mentre Luigi Di Maio prova ancora a mediare con Sergio Mattarella nel tentativo di formare un governo giallo verde, potrebbero anche costare caro. Anche perché molto di questa trattativa passa per l’economista che Matteo Salvinivuole piazzare a tutti i costi al ministero dell’Economia.

Quando tutto sembrava pronto per un ritorno alle urne, addirittura già a fine luglio, a sorpresa è sbucata fuori dal nulla una nuova possibilità di dar vita al governo gialloverde. Manca un ultimo, decisivo passaggio, però: la risposta di Salvini alla proposta di Di Maio di aggirare l’ostacolo Savona dirottando l’economista verso un altro ministero di peso, scegliendo invece una figura con le stesse caratteristiche, ma meno esposto sul fronte euroscettico per la guida del Mef. A Mattarella non vanno proprio giù le sue idee “no euro” e le sue posizioni anti tedesche. A poco e a nulla è servito il comunicato di domenica scorsa in cui ha cercato di fare chiarezza sulla “scomposta polemica” che è venuta a crearsi sulle sue “idee in materia di Unione Europea e, in particolare, sul tema dell’euro”. Questo perché, come fa notare Massimo Franco sul Corriere della Sera, anziché diramarlo alle agenzie di stampa, Savona l’ha fatto pubblicare su Scenari economici, un sito che, in più di un’occasione ha manifestato le proprie posizioni euroscettiche.

Fuori la politica dalla Sanità, ecco la rivoluzione targata M5S. Emendamento al decreto Calabria: vertici Asl scelti in base al merito



Stop al legame tra politica e nomina dei manager della sanità. Il Movimento 5 Stelle non molla uno dei punti che più di ogni altro, forse, è stato responsabile in questi anni dei debiti sanitari che diverse Regioni hanno accumulato e da cui ancora molto spesso non riescono a riemergere. Le proposte di modifica alla normativa esistente sono state avanzate ieri in una conferenza stampa. Sulla scia dello scandalo sanità in Umbria il Movimento ha deciso di accelerare. Nella scorsa settimana è stato infatti calendarizzato in commissione Igiene e Sanità il ddl Castellone (alla Camera c’è invece il ddl Nesci sempre sulla materia).

Ma non solo: i pentastellati hanno anche annunciato la presentazione di un emendamento al decreto legge Calabria (su cui è iniziato l’iter di conversione in legge) che accelera sulla questione e introduce la misura per cui la scelta del direttore generale da parte del presidente di Regione non sarà più discrezionale ma correlata ad una graduatoria e quindi al merito, sulla base di requisiti che siano coerenti con l’incarico da attribuire.

“È oggi più che mai urgente rescindere il legame tra la politica e le nomine dei dirigenti sanitari: il controllo della politica sulla sanità è infatti un tema urgentissimo che, nonostante i numerosi scandali anche recenti, continua ad essere rimandato dai decisori politici”. Ha detto il ministro della Salute, Giulia Grillo (nella foto). La sanità, “è un settore di altissima corruzione; per questo l’autonomia delle Regioni deve essere bilanciata dalla possibilità dello Stato di controllare e sanzionare le Regioni stesse, ma ciò oggi non è possibile”.

Sulla questione è intervenuto anche Luigi Di Maio, che ha sottolineato come sulla questione si attende lealtà massima dall’alleato di Governo e, dunque, da Matteo Salvini. “Il M5S – ha ricordato in una nota il vicepremier pentastellato – ha proposto un emendamento, che si deve votare nelle prossime ore, e che toglie alla politica regionale la possibilità di nominare i dirigenti della sanità per avere negli ospedali” personale che “deve ringraziare il proprio curriculum e non un politico. Nelle prossime ore noi ci aspettiamo che la Lega voti questo emendamento, non vedo perché dovrebbe votare contro un emendamento che libera la sanità delle dinamiche politiche. Ci aspettiamo lealtà perché” la cosiddetta norma anti-raccomandati “è nel contratto di Governo e perché siamo preoccupati per i pazienti e malati italiani”.

Insomma, se la Lega non dovesse votare l’emendamento in questione, presentato al dl Calabria, “si prenderanno le loro responsabilità”, ovvero quella di “andare in giro a dire che bisogna cambiare tutto e poi a Roma fare come la vecchia politica. Io mi auguro non sarà così, anzi sono convinto non lo sarà”. Quello dell’emendamento sarà solo il primo passo per giungere all’approvazione del ddl che, come chiarito da Maria Domenica Castellone, capogruppo M5S in commissione Sanità e prima firmataria del ddl, “è proprio allontanare la politica della sanità. Per questo si prevedono nuovi e diversi criteri di nomina dei direttori generali, sanitari e amministrativi” rispetto al decreto legislativo 171 del 2016.

La proposta M5S, spiega, “prevede che i direttori generali siano scelti dall’elenco di soggetti idonei istituito presso il Ministero della Salute. La selezione sarà fatta da una commissione di 5 membri individuati per sorteggio da un elenco nazionale di commissari aggiornato ogni due anni”. Insomma, una rivoluzione che consentirà di separare politica e sanità.

lunedì 13 maggio 2019

"Non toglieteci i finanziamenti, altrimenti chiudiamo". L'appello disperato dei giornali al Presidente Mattarella



Una pagina intera su quotidiani e periodici nazionali e locali per rivolgere un appello al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. È l'iniziativa lanciata oggi (e che proseguirà nei prossimi giorni) dalla File, Federazione Italiana Liberi Editori. Nel mirino un emendamento del capogruppo del Movimento 5 Stelle, Stefano Patuanelli, segnalato dal governo e quindi fatto proprio dalla maggioranza, alla legge di Bilancio in discussione in questi giorni al Senato. L'emendamento prevede l'abolizione dei contributi pubblici all'editoria. "Il governo vuole far chiudere centinaia di giornali, il presidente della Repubblica impedisca questo colpo di spugna", è il titolo della lettera-appello della File. "Il sostegno pubblico all'editoria e la trasparenza dei mezzi di finanziamento sono previsti dall'articolo 21 della Costituzione e interventi legislativi su argomenti del genere richiederebbero, in un sistema democratico, un confronto civile, sociale e parlamentare. Tutto, invece, verrà risolto con un maxiemendamento e qualche tweet, e a partire dal 2019, cioè a dire tra due settimane", si legge ancora nell'appello. La File afferma che "molti giornali editi da cooperative no profit o da enti morali chiuderanno a breve, o saranno costretti a operare drastici tagli; perché ridurre o azzerare i contributi pubblici senza aver prima provveduto ad una riforma organica del settore significa, semplicemente, chiudere i giornali".

"Con questa legge scopriremo da chi vengono finanziati". Il Governo lancia un altro siluro alla casta. Capito perchè lo temono?



Il Movimento 5 Stelle ha intenzione di fare una legge per la trasparenza sui finanziamenti ai partiti.



Lo ha fatto sapere il senatore Gianluigi Paragone in un intervento per Il Blog delle Stelle.

“Non vi farebbe piacere sapere quanti soldi ENI, ENEL, FINMECCANICA o le altre partecipate dallo Stato danno ai politici?,” si è chiesto l’ex conduttore della Gabbia, che ha proseguito:

“No, sapete perché? Perché i politici poi nominano i vertici di queste aziende. E allora siamo sicuri che lo fanno badando più alla competenza, alla professionalità e non magari a precedente relazione, o precedenti intrecci particolari, magari anche legati a quelle dazioni di denaro?”

“Non vi farebbe piacere – ha continuato – sapere quanto, magari grandi aziende che operano nel campo della farmaceutica, del gioco d’azzardo, dell’industria bellica, o anche dell’industria agroalimentare, quanti soldi danno alla politica e ai politici?”

“No, ve lo dico – ha spiegato Paragone – perché secondo me non soltanto ci vuole la massima trasparenza su chi da i soldi, sapendo e conoscendo i nomi con precisione, sapendo che i bilanci devono essere pubblicati, non ci deve essere il minimo di opacità, e questo riguarda le fondazioni politiche, ma riguarda tutte le fondazioni, le fondazioni bancarie, anche le fondazioni attraverso le quali le ONG praticano le loro attività, ok? E tutto il mondo delle fondazioni che va disciplinato con grande chiarezza”.

Secondo l’esponente 5Stelle è necessario mettere un tetto basso a contributi, finanziamenti e donazioni che vengono fatti ai partiti in quanto questi non hanno bisogno di tanti soldi per la propria attività.

Inoltre, ha affermato Paragone, se i cittadini danno troppi soldi ai partiti, può succedere che qualcuno chiede un favore in cambio e “i cittadini non hanno grandi disponibilità, i cittadini si fidano della democrazia”.

“Allora adesso faremo una bella legge, una legge chiara di poche righe, in cui la trasparenza sarà assoluta, sarà totale e in cui qualsiasi opacità verrà spazzata via,” ha concluso.

Travaglio: "Conte? Prima fa le cose e poi parla. Un esempio"







GUARDA IL VIDEO:


Chiesti 13 mesi di carcere per il sindaco PD Sala per l'inchiesta Expo. Vergognoso silenzio di tutti i media!



L’ex ad e sindaco di Milano è accusato di falso per la retrodatazione dei verbali con cui venne assegnato il maxi appalto della Piastra.

Un anno e un mese sono stati chiesti dal sostituto pg di Milano Massimo Gaballo per il sindaco di Milano Giuseppe Sala, in qualità di ex commissario unico e amministratore delegato di Expo e tra gli imputati in primo grado per il caso con al centro l’appalto per la Piastra dei servizi per l’Esposizione universale del 2015. Sala risponde solo di falso per la retrodatazione di due verbali con cui, nel maggio del 2012, sono stati sostituiti due componenti della commissione di gara per l’assegnazione del maxi appalto, vinto dalla Mantovani, per evitare di dover annullare la procedura.

STESSA CONDANNA CHIESTA PER ANGELO PARIS
La richiesta è stata formulata durante la requisitoria di lunedì 13 maggio. Il pg Gaballo, che riveste il ruolo di pm in quanto l’indagine è stata avocata tempo fa dalla procura generale, ha chiesto la stessa condanna per l’ex manager di Expo Angelo Paris. In Aula, nel corso della requisitoria che sta proseguendo per gli altri imputati, ha spiegato che risulta «provata oltre ogni ragionevole dubbio la decisione di retrodatare gli atti per rendere sanabile la procedura di gara» da parte di Sala e di Paris. E rivolgendosi ai giudici della decima sezione penale ha chiesto «il minimo» di un anno aumentato di un mese per la continuazione dei due reati di falso contestati (ideologico e materiale).

PER IL PG «SALA NON È CREDIBILE»
Nella sua requisitoria ha aggiunto che Sala «non è credibile» quando nel corso del suo interrogatorio aveva tentato «di minimizzare il problema che in realtà era grave» perché rischiava di pregiudicare l’Esposizione universale o comunque avrebbe comportato il pericolo «di annullamento della gara e di perdere tempo prezioso». Sala aveva sostenuto di non avere mai avuto «la consapevolezza della retrodatazione dei verbali» e di essersene reso conto al momento delle indagini a suo carico.

domenica 12 maggio 2019

"Abbiamo scoperto il più grande scandalo di sempre" la denuncia del M5S censurata da tutti i media





Opere pubbliche, M5S Puglia: ‘Abbiamo fatto luce su uno dei più grandi scandali di sempre’



“Dopo quasi un anno di approfondimenti e indagini, il M5S Puglia ha fatto luce su uno dei più imponenti scandali riguardanti la realizzazione di un’opera pubblica avvenuti in Italia: sto parlando della realizzazione della nuova sede del Consiglio regionale”.

Lo ha denunciato su Facebook l’esponente pentastellata pugliese Antonella Laricchia, la quale ha spiegato che si tratta di un’opera non ancora terminata dopo 15 anni di attesa e la cui entità dei lavori è passata da 39,5 milioni a 95 milioni.

Secondo Laricchia questo è uno “spreco gigantesco per cui adesso chiederemo giustizia alle autorità a nome di tutti i pugliesi”.

La costruzione della nuova sede del Consiglio regionale pugliese inizialmente, si parla del 2003, era costata 39,5 milioni. Nei sette anni successivi, però, sono state aggiunte al progetto delle varianti che hanno aumentato l’entità dei lavori di 27 milioni di euro.

Per poi aumentare di altri 27 milioni dopo il 2012. Totale: 95 milioni di euro, ovvero 55 in più rispetto a quanto previsto inizialmente (il 240% in piú).

I pentastellati pugliesi hanno indagato sui motivi dell’incremento dei costi e hanno scoperto, ad esempio, che “nella 5a variante si decide di sostituire delle plafoniere a neon con delle plafoniere a led. Scelta legittima se non fosse che si sceglie inspiegabilmente di acquistare delle plafoniere ‘esclusive e ricercate”’ al costo di 637€ cad.”. Eppure, ha osservato Antonella Laricchia, “plafoniere con prestazioni illuminotecniche identiche sul mercato avrebbero avuto un costo che oscilla tra i 130-150€”.

Secondo il M5S la responsabilità di tutto ciò è degli esponenti dei vecchi partiti sia di destra che di sinistra come Raffaele Fitto, Nichi Vendola e Michele Emiliano.

“Il M5S Puglia – ha fatto sapere Laricchia – presenterà un esposto alla Corte dei Conti, all’Anac e alla Procura della Repubblica e una mozione urgente per fermare il pagamento delle parcelle dei progettisti per gli ultimi 4 milioni circa rimasti e recuperare gli 8 milioni già erogati”.

“Le banche fallite erano tutte in mano al PD” così il capo dei bancari tappa la bocca al parassita in diretta tv



A Coffe Break su La7 è andata in onda l’ultima crisi di nervi del piddino Luigi Marattin, innervosito già dal tema trattato in studio che tanto ha fatto penare il suo partito in epoca renziana, cioè le banche. A fargli saltare i nervi è stato il segretario generale del Fabi, la Federazione autonoma dei bancari italiani, Lando Maria Sileoni: “Le piccole banche – ha detto – quelle che hanno mantenuto il virus dell’allocazione del credito, negli ultimi 20 anni nei loro cd avevano quasi tutta gente del Pd”.

Apri cielo, Marattin salta sulla sedia e comincia a minacciare querele: “Stiamo dicendo che il pd ha nominato dei propri rappresentanti nei cda di quelle banche? Se lo state dicendo, per carità, ne risponderete penalmente. È un’affermazione falsa, questa è diffamazione. Se la vuole ripetere, sono ben contento di fargliela ripetere…”. Di lato, silenzioso, c’è anche il sottosegretario all’Economia, il grillino Alessio Villarosa, che se la ride e commenta: “I 5 stelle non c’entrano di sicuro”.

“Stipendi mostruosi a vita per far nulla o al massimo raccontare balle” scandalo in Rai, Milena Gabanelli svela le folli prebende dei nullafacenti della tv di Stato




Svincolata dai partiti, doveva decollare tre anni fa. Invece la più grande azienda culturale del Paese è rimasta nel parcheggio, invischiata nelle clientele e nelle inefficenze di sempre.

Mamma Rai impiega 13.058 dipendenti, di cui 1.760 giornalisti, suddivisi in 8 diverse testate: Tg1, Tg2, Tg3, TgR, Rainews 24, Il Giornale Radio, Rai Parlamento e Rai Sport. Il contratto giornalistico Rai è il più «blindato» d’ Italia: il costo azienda medio annuo è di 200.000 euro per ciascuno dei 210 capiredattori, 140.000 euro per i 300 capiservizio, 70.000 euro per i neoassunti.

Nel mondo, nessuna Tv pubblica ha tanti telegiornali nazionali. Un’ anomalia che risale ai tempi della «lottizzazione»: a ogni partito la sua area di influenza. Negli anni ha generato costi enormi poiché ogni testata ha un direttore, i vicedirettori, i tecnici, i giornalisti. E tutte le testate a coprire lo stesso evento.

Che senso ha, visto che ogni rete ha già gli spazi dedicati agli approfondimenti e ai talk, proprio per rappresentare le diverse letture dei fatti? La Bbc, una delle più grandi e influenti istituzioni giornalistiche al mondo, diffonde in Gran Bretagna un solo Tg: BBC news.

La Rai, con le tre testate nazionali, realizza ogni giorno oltre 25 edizioni di Tg; in Francia e Germania le edizioni quotidiane sono 7, nel Regno Unito e in Spagna 6. All’ offerta ipertrofica si aggiunge il canale Rainews 24, che trasmette notizie 24 ore al giorno. Abbiamo la più grande copertura informativa d’ Europa e un esercito di giornalisti, eppure, nonostante i telespettatori siano inesorabilmente in calo perché si informano sul mondo digitale, la Rai non ha un sito di news online.

Poi c’ è il tema delle sedi regionali: i 660 giornalisti fanno capo alla direzione Tgr, mentre le 22 sedi, con altrettanti direttori, che si occupano solo dei muri e dei tecnici, fanno capo a una fantomatica Direzione per il coordinamento delle sedi regionali ed estere.

Gli edifici sono faraonici, con interi piani inutilizzati, ma la qualità della cronaca locale non è sempre brillante: potenzialità enormi, inefficienza cronica. Ma, essendo i Tg regionali luoghi in cui sindaci e governatori esercitano la loro influenza, oltre che bacino di consenso per il potente sindacato Usigrai, si tira a campare.

Qualche esempio. In Emilia Romagna non c’ è una buona copertura del segnale e, in alcune zone, si vede il Tgr Veneto o il Tgr Marche; è presente una obsoleta «esterna 1» per le dirette, un mastodonte costoso usato solo per la messa della domenica, con una squadra di 5 persone che, per ragioni sindacali, non può fare altro quando il mezzo è fermo.

Al Tgr Lazio regna il degrado: dalle luci al neon fulminate alle cuffie della radiofonia fuori uso; tutti i giornalisti stanno a Saxa Rubra, nessun corrispondente dalle province. A Torino, per poter usare un mezzo satellitare leggero, adatto alle dirette, la Tgr deve chiedere l’ assenso a 4 diversi responsabili, una procedura che non si adatta ai tempi delle news. In Puglia, i due redattori territoriali hanno la telecamerina in dotazione, ma non la usano perché il sindacato non vuole.

A Sassari, 4 specializzati di ripresa non escono con la troupe, non guidano la macchina e stanno in studio, per quei due movimenti di camera che potrebbero anche fare i tecnici. Il caporedattore non può decidere sul loro utilizzo, perché dipendono dal direttore di sede. In Sicilia, gli impiegati di segreteria sarebbero disponibili e qualificati per archiviare e metadatare le immagini, ma non hanno accesso al sistema.

La Tgr Lombardia (con 50 giornalisti) è quella che collabora di più con i Tg nazionali; però Tg1, Tg2, Tg3, Rainews e Rai Sport hanno comunque tutti i propri giornalisti a Milano. Il materiale grezzo viene buttato, perché nessuno lo cataloga. Poi c’ è un aspetto che la dice lunga sulle competenze dei dirigenti: le testate nazionali e quelle regionali sono state digitalizzate con sistemi che non comunicano fra loro, per cui è difficile lo scambio di immagini.

Il Consiglio d’ amministrazione insediato nel 2015 è partito in quarta dando vita a Ray Play, ma la mission era proprio quella di rendere più efficiente la TgR, riorganizzare l’ offerta informativa nazionale e colmare il gap digitale. In questi 3 anni, il Cda è riuscito a far naufragare tutti i progetti.

Incluso quello per la nascita del sito unico di news online, già sviluppato dalla Direzione Digital e con la formazione presso le redazioni regionali già avviata (oggi sei regioni hanno il loro sito). Il motivo? Prima di dar vita a una nuova testata, bisognava ridurre il numero di quelle già esistenti.

Sta di fatto che il sito nazionale esistente è dentro a Rainews 24 e produce un traffico irrilevante. Questa è la classifica Audiweb degli utenti unici giornalieri, nell’ ultima settimana di giugno: RaiNews 95.000, TgCom 967.000, Corriere della Sera 1.300.000, Repubblica 1.400.000.

In sostanza tutti i cittadini sono obbligati a pagare il canone (1 miliardo e 700 milioni l’ incasso del 2017), ma chi si informa soltanto online non ha un servizio pubblico degno di questo nome. In compenso, lo stesso Cda ha portato avanti uno studio di fattibilità di un nuovo canale tradizionale in lingua inglese.

Ad occuparsene in prima persona la presidente Monica Maggioni, a fine mandato, e quindi in cerca di una futura direzione.

Questa è la Rai, che attende il prossimo giro di giostra. Il capitale umano che lavora ai piani bassi, dove si realizza il prodotto, ha bisogno di una forte spinta; speriamo che la giostra sia un «calcinculo». Con un management esperto e libero dai condizionamenti della politica, potrebbe uscirne un’ azienda leader in Europa.

Capolavoro Savona, così ha trovato un tesoretto da 50 miliardi "congelati" dall'UE




Il piano B resta quello che ha scatenato la contrarietà di Luigi di Maio e di Giovanni Tria: l'uscita dall'euro. Ma il piano A di Paolo Savona, invece, qual è? Il ministro degli Affari europei lo ha spiegato oggi in una lunga intervista pubblicata in prima pagina dal quotidiano La Verità. Per riuscire



 a rispettare le costose promesse del contratto di governo, infatti, servono soldi, e l'economista sardo sembra avere individuato dove trovarli: per la precisione, ben cinquanta miliardi che l'Europa non ci permette di spendere.

Il nodo dell'avanzo estero
«L'Italia da tempo vive al di sotto delle proprie risorse, come testimonia un avanzo di parte corrente della bilancia estera – spiega il ministro – Tale avanzo non può essere attivato, cioè non possiamo spendere, per l'incontro tra i vincoli di bilancio e di debito dei trattati europei. Questo nonostante abbiamo ancora una disoccupazione nell'ordine del 10% della forza lavoro e rischi crescenti di povertà per larghe fasce di popolazione. L'avanzo sull'estero di quest'anno è al 2,7% del Pil, per un valore complessivo di circa 50 miliardi: esattamente ciò che manca alla domanda interna». Anche il suo collega titolare dell'Economia, Giovanni Tria, sarebbe sulla stessa linea, sollevando semmai obiezioni su «la cadenza temporale dell'operazione, non la possibilità di attuarla».

Battere i pugni sul tavolo
Savona, insomma, sembra intenzionato a rispettare la sua nomea di «bestia nera» dell'Unione europea, portando avanti in maniera decisa le sue richieste nonostante le resistenze di Bruxelles: «Una politica della domanda centrata sugli investimenti, una scelta che, con l'avvento della commissione Juncker era già stata effettuata sotto la spinta dell'opinione pubblica rappresentata dal Parlamento europeo. Se l'Ue lo accetta, meglio ancora se propone essa stessa, nel reciproco interesse, un piano di investimenti di tale importo, la crescita del Pil che ne risulterebbe può consentire un gettito fiscale capace di coprire allo stesso tempo la quota parte delle spese correnti implicite nelle proposte di flat tax, salario di cittadinanza e revisione della legge Fornero senza aumentare né il disavanzo pubblico, né il rapporto debito pubblico/Pil su base annua». D'altra parte, le stesse istituzioni europee trarrebbero beneficio dall'attuazione di un programma del genere, ribadisce il ministro: «Occorre che l'Ue riconquisti la fiducia dell'opinione pubblica, non solo italiana, prima delle prossime elezioni europee, la cui data incombe». Come a dire che o l'Europa dimostrerà buon senso, oppure rischia seriamente di essere spazzata via, ma stavolta dal voto degli stessi elettori.

sabato 11 maggio 2019

Denaro contante e regali di lusso: incastrata deputata PD, ma nessuno ne parla



“Non so nulla, non ho ancora ricevuto niente, tuttavia ho fiducia nella magistratura – afferma la senatrice dem -. Mi dispiace che i magistrati debbano lavorare spesso su cose del genere, mi sembra un grande calderone che alla fine si chiarirà”

La senatrice aquilana del Pd Stefania Pezzopane è indagata con l’accusa di finanziamento illecito ai partiti assieme ad Angelo Capogna, imprenditore che si occupa di illuminazione pubblica e che l’ha accusata nel corso di due interrogatori in relazione a una campagna elettorale degli anni scorsi. Originario del Frusinate, Capogna è amministratore della Saridue Srl e con le sue denunce nei mesi scorsi ha originato una maxi inchiesta nei confronti di politici e funzionari di Comuni marsicani, descrivendo un sistema di “tangenti sui lampioni”.

La Pezzopane, 57 anni, senatrice dal 2013, è stata anche assessore e presidente del Consiglio in Comune, presidente della Provincia dell’Aquila e assessore e vice presidente del Consiglio regionale. “Non so nulla, non ho ancora ricevuto niente, tuttavia ho fiducia nella magistratura – afferma la senatrice Pezzopane -. Mi dispiace che i magistrati debbano lavorare spesso su cose del genere, mi sembra un grande calderone che alla fine si chiarirà”.

A interrogare Capogna, che ha descritto un sistema di ‘tangenti sui lampioni’ con contanti e regalie in cambio di commesse nel suo settore, un’indagine di cui questo nuovo filone è uno stralcio, i sostituti procuratori della Repubblica di Avezzano (L’Aquila) Maurizio Cerrato e Roberto Savelli, che tra le sue parole hanno riscontrato un’autonoma fattispecie di delitto che coinvolgerebbe la Pezzopane, in violazione della legge numero 195 del 1974, quella che regola appunto il finanziamento ai partiti. Per questo è stato aperto un fascicolo autonomo e lo scorso 11 aprile le carte sono state trasmesse alla competente procura aquilana, dal momento che il fatto sarebbe avvenuto nel capoluogo.

Nelle scorse settimane, in un secondo interrogatorio fiume, il principale indagato, nonché accusatore, è stato sentito dagli agenti della squadra Mobile aquilana, in particolare della prima sezione diretta dal sostituto commissario Sabatino Romano, Mobile che ha da poco cambiato dirigente, da Gennaro Capasso a Tommaso Niglio. Secondo quanto appreso da fonti investigative, anche in questo filone si starebbe verificando la possibile sussistenza di ipotesi accusatorie di corruzione. L’inchiesta nata dalle denunce di Capogna è sfociata nel marzo 2016 in perquisizioni e acquisizioni di documenti nei confronti di 25 indagati, che sono diventati 36 fin qui noti pochi giorni fa, quando sono stati notificati gli avvisi di conclusione delle indagini.

Capolavoro Conte: così il Premier adesso pretende 65 miliardi di risarcimento per le banche italiane fallite a causa dell'UE



“Bisogna procedere con cautela. E’ un precedente importante: non è da escludere un appello della Commissione ma dobbiamo trarne tutte le conseguenze politiche e giuridiche anche ad esempio sul piano risarcitorio. Mi sembra cosa buona e giusta”. E’ quanto ha detto il premier, Giuseppe Conte, annunciando l’avvio di un’azione risarcitoria verso l’Ue dopo la sentenza con cui il Tribunale Ue ha annullato la decisione di vietare l’uso dei fondi di garanzia di depositi per i salvataggi bancari.

La linea ufficiale dell’Italia, sulla stessa sentenza con cui la giustizia europea ha bocciato la decisione di Bruxelles di impedire al nostro Paese l’utilizzo del Fondo Interbancario a Tutela dei Depositi (Fitd) per il salvataggio di Banca Tercas, è aspettare i 57 giorni che restano alla Commissione per fare ricorso. Nel frattempo sono già partite le riunioni al Ministero del Tesoro per approntare le prossime mosse, che potrebbero portate il nostro Governo a chiedere alla Commissione Europea un maxi risarcimento che potrebbe sfiorare i 65 miliardi di euro.

Il motivo? Si chiama burden sharing o bail in, due principi comunitari che voglioni che siano gli azionisti e gli obbligazionisti a farsi carico del salvataggio delle banche in crisi, attraverso la riduzione del valoro dei titoli in proporio possesso o la loro conversione in capitale. Esattamente quanto è accaduto ai possessori dei titoli di Banca Etruria, CariChieti, Banca Marche, Cariferrara, Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. E per aspetti simili anche ai possessori di titoli del Monte dei Paschi di Siena.

Visto che la sentenza della Corte di Giustizia ha sostanzialmente giudicato illegittimo il divieto impostoci dalla Commissione Europea di usare il Fitd per salvare queste banche, ora i tecnici del Governo, con l’ausilio della Banca d’Italia, d’intesa con l’Associazione Bancaria Italiana (Abi) e con gli avvocati che si sono occupati della questione, stanno elaborando una strategia. Il primo problema, che sarebbe stato già in parte risolto, è quello del soggetto legittimato a chiedere il risarcimento, che è stato identificato nello Stato italiano, mentre non sembrerebbe sussitere in capo alla Banca d’Italia. L’Abi, invece, per bocca del suo presidente Antonio Patuelli, ha fatto presente che sta studiando “ogni possibilità giuridica, per chiedere e ottenere risarcimento dalla Commissione Europea”.

L’altro nodo da sciogliere è relativo alla quantificazione del risarcimento da chiedere. Infatti se si usa come parametro il valore dei titoli cancellati (azioni e obbligazioni) la cifra è di circa 24 miliardi di euro. Mentre i soldi impegnati dallo Stato per intervenire sulle banche ammontano a più di 40 miliardi. Cifre erogate con una molteplicità di strumenti la cui ricognizione completa richiederà diverse settimane visto che tra fondi, garanzie rilasciate agli istituti di credito, titoli sottoscritti dal Tesoro e contributi rilasciati a favore delle banche che si sono accollate gli istituti in difficoltà, è difficile districarsi. Senza contare che in alcuni casi i soldi spesi potrebbero tornare indietro. Quindi sarà necessario prima capire quanto è stato effettivamente sborsato e quanta parte di questi soldi si sarebbero potuti risparmiare con l’utilizzo del Fondo di Garanzia. La partita è appena iniziata e le elezioni Europee sono alle porte.

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