Luigi Di Maio a Di Martedi dimostra per l'ennesima volta la differenza tra di lui e i vari Renzi e Berlusconi
Ecco l'intervista:
martedì 31 ottobre 2017
Vitalizi, Pd pronto alla truffa: Ecco cosa sta succedendo
Mentre la legislatura si avvia verso la sua naturale conclusione, un provvedimento agita i sonni dei dem: il ddl Richetti sui vitalizi.
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Un terreno spinoso, sul quale premono due spinte contrarie. Da un lato il Pd vuole "aggiustare" la legge sull'abolizione dei vitalizi. L'emendamento del senatore dem Ugo Sposetti prevede infatti la cancellazione della retroattività della legge. In sostanza, le nuove norme su stipendi e pensioni dei parlamentari si applicheranno dalla prossima legislatura. Una mossa per favorire il compromesso e ottenere i numeri senza ricorrere alla fiducia.
Dall'altro lato, è evidente il desiderio di Matteo Renzi di intestarsi una legge-manifesto, utile a sfilare, in campagna elettorale, il tema dei vitalizi ai grillini. Il segretario Pd due giorni fa ha esortato ad approvare il provvedimento "subito, così com'è". Infatti, nel caso in cui il ddl non venisse approvato, o passasse con modifiche, Renzi potrebbe sempre scaricare la colpa su altri, salvandosi la faccia. Sul tema dei privilegi dei parlamentari piomba la provocazione della Presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni. "Perché Renzi e il Pd invece che mettere la fiducia sullo Ius soli non la mettono per eliminare i vitalizi?".
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Un terreno spinoso, sul quale premono due spinte contrarie. Da un lato il Pd vuole "aggiustare" la legge sull'abolizione dei vitalizi. L'emendamento del senatore dem Ugo Sposetti prevede infatti la cancellazione della retroattività della legge. In sostanza, le nuove norme su stipendi e pensioni dei parlamentari si applicheranno dalla prossima legislatura. Una mossa per favorire il compromesso e ottenere i numeri senza ricorrere alla fiducia.
Dall'altro lato, è evidente il desiderio di Matteo Renzi di intestarsi una legge-manifesto, utile a sfilare, in campagna elettorale, il tema dei vitalizi ai grillini. Il segretario Pd due giorni fa ha esortato ad approvare il provvedimento "subito, così com'è". Infatti, nel caso in cui il ddl non venisse approvato, o passasse con modifiche, Renzi potrebbe sempre scaricare la colpa su altri, salvandosi la faccia. Sul tema dei privilegi dei parlamentari piomba la provocazione della Presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni. "Perché Renzi e il Pd invece che mettere la fiducia sullo Ius soli non la mettono per eliminare i vitalizi?".
Mentre Appendino viene demolita per 90 euro di multa, tutti coprono la Boschi beccata a trafficare contro la doppia multa al padre Pier Luigi (144 e 130 mila euro) per Banca Etruria
Un bell’applauso a Chiara Appendino che ha licenziato in tronco quel pirla del suo capogabinetto Paolo Giordana, beccato a chiamare l’ Ad del Gruppo torinese trasporti perché levasse una multa da 90 euro a un amico. E un bel pernacchio a Gentiloni e Renzi che continuano a difendere la sottosegretaria Boschi, beccata a trafficare sulla mozione contro il governatore di Bankitalia Ignazio Visco che ha multato due volte il padre Pier Luigi (144 e 130 mila euro) per la mala gestione di Etruria.
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Questa storia delle multe che per i nemici si pagano e per gli amici si tolgono, è un classico della commedia all’ italiana. Ne Il vigile di Luigi Zampa, Alberto Sordi è Otello Celletti, un disoccupato che si fa raccomandare dal sindaco (Vittorio De Sica) per diventare vigile motociclista. Un giorno soccorre l’ attrice Sylva Koscina che, finita in panne con la sua auto, non ha i documenti. Lui chiude un occhio e tenta pure di farle la corte declamandole “T’ amo, pio bove” di Carducci.
La Koscina poi, ospite del Musichiere, ringrazia in tv il vigile che non le ha fatto la multa. E il favoritismo scatena le ire del prefetto, che protesta col sindaco, che strapazza Otello: la legge è uguale per tutti, che diamine. Così, quando Otello sorprende il sindaco che sfreccia oltre i limiti di velocità per raggiungere la sua amante, gli appioppa una sonora contravvenzione. E quello lo destituisce.
Lo zelante vigile diventa il campione dell’ opposizione monarchica, che lo candida alle elezioni come modello di legalità. Senonché il sindaco attiva una “macchina del fango” ante litteram, scova alcuni altarini della sua famiglia (il padre ex militare fellone e la sorella prostituta) e lo ricatta. Celletti è costretto a ritrattare le accuse al primo cittadino, che lo reintegra sulla sua rutilante motocicletta e si fa scortare da lui nelle scorribande a tutto gas verso la casa dell’ amante.
Il film esce nel 1960 decimato dai tagli della censura, perché richiama un fatto di un anno prima: il questore di Roma Carmelo Marzano multato dal vigile Ignazio Melone per un sorpasso vietato e offeso a morte per non essere stato riconosciuto e risparmiato. Il classico “lei non sa chi sono io”. Anche Melone viene prontamente screditato dalla notizia che la sorella esercita il mestiere più antico del mondo.
Se un tempo la commedia all’ italiana inseguiva la politica, ora è il contrario. Vedi il tragicomico ordine di servizio del Comune di Ercolano (Napoli) che diffida il servizio di nettezza urbana a “provvedere ad una accurata pulizia delle strade (spazzamento, rimozione manifesti funerari ed eventuale scerbatura)”. Ma non tutte.
Solo quelle adiacenti l’ hotel dove “soggiornerà l’ on. M.E. Boschi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana”, nonché ad “attenzionare le suddette strade dopo che saranno state pulite”. Ordine prontamente eseguito, con la lucidatura di 3-4 vie in una città zozzissima e addirittura col trasloco di decine di fioriere dagli altri quartieri.
La scena sarebbe perfetta per un film della saga di Fantozzi o per il sequel di Cetto La Qualunque. Ma ricorda pure Sua eccellenza si fermò a mangiare, commedia di Mario Mattoli e ambientata nel Ventennio, con Totò topo d’ appartamenti scambiato per il medico personale del Duce e ospitato con tutti gli onori nel castello di una famiglia-bene, che lo presenta a Sua Eccellenza il Ministro (Raimondo Vianello) e ne viene derubata di un prezioso servizio di posate d’ oro.
Con la differenza che nel film le Loro Eccellenze Vianello e Totò si fermano a mangiare e dormire, mentre Sua Eccellenza M. E. Boschi a Ercolano non s’ è fatta vedere, essendosi ammalata di influenza etrusca per scansare il Consiglio dei ministri sulla conferma di Visco: tanta pulizia e tante fioriere per nulla.
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Questa storia delle multe che per i nemici si pagano e per gli amici si tolgono, è un classico della commedia all’ italiana. Ne Il vigile di Luigi Zampa, Alberto Sordi è Otello Celletti, un disoccupato che si fa raccomandare dal sindaco (Vittorio De Sica) per diventare vigile motociclista. Un giorno soccorre l’ attrice Sylva Koscina che, finita in panne con la sua auto, non ha i documenti. Lui chiude un occhio e tenta pure di farle la corte declamandole “T’ amo, pio bove” di Carducci.
La Koscina poi, ospite del Musichiere, ringrazia in tv il vigile che non le ha fatto la multa. E il favoritismo scatena le ire del prefetto, che protesta col sindaco, che strapazza Otello: la legge è uguale per tutti, che diamine. Così, quando Otello sorprende il sindaco che sfreccia oltre i limiti di velocità per raggiungere la sua amante, gli appioppa una sonora contravvenzione. E quello lo destituisce.
Lo zelante vigile diventa il campione dell’ opposizione monarchica, che lo candida alle elezioni come modello di legalità. Senonché il sindaco attiva una “macchina del fango” ante litteram, scova alcuni altarini della sua famiglia (il padre ex militare fellone e la sorella prostituta) e lo ricatta. Celletti è costretto a ritrattare le accuse al primo cittadino, che lo reintegra sulla sua rutilante motocicletta e si fa scortare da lui nelle scorribande a tutto gas verso la casa dell’ amante.
Il film esce nel 1960 decimato dai tagli della censura, perché richiama un fatto di un anno prima: il questore di Roma Carmelo Marzano multato dal vigile Ignazio Melone per un sorpasso vietato e offeso a morte per non essere stato riconosciuto e risparmiato. Il classico “lei non sa chi sono io”. Anche Melone viene prontamente screditato dalla notizia che la sorella esercita il mestiere più antico del mondo.
Se un tempo la commedia all’ italiana inseguiva la politica, ora è il contrario. Vedi il tragicomico ordine di servizio del Comune di Ercolano (Napoli) che diffida il servizio di nettezza urbana a “provvedere ad una accurata pulizia delle strade (spazzamento, rimozione manifesti funerari ed eventuale scerbatura)”. Ma non tutte.
Solo quelle adiacenti l’ hotel dove “soggiornerà l’ on. M.E. Boschi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana”, nonché ad “attenzionare le suddette strade dopo che saranno state pulite”. Ordine prontamente eseguito, con la lucidatura di 3-4 vie in una città zozzissima e addirittura col trasloco di decine di fioriere dagli altri quartieri.
La scena sarebbe perfetta per un film della saga di Fantozzi o per il sequel di Cetto La Qualunque. Ma ricorda pure Sua eccellenza si fermò a mangiare, commedia di Mario Mattoli e ambientata nel Ventennio, con Totò topo d’ appartamenti scambiato per il medico personale del Duce e ospitato con tutti gli onori nel castello di una famiglia-bene, che lo presenta a Sua Eccellenza il Ministro (Raimondo Vianello) e ne viene derubata di un prezioso servizio di posate d’ oro.
Con la differenza che nel film le Loro Eccellenze Vianello e Totò si fermano a mangiare e dormire, mentre Sua Eccellenza M. E. Boschi a Ercolano non s’ è fatta vedere, essendosi ammalata di influenza etrusca per scansare il Consiglio dei ministri sulla conferma di Visco: tanta pulizia e tante fioriere per nulla.
Beffa per i terremotati: passeranno un altro inverno senza alloggio
Dal sistema Consip-coop beffa per i terremotati: macerie e niente casette
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Chissà se basterà la consapevolezza di aver avuto salva la vita per infondere la rassegnazione necessaria ai cittadini terremotati che, nel centro Italia, sanno fin d’ora che passeranno il secondo inverno nelle roulotte e nelle stanze d’albergo.
Privati ormai della propria intimità e individualità, perché nemmeno le casette tanto desiderate arriveranno in tempo. E all’indolenza burocratica del management commissariale che ha impiegato oltre un anno a scrivere norme e precetti, avvitandosi su stesso, si somma il ritardo nel dare il via ai progetti per la ricostruzione dei borghi e degli agglomerati urbani.
Tutto è inesorabilmente fermo. Esattamente come gli ininterrotti cumuli di macerie, stanziali ai lati delle strade di quei centri una volta abitati. Già, il quadro è desolante considerando che entro il 31 dicembre prossimo stando alla direttiva ogni cittadino, residente o no, che ha subito danni alla propria abitazione nelle aree del cosiddetto cratere del sisma del 2016, dovrà presentare al Comune la richiesta per ottenere il finanziamento necessario alla ricostruzione. Peccato però che solo il 30 per cento di costoro ha ricevuto la cosiddetta certificazione del danno con tanto di classe assegnata. E negli agglomerati urbani anche i lavori di recupero non possono iniziare a meno che tutte le costruzioni non abbiano ricevuto la certificazione. Inevitabile aggiungere che anche questa procedura va a rilento: sono 100mila le famiglie che hanno diritto al contributo per risanare la propria abitazione, tra queste 40mila i fabbricati che dovranno essere riedificati tra Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria.
Ed è proprio l’eco della parola ricostruzione a perdere consistenza soprattutto quando si è obbligati a tenere conto dei dettati del decreto 19 del 7 aprile scorso, firmato dall’ex commissario Vasco Errani. Gli articoli di legge parlano chiaro: dai lavori di ricostruzione sono di fatto escluse tutte le piccole e micro imprese del tessuto locale, quelle che avrebbero potuto iniziare le opere più agevolmente. E invece no, Errani e consulenti hanno voluto complicare l’intero processo. Queste piccole aziende potranno accollarsi l’onere di edificare costruzioni isolate per un massimo di 150mila euro di spesa complessiva, fuori dai centri urbani. Certo non potranno partecipare a ricostruire i cosiddetti aggregati, composti da almeno 3 edifici omologhi. Il boccone più ghiotto spetterà alle imprese certificate Consip e Invitalia. Alle altre, le briciole. Così ha imposto il commissario. Si tratta di 200 aziende in maggioranza cooperative, suddivise in 7 grandi consorzi. E comunque nessuna di esse ha fatto ancora capolino nel cratere. Ci sono le macerie da togliere. Fino a oggi la cifra impegnata per la rimozione è intorno ai 20 milioni che, stando ai costi correnti, basterà a smaltire solo 307mila delle 2,4 milioni di tonnellate presenti. E a fare questo ci stanno pensando, a rilento, le amministrazioni regionali.
E sempre a passo di lumaca procede anche l’altro filone della ricostruzione: quello delle scuole e delle casette Sae (Soluzioni abitative di emergenza). La neo commissaria Paola De Micheli, si è impegnata personalmente sul fronte scolastico. Di scuola però ne è stata completata una sola, di Sae ne sono state posizionate 995 su 3.570. Un numero irrisorio contando addirittura che il bando per l’acquisto di queste abitazioni (18mila in totale) risale a maggio 2014. Eppure la solerte macchina Consip ci ha messo due anni ad affidare la commessa. Discriminante è stata la garanzia temporale. Chi si è aggiudicata l’appalto, la Rti Ncs Cogeco7 cooperativa, ha garantito 850 case in 6 mesi. Peccato però che a oggi i tempi non sembrano essere stati rispettati. Sono trascorsi 14 mesi da quel lontano 24 agosto 2016 e un anno esatto dal 30 ottobre. Chissà se Consip, che ha sottoscritto il contratto con la coop vorrà imporle la penale sui ritardi di consegna come recita il capitolato d’appalto. Chissà. Forse avrà un occhio di riguardo.
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Chissà se basterà la consapevolezza di aver avuto salva la vita per infondere la rassegnazione necessaria ai cittadini terremotati che, nel centro Italia, sanno fin d’ora che passeranno il secondo inverno nelle roulotte e nelle stanze d’albergo.
Privati ormai della propria intimità e individualità, perché nemmeno le casette tanto desiderate arriveranno in tempo. E all’indolenza burocratica del management commissariale che ha impiegato oltre un anno a scrivere norme e precetti, avvitandosi su stesso, si somma il ritardo nel dare il via ai progetti per la ricostruzione dei borghi e degli agglomerati urbani.
Tutto è inesorabilmente fermo. Esattamente come gli ininterrotti cumuli di macerie, stanziali ai lati delle strade di quei centri una volta abitati. Già, il quadro è desolante considerando che entro il 31 dicembre prossimo stando alla direttiva ogni cittadino, residente o no, che ha subito danni alla propria abitazione nelle aree del cosiddetto cratere del sisma del 2016, dovrà presentare al Comune la richiesta per ottenere il finanziamento necessario alla ricostruzione. Peccato però che solo il 30 per cento di costoro ha ricevuto la cosiddetta certificazione del danno con tanto di classe assegnata. E negli agglomerati urbani anche i lavori di recupero non possono iniziare a meno che tutte le costruzioni non abbiano ricevuto la certificazione. Inevitabile aggiungere che anche questa procedura va a rilento: sono 100mila le famiglie che hanno diritto al contributo per risanare la propria abitazione, tra queste 40mila i fabbricati che dovranno essere riedificati tra Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria.
Ed è proprio l’eco della parola ricostruzione a perdere consistenza soprattutto quando si è obbligati a tenere conto dei dettati del decreto 19 del 7 aprile scorso, firmato dall’ex commissario Vasco Errani. Gli articoli di legge parlano chiaro: dai lavori di ricostruzione sono di fatto escluse tutte le piccole e micro imprese del tessuto locale, quelle che avrebbero potuto iniziare le opere più agevolmente. E invece no, Errani e consulenti hanno voluto complicare l’intero processo. Queste piccole aziende potranno accollarsi l’onere di edificare costruzioni isolate per un massimo di 150mila euro di spesa complessiva, fuori dai centri urbani. Certo non potranno partecipare a ricostruire i cosiddetti aggregati, composti da almeno 3 edifici omologhi. Il boccone più ghiotto spetterà alle imprese certificate Consip e Invitalia. Alle altre, le briciole. Così ha imposto il commissario. Si tratta di 200 aziende in maggioranza cooperative, suddivise in 7 grandi consorzi. E comunque nessuna di esse ha fatto ancora capolino nel cratere. Ci sono le macerie da togliere. Fino a oggi la cifra impegnata per la rimozione è intorno ai 20 milioni che, stando ai costi correnti, basterà a smaltire solo 307mila delle 2,4 milioni di tonnellate presenti. E a fare questo ci stanno pensando, a rilento, le amministrazioni regionali.
E sempre a passo di lumaca procede anche l’altro filone della ricostruzione: quello delle scuole e delle casette Sae (Soluzioni abitative di emergenza). La neo commissaria Paola De Micheli, si è impegnata personalmente sul fronte scolastico. Di scuola però ne è stata completata una sola, di Sae ne sono state posizionate 995 su 3.570. Un numero irrisorio contando addirittura che il bando per l’acquisto di queste abitazioni (18mila in totale) risale a maggio 2014. Eppure la solerte macchina Consip ci ha messo due anni ad affidare la commessa. Discriminante è stata la garanzia temporale. Chi si è aggiudicata l’appalto, la Rti Ncs Cogeco7 cooperativa, ha garantito 850 case in 6 mesi. Peccato però che a oggi i tempi non sembrano essere stati rispettati. Sono trascorsi 14 mesi da quel lontano 24 agosto 2016 e un anno esatto dal 30 ottobre. Chissà se Consip, che ha sottoscritto il contratto con la coop vorrà imporle la penale sui ritardi di consegna come recita il capitolato d’appalto. Chissà. Forse avrà un occhio di riguardo.
L'editoriale di Travaglio che distrugge i media nostrani sul M5S
“Il bue dice cornuto al Grillo”: di Marco Travaglio
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Sabato era una di quelle giornate che noi cronisti vorremmo vivere sempre: così piena di notizie da non sapere dove metterle. Tutti scandali del potere che, nei paesi normali, finiscono in prima pagina e ci rimangono finché i protagonisti non vengono cacciati, o si dimettono, o almeno danno spiegazioni plausibili. Siccome, a dispetto dell’evidenza, ci ostiniamo a ragionare come se il nostro fosse un paese normale, le abbiamo pubblicate tutte insieme domenica, malgrado i problemi di spazio, per non farcele rubare dalla concorrenza – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano nell’editoriale di oggi 31 ottobre 2017, dal titolo “Il bue dice cornuto al Grillo”.
1) La prima notizia è un’interrogazione di Fd’I sull’assessora alla Sanità e alle Politiche sociali della Regione Toscana, la renziana Stefania Saccardi, che risulta proprietaria o comproprietaria di 14 immobili, ma vive in un appartamento dell’Istituto per il sostentamento del clero (cioè della Curia fiorentina) a canone agevolato. Con alcune aggravanti: la Saccardi non ha dichiarato i 14 appartamenti; l’istituto che la ospita partecipa al fondo regionale per l’housing sociale che parrebbe competenza del suo assessorato; questi alloggi ecclesiastici sono riservati ai bisognosi con “provate difficoltà economiche”, requisito che sembrerebbe escludere l’assessora; il delegato al patrimonio immobiliare della Curia è Simone Saccardi, fratello dell’assessora. La quale ora annuncia querele, parla di “attacchi personali”, s’avventura in sottili distinguo fra la “nuda proprietà” e la titolarità dei 14 immobili, ma si guarda bene dal produrre copia del contratto di locazione e dal rivelare quanto paga di affitto.
2) La seconda è la chiusura dell’indagine dell’Alta Scuola Imt di Lucca sulla tesi di dottorato della ministra Marianna Madia, che il Fatto scoprì essere copiata per almeno 4 mila parole (fino all’86% di certe pagine) da altre pubblicazioni, senza virgolette né citazioni delle fonti nel testo o nelle note. Il tutto in violazione del Codice etico dell’Imt, che definisce plagio “la presentazione di parole o idee di altri come fossero le proprie”. Ma gli occhiuti commissari hanno deciso che va tutto bene così. “A seguito delle risultanze degli approfondimenti svolti – comunica l’ateneo – condotti da personalità accademiche e da professionisti di comprovata esperienza internazionale nel settore della integrità ed etica della ricerca e antiplagio, considera definitivamente concluso l’iter e ritiene di non avviare alcun procedimento ulteriore”. Purtroppo gli esperti sono così esperti, i professionisti così professionali e i loro argomenti così argomentati che i verbali dell’istruttoria sono segretati.
E pazienza se due anni fa è diventato legge il Freedom Information Act (Foia) sull’accesso agli atti, fiore all’occhiello della Riforma della PA firmata da una certa Madia.
3) La terza riguarda il vicecommissario dei Vigili urbani di Milano Costantino Gemelli, indagato per corruzione col sindaco (arrestato) di Lonate Pozzolo e risultato in contatto con uomini del clan Fidanzati, al punto da far cancellare un centinaio di multe a mafiosi e amici o parenti loro. L’ex comandante Antonio Barbato (poi trasferito per un’altra storia di frequentazioni malavitose) denuncia il ghisa e altri come lui al sindaco Pd Giuseppe Sala e all’assessore alla Sicurezza Carmela Rozza in una lettera del 20.10.2016, ma – dichiara – “nulla fu fatto dalla politica. Nessun provvedimento disciplinare. Allora decisi io i trasferimenti”. Gemelli cambia aria, intanto le indagini vengono archiviate, ma le relazioni pericolose e le multe tolte ai mafiosi sono confermate (i giudici parlano pure di una Mercedes regalatagli dal boss). La giunta Sala non muove un dito, non avvia procedimenti disciplinari e ora reintegra Gemelli a Milano, promuovendolo addirittura a coordinatore dei vigili nel Municipio 9. E la Rozza dichiara “non conoscevamo la vicenda, stiamo chiedendo gli atti”. Ma la lettera di Barbato dimostra che l’assessora e Sala sapevano tutto da un anno e non hanno fatto nulla.
Indovinate qual è stata la notizia più gettonata sui giornali di domenica e lunedì. La granduchessa Pd e il suo record di case e conflitti d’interessi? L’insabbiamento del caso Madia? Il sindaco Sala che chiude entrambi gli occhi sul vigile amico dei mafiosi? O magari il capogruppo di FI Paolo Romani, appena condannato in Cassazione a 1 anno e 4 mesi per peculato? Tranquilli: quelle non sono notizie, infatti non lasciano traccia alcuna su giornali né tg. Zero tituli, a parte Romani (ben 28 righe a pag. 11 del Corriere, neppure una sugli altri quotidiani). In compenso, pagine e pagine sulle dimissioni di tal Paolo Giordana, capo di gabinetto di Chiara Appendino, che ha fatto levare una multa da 95 euro a un amico. E non per segnalare la felice anomalia (in Italia, si capisce) di un pubblico ufficiale che se ne va per un fatterello penalmente irrilevante ma moralmente indecente, mentre autori di condotte infinitamente più gravi fischiettano incollati alle poltrone o strillano al giustizialismo o aspettano la Cassazione (e quando arriva chi se ne frega).
Ma per dire che “Il caso Appendino (non Giordana: Appendino, ndr) fa tremare i 5Stelle” (Repubblica), “il declino dell’Appendino somiglia straordinariamente a quello della collega romana Raggi” (La Stampa), e i 5Stelle sono “piccoli truffatori e feroci moralizzatori al grido di onestà trallalà” (il Giornale, firmato Alessandro Sallusti, difensore d’ufficio e grande estimatore dell’onesto B. pregiudicato per frode fiscale, dell’onesto Previti pregiudicato per corruzione giudiziaria e dell’onesto Dell’Utri pregiudicato per mafia). Il governo Renzusconi non è ancora nato, ma per la libera stampa è come se già ci fosse. Meglio portarsi avanti col lavoro, anzi con la lingua.
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Sabato era una di quelle giornate che noi cronisti vorremmo vivere sempre: così piena di notizie da non sapere dove metterle. Tutti scandali del potere che, nei paesi normali, finiscono in prima pagina e ci rimangono finché i protagonisti non vengono cacciati, o si dimettono, o almeno danno spiegazioni plausibili. Siccome, a dispetto dell’evidenza, ci ostiniamo a ragionare come se il nostro fosse un paese normale, le abbiamo pubblicate tutte insieme domenica, malgrado i problemi di spazio, per non farcele rubare dalla concorrenza – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano nell’editoriale di oggi 31 ottobre 2017, dal titolo “Il bue dice cornuto al Grillo”.
1) La prima notizia è un’interrogazione di Fd’I sull’assessora alla Sanità e alle Politiche sociali della Regione Toscana, la renziana Stefania Saccardi, che risulta proprietaria o comproprietaria di 14 immobili, ma vive in un appartamento dell’Istituto per il sostentamento del clero (cioè della Curia fiorentina) a canone agevolato. Con alcune aggravanti: la Saccardi non ha dichiarato i 14 appartamenti; l’istituto che la ospita partecipa al fondo regionale per l’housing sociale che parrebbe competenza del suo assessorato; questi alloggi ecclesiastici sono riservati ai bisognosi con “provate difficoltà economiche”, requisito che sembrerebbe escludere l’assessora; il delegato al patrimonio immobiliare della Curia è Simone Saccardi, fratello dell’assessora. La quale ora annuncia querele, parla di “attacchi personali”, s’avventura in sottili distinguo fra la “nuda proprietà” e la titolarità dei 14 immobili, ma si guarda bene dal produrre copia del contratto di locazione e dal rivelare quanto paga di affitto.
2) La seconda è la chiusura dell’indagine dell’Alta Scuola Imt di Lucca sulla tesi di dottorato della ministra Marianna Madia, che il Fatto scoprì essere copiata per almeno 4 mila parole (fino all’86% di certe pagine) da altre pubblicazioni, senza virgolette né citazioni delle fonti nel testo o nelle note. Il tutto in violazione del Codice etico dell’Imt, che definisce plagio “la presentazione di parole o idee di altri come fossero le proprie”. Ma gli occhiuti commissari hanno deciso che va tutto bene così. “A seguito delle risultanze degli approfondimenti svolti – comunica l’ateneo – condotti da personalità accademiche e da professionisti di comprovata esperienza internazionale nel settore della integrità ed etica della ricerca e antiplagio, considera definitivamente concluso l’iter e ritiene di non avviare alcun procedimento ulteriore”. Purtroppo gli esperti sono così esperti, i professionisti così professionali e i loro argomenti così argomentati che i verbali dell’istruttoria sono segretati.
E pazienza se due anni fa è diventato legge il Freedom Information Act (Foia) sull’accesso agli atti, fiore all’occhiello della Riforma della PA firmata da una certa Madia.
3) La terza riguarda il vicecommissario dei Vigili urbani di Milano Costantino Gemelli, indagato per corruzione col sindaco (arrestato) di Lonate Pozzolo e risultato in contatto con uomini del clan Fidanzati, al punto da far cancellare un centinaio di multe a mafiosi e amici o parenti loro. L’ex comandante Antonio Barbato (poi trasferito per un’altra storia di frequentazioni malavitose) denuncia il ghisa e altri come lui al sindaco Pd Giuseppe Sala e all’assessore alla Sicurezza Carmela Rozza in una lettera del 20.10.2016, ma – dichiara – “nulla fu fatto dalla politica. Nessun provvedimento disciplinare. Allora decisi io i trasferimenti”. Gemelli cambia aria, intanto le indagini vengono archiviate, ma le relazioni pericolose e le multe tolte ai mafiosi sono confermate (i giudici parlano pure di una Mercedes regalatagli dal boss). La giunta Sala non muove un dito, non avvia procedimenti disciplinari e ora reintegra Gemelli a Milano, promuovendolo addirittura a coordinatore dei vigili nel Municipio 9. E la Rozza dichiara “non conoscevamo la vicenda, stiamo chiedendo gli atti”. Ma la lettera di Barbato dimostra che l’assessora e Sala sapevano tutto da un anno e non hanno fatto nulla.
Indovinate qual è stata la notizia più gettonata sui giornali di domenica e lunedì. La granduchessa Pd e il suo record di case e conflitti d’interessi? L’insabbiamento del caso Madia? Il sindaco Sala che chiude entrambi gli occhi sul vigile amico dei mafiosi? O magari il capogruppo di FI Paolo Romani, appena condannato in Cassazione a 1 anno e 4 mesi per peculato? Tranquilli: quelle non sono notizie, infatti non lasciano traccia alcuna su giornali né tg. Zero tituli, a parte Romani (ben 28 righe a pag. 11 del Corriere, neppure una sugli altri quotidiani). In compenso, pagine e pagine sulle dimissioni di tal Paolo Giordana, capo di gabinetto di Chiara Appendino, che ha fatto levare una multa da 95 euro a un amico. E non per segnalare la felice anomalia (in Italia, si capisce) di un pubblico ufficiale che se ne va per un fatterello penalmente irrilevante ma moralmente indecente, mentre autori di condotte infinitamente più gravi fischiettano incollati alle poltrone o strillano al giustizialismo o aspettano la Cassazione (e quando arriva chi se ne frega).
Ma per dire che “Il caso Appendino (non Giordana: Appendino, ndr) fa tremare i 5Stelle” (Repubblica), “il declino dell’Appendino somiglia straordinariamente a quello della collega romana Raggi” (La Stampa), e i 5Stelle sono “piccoli truffatori e feroci moralizzatori al grido di onestà trallalà” (il Giornale, firmato Alessandro Sallusti, difensore d’ufficio e grande estimatore dell’onesto B. pregiudicato per frode fiscale, dell’onesto Previti pregiudicato per corruzione giudiziaria e dell’onesto Dell’Utri pregiudicato per mafia). Il governo Renzusconi non è ancora nato, ma per la libera stampa è come se già ci fosse. Meglio portarsi avanti col lavoro, anzi con la lingua.
lunedì 30 ottobre 2017
"Chi denuncia il pizzo non pagherà la Tari" mossa storica di un sindaco M5S in aiuto ai commercianti
"Chi denuncia il racket non pagherà Tari", il Comune di Bagheria in aiuto dei commercianti taglieggiati
Ad annunciarlo è il sindaco Patrizio Cinque, dopo che i carabinieri hanno arrestato sedici persone con l'accusa di associazione di tipo mafioso ed estorsioni ai danni di imprenditori locali“
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"Chi denuncia il racket non pagherà Tari", il Comune di Bagheria in aiuto dei commercianti taglieggiati
"Visto che alcuni capi di imputazione della nuova operazione messa in campo dagli inquirenti riguardano l'attività di estorsione, vogliamo rilanciare con un forte messaggio: chi denuncia non pagherà la Tari". Ad annunciarlo è il sindaco di Bagheria, Patrizio Cinque, che ringrazia l’Arma per l'operazione antimafia messa a segno stamani e che ha portato all'arresto di sedici persone.“
Ad annunciarlo è il sindaco Patrizio Cinque, dopo che i carabinieri hanno arrestato sedici persone con l'accusa di associazione di tipo mafioso ed estorsioni ai danni di imprenditori locali“
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"Chi denuncia il racket non pagherà Tari", il Comune di Bagheria in aiuto dei commercianti taglieggiati
"Visto che alcuni capi di imputazione della nuova operazione messa in campo dagli inquirenti riguardano l'attività di estorsione, vogliamo rilanciare con un forte messaggio: chi denuncia non pagherà la Tari". Ad annunciarlo è il sindaco di Bagheria, Patrizio Cinque, che ringrazia l’Arma per l'operazione antimafia messa a segno stamani e che ha portato all'arresto di sedici persone.“
Fenomenale Di Battista! Ospite su Rete 4 fa impazzire il pubblico
Alessandro Di Battista ospite a "Quinta Colonna"
ECCO L'INTERVISTA COMPLETA:
ECCO L'INTERVISTA COMPLETA:
domenica 29 ottobre 2017
Brogli e corruzione per l'elezioni: Il servizio choc de "Le Iene" che fa tremare la politica italiana
Servizio choc de "Le Iene" che fa tremare la politica italiani. Si parla di corruzione e brogli nei voti all'estero. L'inviato de "Le Iene" intervista un ex collaboratore di un politico italiano, in Germania, che racconta come funziona questo sistema.
GUARDA IL VIDEO:
Guarda il servizio completo ➡︎ http://bit.ly/2lr1582
Ultim'ora - Condannato un big della politica italiana per peculato, ma i media hanno censurato il caso
L’Appendino sbattuta in prima pagina per una multa mentre la condanna dell’ex ministro Romani viene vergognosamente censurata dai media
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Il capogruppo di Forza Italia in Senato, l’ ex ministro delle Telecomunicazioni Paolo Romani, è stato condannato in via definitiva dalla Cassazione per peculato di 12.800 euro di bollette (tra il gennaio 2011-febbraio 2012) della scheda del suo cellulare di allora assessore del Comune di Monza, «data in uso pressoché esclusivo e continuativo alla figlia» che la «utilizzava per esigenze personali, non all’ insaputa del padre ma con il suo pieno consenso».
La pena (1 anno e 4 mesi in secondo grado) sarà però ricalcolata in un appello-bis che dovrà solo rimotivare l’ esclusione o la concessione dell’ attenuante della «speciale tenuità» del danno, invocata dalla difesa di Romani che ha risarcito le bollette al Comune.
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Il capogruppo di Forza Italia in Senato, l’ ex ministro delle Telecomunicazioni Paolo Romani, è stato condannato in via definitiva dalla Cassazione per peculato di 12.800 euro di bollette (tra il gennaio 2011-febbraio 2012) della scheda del suo cellulare di allora assessore del Comune di Monza, «data in uso pressoché esclusivo e continuativo alla figlia» che la «utilizzava per esigenze personali, non all’ insaputa del padre ma con il suo pieno consenso».
La pena (1 anno e 4 mesi in secondo grado) sarà però ricalcolata in un appello-bis che dovrà solo rimotivare l’ esclusione o la concessione dell’ attenuante della «speciale tenuità» del danno, invocata dalla difesa di Romani che ha risarcito le bollette al Comune.
giovedì 26 ottobre 2017
Italiani godete! Hanno fatto un sondaggio: in questa grossa parte d’Italia il PD non porterà a casa neppure un seggio!
Al Nazareno ne sono convinti: nelle regioni settentrionali il Pd non prenderà neanche un seggio dai collegi uninominali.
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A dare certezza a quelli che sembravano solo vaghi timori, ci ha pensato una simulazione commissionata da due onorevoli di centrosinistra. Il documento, riportato da La Repubblica, consegna dati allarmanti: negli 86 collegi uninominali di Lombardia, Veneto, Friuli, Liguria e Piemonte, il Pd non otterrà alcun seggio. Nessun eletto. “Lo sanno anche i bambini che il Rosatellum avvantaggia il centrodestra” spiga il dem Giorgio Tonini “per la semplice ragione che loro una coalizione ce l’hanno”.
Per Gaetano Quagliarello, senatore fuoriuscito da Ncd e ora all’opposizione con il centrodestra, vale lo stesso ragionamento. “Non capisco ancora perché ci hanno fatto questo regalo. Lo sa che Von Hayek parlava di presunzione fatale? Ecco, la presunzione di Renzi è l’unica spiegazione”. La simulazione lascia pochi margini di dubbio. Il Pd si aggiudicherebbe all’uninominale 52 seggi su 231, 0 dalle regioni del Nord, parzialmente compensati dai buoni risultati in Toscana (9 deputati su 14), e in Emilia Romagna (8 su 17). Il senatore Pd, Stefano Ceccanti, non abbandona la speranza. “Nelle aree urbane del Nord ce la giochiamo. Perdiamo nelle aree caratterizzate da piccoli centri. E infatti in Veneto sarà dura”. Tutti sono concordi però nel profetizzare un “effetto Lega“. Una vittoria travolgente nelle regioni settentrionali. “Questi sono al 15% nazionale” ricorda il senatore Pd Stefano Esposito, “quindi al 30% in Lombardia e oltre il 40% in Veneto“.
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A dare certezza a quelli che sembravano solo vaghi timori, ci ha pensato una simulazione commissionata da due onorevoli di centrosinistra. Il documento, riportato da La Repubblica, consegna dati allarmanti: negli 86 collegi uninominali di Lombardia, Veneto, Friuli, Liguria e Piemonte, il Pd non otterrà alcun seggio. Nessun eletto. “Lo sanno anche i bambini che il Rosatellum avvantaggia il centrodestra” spiga il dem Giorgio Tonini “per la semplice ragione che loro una coalizione ce l’hanno”.
Per Gaetano Quagliarello, senatore fuoriuscito da Ncd e ora all’opposizione con il centrodestra, vale lo stesso ragionamento. “Non capisco ancora perché ci hanno fatto questo regalo. Lo sa che Von Hayek parlava di presunzione fatale? Ecco, la presunzione di Renzi è l’unica spiegazione”. La simulazione lascia pochi margini di dubbio. Il Pd si aggiudicherebbe all’uninominale 52 seggi su 231, 0 dalle regioni del Nord, parzialmente compensati dai buoni risultati in Toscana (9 deputati su 14), e in Emilia Romagna (8 su 17). Il senatore Pd, Stefano Ceccanti, non abbandona la speranza. “Nelle aree urbane del Nord ce la giochiamo. Perdiamo nelle aree caratterizzate da piccoli centri. E infatti in Veneto sarà dura”. Tutti sono concordi però nel profetizzare un “effetto Lega“. Una vittoria travolgente nelle regioni settentrionali. “Questi sono al 15% nazionale” ricorda il senatore Pd Stefano Esposito, “quindi al 30% in Lombardia e oltre il 40% in Veneto“.
L’assessore alla casa in Toscana (PD)? Ha 14 immobili, ma non li dichiara. E sai dove vive da vera parassita?
SEMBRAVA un’interrogazione di prassi sul tema dell’housing sociale, ovvero sui progetti della Regione nel campo dell’edilizia per famiglie con difficoltà.
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Poi, a sorpresa, l’atto presentato dal consigliere Giovanni Donzelli (Fratelli d’Italia) ha preso un’altra piega. «Abbiamo bisogno di ulteriori chiarimenti – ha detto Donzelli – perché fra i vari enti che partecipano al Fondo per l’housing sociale, che ha ricevuto dalla Regione 5 milioni di euro, c’è anche l’Istituto per il sostentamento del clero della diocesi di Firenze e in un immobile di Campi Bisenzio, di proprietà proprio dell’Istituto, abita l’assessore Saccardi. Vogliamo chiarire questo rapporto e sapere qual è l’affitto in base al contratto registrato all’Agenzia delle Entrate».
Nell’imbarazzo generale, il capogruppo di Fratelli d’Italia va oltre e solleva una seconda questione: quella di 14 immobili di proprietà dell’assessore Saccardi che non risultano nella dichiarazione patrimoniale lasciata dall’assessore alla Regione e presente on-line sul sito dell’ente, come prevede la normativa sulla trasparenza. «Da quella dichiarazione sembra che l’assessore abbia solo un immobile a Gavorrano – prosegue Donzelli –. Invece facendo una visura catastale si scopre che è proprietaria, fra Campi Bisenzio e Firenze insieme ai suoi familiari, di immobili per 1.264 mq, ovvero di 9 appartamenti divisi in due villini e con 5 garage».
Dopo le risposte tecniche sul tema dell’housing da parte dell’assessore alla casa Vincenzo Ceccarelli (assente in aula, ma che ha affidato la replica al collega Marco Remaschi), è stata la stessa Saccardi a entrare nel merito. «Abito in quella casa da molti anni – ha replicato – e quando stipulai il contratto non avevo incarichi pubblici. È un rapporto fra privati regolato da un regolare contratto. Questo non ha nulla a che fare con il Fondo per l’housing sociale, progetto che peraltro non ho mai seguito in Regione e che è precedente al mio mandato in qualità di assessore regionale». Resta l’altro tema, quello degli appartamenti non dichiarati nella documentazione consegnata in Regione.
«Quando si tratta solo di ‘nuda proprietà’ – ha spiegato l’assessore Saccardi – come nel mio caso, la dichiarazione degli immobili non è necessaria.Questo perché non guadagno nulla da quegli immobili, non mi danno reddito, né a me né ai miei fratelli. Li abbiamo ereditati e il reddito che ne deriva va interamente a mia mamma, che paga le relative tasse». A confortare l’assessore interviene anche Lucia De Robertis (Pd), presidente di turno del Consiglio regionale. «Mi confermano dagli uffici – spiega in aula – che ai fini della trasparenza non è obbligatoria la dichiarazione della nuda proprietà, perché non dà reddito». «In ogni caso – conclude l’assessore Saccardi – se serve il prossimo anno inserirò quegli immobili nella dichiarazione, ma non vedo cosa cambi».
AGGIORNAMENTI: Il consigliere Donzelli, in un video che inseriremo a breve, ha sputtanato nuovamente la parassita. Infatti la santerellina del PD ha successivamente dichiarato che la “nuda proprietà” con la madre sia solo “a parole” (sic…) senza alcun atto notarile. Pertanto gli immobili SONO DI SUA PROPRIETA’ a livello formale. La sciura quindi non solo racconta delle balle, ma dichiara il falso quando non inserisce gli immobili nelle sue proprietà. In qualunque nazione al mondo avrebbe già ricevuto la lettera di dimissioni da firmare. I I-taglia continuano serenamente a frasi i cazzacci propri sulle spalle dei cittadini. Così va il mondo ai tempi del PD…
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Poi, a sorpresa, l’atto presentato dal consigliere Giovanni Donzelli (Fratelli d’Italia) ha preso un’altra piega. «Abbiamo bisogno di ulteriori chiarimenti – ha detto Donzelli – perché fra i vari enti che partecipano al Fondo per l’housing sociale, che ha ricevuto dalla Regione 5 milioni di euro, c’è anche l’Istituto per il sostentamento del clero della diocesi di Firenze e in un immobile di Campi Bisenzio, di proprietà proprio dell’Istituto, abita l’assessore Saccardi. Vogliamo chiarire questo rapporto e sapere qual è l’affitto in base al contratto registrato all’Agenzia delle Entrate».
Nell’imbarazzo generale, il capogruppo di Fratelli d’Italia va oltre e solleva una seconda questione: quella di 14 immobili di proprietà dell’assessore Saccardi che non risultano nella dichiarazione patrimoniale lasciata dall’assessore alla Regione e presente on-line sul sito dell’ente, come prevede la normativa sulla trasparenza. «Da quella dichiarazione sembra che l’assessore abbia solo un immobile a Gavorrano – prosegue Donzelli –. Invece facendo una visura catastale si scopre che è proprietaria, fra Campi Bisenzio e Firenze insieme ai suoi familiari, di immobili per 1.264 mq, ovvero di 9 appartamenti divisi in due villini e con 5 garage».
Dopo le risposte tecniche sul tema dell’housing da parte dell’assessore alla casa Vincenzo Ceccarelli (assente in aula, ma che ha affidato la replica al collega Marco Remaschi), è stata la stessa Saccardi a entrare nel merito. «Abito in quella casa da molti anni – ha replicato – e quando stipulai il contratto non avevo incarichi pubblici. È un rapporto fra privati regolato da un regolare contratto. Questo non ha nulla a che fare con il Fondo per l’housing sociale, progetto che peraltro non ho mai seguito in Regione e che è precedente al mio mandato in qualità di assessore regionale». Resta l’altro tema, quello degli appartamenti non dichiarati nella documentazione consegnata in Regione.
«Quando si tratta solo di ‘nuda proprietà’ – ha spiegato l’assessore Saccardi – come nel mio caso, la dichiarazione degli immobili non è necessaria.Questo perché non guadagno nulla da quegli immobili, non mi danno reddito, né a me né ai miei fratelli. Li abbiamo ereditati e il reddito che ne deriva va interamente a mia mamma, che paga le relative tasse». A confortare l’assessore interviene anche Lucia De Robertis (Pd), presidente di turno del Consiglio regionale. «Mi confermano dagli uffici – spiega in aula – che ai fini della trasparenza non è obbligatoria la dichiarazione della nuda proprietà, perché non dà reddito». «In ogni caso – conclude l’assessore Saccardi – se serve il prossimo anno inserirò quegli immobili nella dichiarazione, ma non vedo cosa cambi».
AGGIORNAMENTI: Il consigliere Donzelli, in un video che inseriremo a breve, ha sputtanato nuovamente la parassita. Infatti la santerellina del PD ha successivamente dichiarato che la “nuda proprietà” con la madre sia solo “a parole” (sic…) senza alcun atto notarile. Pertanto gli immobili SONO DI SUA PROPRIETA’ a livello formale. La sciura quindi non solo racconta delle balle, ma dichiara il falso quando non inserisce gli immobili nelle sue proprietà. In qualunque nazione al mondo avrebbe già ricevuto la lettera di dimissioni da firmare. I I-taglia continuano serenamente a frasi i cazzacci propri sulle spalle dei cittadini. Così va il mondo ai tempi del PD…
Da non credere! Il treno di Renzi? Cosa stanno facendo per evitare gli insulti degli Italiani esasperati dal codardo
Pd, il treno di Renzi viaggia in incognito: per evitare proteste e insulti a ogni fermata si cancellano programma e date
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Destinazione Italia doveva essere il viaggio che rimette in connessione il leader del Pd con gli italiani. Ma dopo la prima settimana tra fischi, insulti e proteste nelle stazioni lo staff cambia programma e decide di non divulgare più le tappe, sottraendo il segretario alle imboscate di chi non gradisce la sua passerella lungo i binari. Neppure l’organizzazione del Pd sa dove e quando ferma il treno. E passa la palla alle Fs, che a sua volta la ripassano al partito. Mentre il convoglio si arrende dove è più agevole spiccare il volo
di Thomas Mackinson per Il Fatto Quotidiano
È partito da una stazione, è arrivato a nasconderle tutte. Fischi e insulti di cittadini arrabbiati a Polignano, striscioni a Porto San Elpidio, grida e dileggi a Reggio Calabria. Ogni tappa, una croce per il tour in treno di Matteo Renzi, partito il 17 ottobre per toccare in otto settimane le 107 province italiane. “Destinazione Italia” voleva essere un “percorso di ascolto e confronto” ma alle prime fermate Renzi e i suoi hanno dovuto rimettere i piedi per terra: “Buffone, buffone!”, urlano a Vasto, dopo un’accoglienza non meno calorosa ad Ascoli Piceno, mentre a Reggio Calabria hanno dovuto far rientro in stazione dall’ingresso secondario. Così, per evitare che ogni fermata del convoglio si trasformi in uno spot anti-Renzi, hanno deciso di cancellare ogni indicazione sul programma di viaggio. Neppure l’organizzazione del Partito, abbiamo fatto la prova, sa dove il convoglio fermerà.
Alla vigilia della partenza, sul sito del Partito Democratico erano invece indicate le tappe della prima settimana: martedì Farva,Civita Castellana, Narni, Spoleto, mercoledì Fano, Osimo e così via. Ma quella pagina (sotto lo screenshot) è scomparsa dopo le prime avvisaglie di un viaggio più faticoso del previsto, con video che raccontano il vero spirito di accoglienza che viene riservato a Renzi in giro per l’Italia. Così il sito su cui è transitata tutta l’operazione www.treno.partitodemocratico.it non indica più alcuna tappa, neppure per sbaglio fa riferimento alla “prossima fermata”, come recitava lo slogan della prima stazione (Leopolda) da cui Renzi era partito, nel lontano 2010.
Sembra impossibile. Sette anni dopo l’entourage renziano è costretto a cancellare le fermate del leader perché gli insulti non ne sporchino il viaggio. Basta chiamare in Via Sant’Andrea delle Fratteper avere conferma che non si tratti di un caso o di una svista, fingendoci simpatizzanti. Ci passano l’organizzazione. “No mi spiace ma non so dirle dove farà tappa, sinceramente noi veniamo avvertiti solo il giorno precedente ogni tappa“. Perfino per il partito quel treno naviga a vista per l’Italia. “Ora sappiamo che è in Calabria, oggi e domani in Campania poi in concomitanza della Conferenza programmatica a Napoli, ma poi da domenica non sappiamo nulla. Se c’è un calendario qui non ce lo danno, lo avranno le Ferrovie, perché devono ovviamente smistare i treni”.
Inutile chiamare le Fs che rimandano all’ufficio stampa del Pd, anche se il treno corre ancora sui suoi binari. O forse no, perché è anche successo che si sia fermato di fronte all’ineluttabile. Il quinto giorno il tour fa tappa a Matera dove – una volta arrivato sul binario morto della Linea Ferroviaria Jonica – il pezzo più antico e martoriato della rete ferroviaria nazionale, Renzi è sceso per raggiungere Reggio Calabria in aereo. Certificando così che quel tratto non fa parte dell’Italia ma di un Medioevo dei trasporti sul quale è meglio sorvolare. “In treno ci si arriverà per bene tra qualche anno”, ha però assicurato Renzi incontrando i rappresentanti dell’associazione che chiede la linea ferroviaria statale. Ma chi può, nel frattempo, prenda l’aereo.
Che il luminoso viaggio di Renzi proceda oggi a tentoni nel buio pone un qualche problema al leader democratico, già poco premiato dai sondaggi. Nasceva come un tour pre-elettorale grazie al quale le buone ragioni dell’ex premier venivano portate “sui territori”, come si dice. Renzi dichiarava di voler intercettare non chi la pensa come lui ma gli altri. Ma è costretto a ripiegare a suon di proteste e va da sé che le federazioni provinciali, avvisate sotto traccia della tappa, faranno radunare attorno al passaggio festosi simpatizzanti di Renzi. Così la reazione tattica al fallo di potenziali contestatori rischia di vanificare tutta l’operazione che non è proprio indolore sotto il profilo dei costi: 400mila euro, secondo stime non smentite, mentre ci sono 184 dipendenti in cassa e il bilancio è in rosso di quasi 10 milioni.
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Destinazione Italia doveva essere il viaggio che rimette in connessione il leader del Pd con gli italiani. Ma dopo la prima settimana tra fischi, insulti e proteste nelle stazioni lo staff cambia programma e decide di non divulgare più le tappe, sottraendo il segretario alle imboscate di chi non gradisce la sua passerella lungo i binari. Neppure l’organizzazione del Pd sa dove e quando ferma il treno. E passa la palla alle Fs, che a sua volta la ripassano al partito. Mentre il convoglio si arrende dove è più agevole spiccare il volo
di Thomas Mackinson per Il Fatto Quotidiano
È partito da una stazione, è arrivato a nasconderle tutte. Fischi e insulti di cittadini arrabbiati a Polignano, striscioni a Porto San Elpidio, grida e dileggi a Reggio Calabria. Ogni tappa, una croce per il tour in treno di Matteo Renzi, partito il 17 ottobre per toccare in otto settimane le 107 province italiane. “Destinazione Italia” voleva essere un “percorso di ascolto e confronto” ma alle prime fermate Renzi e i suoi hanno dovuto rimettere i piedi per terra: “Buffone, buffone!”, urlano a Vasto, dopo un’accoglienza non meno calorosa ad Ascoli Piceno, mentre a Reggio Calabria hanno dovuto far rientro in stazione dall’ingresso secondario. Così, per evitare che ogni fermata del convoglio si trasformi in uno spot anti-Renzi, hanno deciso di cancellare ogni indicazione sul programma di viaggio. Neppure l’organizzazione del Partito, abbiamo fatto la prova, sa dove il convoglio fermerà.
Alla vigilia della partenza, sul sito del Partito Democratico erano invece indicate le tappe della prima settimana: martedì Farva,Civita Castellana, Narni, Spoleto, mercoledì Fano, Osimo e così via. Ma quella pagina (sotto lo screenshot) è scomparsa dopo le prime avvisaglie di un viaggio più faticoso del previsto, con video che raccontano il vero spirito di accoglienza che viene riservato a Renzi in giro per l’Italia. Così il sito su cui è transitata tutta l’operazione www.treno.partitodemocratico.it non indica più alcuna tappa, neppure per sbaglio fa riferimento alla “prossima fermata”, come recitava lo slogan della prima stazione (Leopolda) da cui Renzi era partito, nel lontano 2010.
Sembra impossibile. Sette anni dopo l’entourage renziano è costretto a cancellare le fermate del leader perché gli insulti non ne sporchino il viaggio. Basta chiamare in Via Sant’Andrea delle Fratteper avere conferma che non si tratti di un caso o di una svista, fingendoci simpatizzanti. Ci passano l’organizzazione. “No mi spiace ma non so dirle dove farà tappa, sinceramente noi veniamo avvertiti solo il giorno precedente ogni tappa“. Perfino per il partito quel treno naviga a vista per l’Italia. “Ora sappiamo che è in Calabria, oggi e domani in Campania poi in concomitanza della Conferenza programmatica a Napoli, ma poi da domenica non sappiamo nulla. Se c’è un calendario qui non ce lo danno, lo avranno le Ferrovie, perché devono ovviamente smistare i treni”.
Inutile chiamare le Fs che rimandano all’ufficio stampa del Pd, anche se il treno corre ancora sui suoi binari. O forse no, perché è anche successo che si sia fermato di fronte all’ineluttabile. Il quinto giorno il tour fa tappa a Matera dove – una volta arrivato sul binario morto della Linea Ferroviaria Jonica – il pezzo più antico e martoriato della rete ferroviaria nazionale, Renzi è sceso per raggiungere Reggio Calabria in aereo. Certificando così che quel tratto non fa parte dell’Italia ma di un Medioevo dei trasporti sul quale è meglio sorvolare. “In treno ci si arriverà per bene tra qualche anno”, ha però assicurato Renzi incontrando i rappresentanti dell’associazione che chiede la linea ferroviaria statale. Ma chi può, nel frattempo, prenda l’aereo.
Che il luminoso viaggio di Renzi proceda oggi a tentoni nel buio pone un qualche problema al leader democratico, già poco premiato dai sondaggi. Nasceva come un tour pre-elettorale grazie al quale le buone ragioni dell’ex premier venivano portate “sui territori”, come si dice. Renzi dichiarava di voler intercettare non chi la pensa come lui ma gli altri. Ma è costretto a ripiegare a suon di proteste e va da sé che le federazioni provinciali, avvisate sotto traccia della tappa, faranno radunare attorno al passaggio festosi simpatizzanti di Renzi. Così la reazione tattica al fallo di potenziali contestatori rischia di vanificare tutta l’operazione che non è proprio indolore sotto il profilo dei costi: 400mila euro, secondo stime non smentite, mentre ci sono 184 dipendenti in cassa e il bilancio è in rosso di quasi 10 milioni.
Così il sistema vuole governare l’Italia anche se dovesse vincere il M5S
Il Bisturi di Clairemont Ferrand: Così il sistema vuole governare l’Italia dopo aver perso le elezioni
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La Stampa di De Benedetti racconta che l’amministrazione Trump vede l’indipendenza della Catalogna come “un passo per sgretolare l’Europa e la Nato” da parte di Mosca. Così come, aggiunge l’articolista, i referendum di domenica scorsa in Veneto e Lombardia e le prossime elezioni italiane.
Per una volta però il bersaglio di questo articolo non è Putin, se non indirettamente. E tantomeno la Spagna.
Il vero target che si vuole colpire in maniera surrettizia è il Movimento 5 Stelle per puntare ad ottenere due risultati.
Il primo è quello di impedire che il Movimento ottenga il voto degli indecisi – che saranno quelli che decideranno l’esito delle elezioni – insinuando loro ogni genere di dubbio per far in modo che non vadano a votare.
Se i fake media non riescono nell’intento, il piano B è disarmare il Movimento impedendo che metta in pratica la politica che ha promesso – tutta, ma solo per fare un esempio aderente al contesto dell’articolo, quella di togliere le cosiddette sanzioni alla Russia – montando già da ora una campagna che punta ad indicare Putin come fattore decisivo del successo del Movimento nella eventuale vittoria elettorale.
Questo, nei loro auspici, dovrebbe impedire ai 5 Stelle di dare piena attuazione alla politica che ha promesso a chi lo ha votato e costringendolo così a fare non la politica promessa ma quella di lor signori.
Bello vero vincere le elezioni dopo averle perse!
Si dirà che è impossibile. Tutt’altro!
Infatti l’establishment ha testato con successo – per ora, ma può essere pure che si riveli una vittoria di Pirro – questo metodo con Trump. Il presidente americano ha vinto le elezioni promettendo una determinata politica, ma dopo le elezioni nei fatti finora gli è stato non solo impedito di attuarla ma addirittura è stato costretto a fare la politica del sistema.
Imputando a Putin la vittoria eventuale del Movimento non solo si mira a fare in modo che non venga attuata la politica estera promessa, ma qualsiasi politica, neutralizzando nei fatti la vittoria elettorale.
Per il M5S vincere sarà durissimo. Ma il peggio sarà dopo l’eventuale vittoria.
È per questo che raccomandiamo ai 5 Stelle di impostare già da subito gli aspetti operativi essenziali della politica economica, quella su cui si deciderà il destino del Movimento e dell’Italia.
Raggi a Roma docet
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La Stampa di De Benedetti racconta che l’amministrazione Trump vede l’indipendenza della Catalogna come “un passo per sgretolare l’Europa e la Nato” da parte di Mosca. Così come, aggiunge l’articolista, i referendum di domenica scorsa in Veneto e Lombardia e le prossime elezioni italiane.
Per una volta però il bersaglio di questo articolo non è Putin, se non indirettamente. E tantomeno la Spagna.
Il vero target che si vuole colpire in maniera surrettizia è il Movimento 5 Stelle per puntare ad ottenere due risultati.
Il primo è quello di impedire che il Movimento ottenga il voto degli indecisi – che saranno quelli che decideranno l’esito delle elezioni – insinuando loro ogni genere di dubbio per far in modo che non vadano a votare.
Se i fake media non riescono nell’intento, il piano B è disarmare il Movimento impedendo che metta in pratica la politica che ha promesso – tutta, ma solo per fare un esempio aderente al contesto dell’articolo, quella di togliere le cosiddette sanzioni alla Russia – montando già da ora una campagna che punta ad indicare Putin come fattore decisivo del successo del Movimento nella eventuale vittoria elettorale.
Questo, nei loro auspici, dovrebbe impedire ai 5 Stelle di dare piena attuazione alla politica che ha promesso a chi lo ha votato e costringendolo così a fare non la politica promessa ma quella di lor signori.
Bello vero vincere le elezioni dopo averle perse!
Si dirà che è impossibile. Tutt’altro!
Infatti l’establishment ha testato con successo – per ora, ma può essere pure che si riveli una vittoria di Pirro – questo metodo con Trump. Il presidente americano ha vinto le elezioni promettendo una determinata politica, ma dopo le elezioni nei fatti finora gli è stato non solo impedito di attuarla ma addirittura è stato costretto a fare la politica del sistema.
Imputando a Putin la vittoria eventuale del Movimento non solo si mira a fare in modo che non venga attuata la politica estera promessa, ma qualsiasi politica, neutralizzando nei fatti la vittoria elettorale.
Per il M5S vincere sarà durissimo. Ma il peggio sarà dopo l’eventuale vittoria.
È per questo che raccomandiamo ai 5 Stelle di impostare già da subito gli aspetti operativi essenziali della politica economica, quella su cui si deciderà il destino del Movimento e dell’Italia.
Raggi a Roma docet
Boschi beccata! Viaggia a scrocco degli italiani. Ecco cos'hanno scoperto
La Boschi fa viaggi privati all’estero. E li paghiamo noi
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Non è la prima volta La sottosegretaria interviene a un seminario politico e lo spaccia per una missione istituzionale finché non arriva una fattura di un fotografo
(CARLO TECCE – il Fatto Quotidiano) – A settembre è stata a Montréal, non per una missione ufficiale ma per tessere relazioni. Scoppia il caso per una fattura di un fotografo: oltre 1.000 euro che ora Palazzo Chigi non sa come giustificare. E non è la prima volta
Follow the vanity. Segui la vanità. Così a Palazzo Chigi hanno scoperto i dettagli del viaggio in Canada – dal 14 al 16 settembre 2017 – della sottosegretaria Maria Elena Boschi: con una fattura da saldare, trasmessa dall’ambasciata d’Italia di Ottawa, per un servizio fotografico da oltre 1.000 euro. Quello che conta, per giocare con le parole, non è il conto, ma l’imprudenza con cui la Boschi confonde le visite istituzionali e le trasferte di carattere politico. Sfruttando l’incarico di governo, la sottosegretaria promuove se stessa e alimenta relazioni personali con le risorse pubbliche destinate alle “missioni” dei rappresentanti dell’esecutivo. Non è la prima volta.
LA SOTTOSEGRETARIA è andata in Canada per intervenire al Global Progress, un seminario di matrice riformista di centrosinistra sui populismi e il protezionismo, organizzato da numerosi centri studi, Canada 2020, Center for American Progress, Policy Network e Volta. Quest’ultimo è un germoglio renziano: il presidente è Giuliano da Empoli, ideologo di Matteo, ex assessore al Comune di Firenze; un membro illustre è Diego Piacentini, ex manager di Amazon in Europa, nominato da Renzi commissario straordinario al digitale.
Boschi ha riempito l’agenda con una serie di rapidi impegni per giustificare la presenza al Global Progress di Montreal di venerdì 15 e sabato 16 settembre, complice l’assistenza dell’ambasciata, già schierata in passato per sostenere il Sì al referendum costituzionale: caffè con stretta di mano a Maryam Monsef, ministra canadese per le Pari Opportunità; un brindisi di mezz’ora all’Istituto di Cultura di Toronto coi parlamentari eletti all’estero (in Canada votano 115.762 italiani) e un’altra passerella nel Centro canadese di Architettura fra imprenditori e banchieri. Ingresso sempre vietato ai giornalisti, nessun resoconto ufficiale né conferenze stampa. Un po’ bizzarro per una “missione” ufficiale, come ha no- tato il Cittadino, il giornale canadese in lingua italiana che ha ricostruito le tappe del viaggio fra Toronto e Montreal. Il contorno dei succitati appuntamenti, senz’altro utili per la carriera politica, ha accompagnato il sottosegretario fino all’evento del Global Progress con Justin Trudeau, il giovane primo ministro canadese; Philippe Cuillard, il premier del Quebec e John Podesta, ex capo di gabinetto di Bill Clinton e responsabile della campagna di Hillary.
A un mese dal rientro dal Canada, il servizio fotografico ha innescato il dibattito interno a Palazzo Chigi sul controllo dei movimenti dell’ex ministra perché non incluso nel preventivo – di solito va dai biglietti per il volo alle stanze d’albergo – autorizzato da Paolo Aquilanti, il segretario generale, l’unico dirigente che valuta tutte le spese di Maria Elena. E allora conviene rac- contare il sodalizio. Boschi sceglie l’esperto Aquilanti come capo di gabinetto ai tempi del ministero per i Rapporti col Parlamento: è lui che la introduce nel sistema romano, che la guida nella scrittura dei testi di legge e nel complesso galateo istituzionale.
APPENA S’INCRINA il legame fra Matteo Renzi e Graziano Delrio, Boschi spedisce Aquilanti a Palazzo Chigi col ruolo di segretario generale. E prima del referendum, per garantirgli uno spensierato futuro, lo fa indicare per il Consiglio di Stato. La nomina a Palazzo Spada, però, viene posticipata di qualche mese, da dicembre 2016 a febbraio 2017, per consentire all’amico Paolo di ottenere la pensione da dipendente del Senato. A 57 anni. Con una forzatura delle regole, ottiene il distaccamento e conserva la poltrona di Palazzo Chigi, mentre l’altra lo potrà accogliere quando ne avrà bisogno. Fine della breve storia.
Aquilanti di professione fa il segretario generale, in realtà svolge le mansioni di segretario particolare di Meb, la scorta ovunque, dal Festival del cinema di Venezia al concerto del G7 al teatro di Taormina. Boschi adora le comitive, non va mai da sola. Anche per il Canada si è imbarcata con un paio di dipendenti di Palazzo Chigi.
DEL PRESUNTO viaggio di Stato esiste soltanto il diario di Meb: qualche pensiero disperso su Facebook, un album di fotografie postato su Instagram. In un’immagine c’è la Boschi in posa con Trudeau “breve e informale incont ro”, precisa lei; in un’altra la sottosegretaria dorme sull’aereo con un libro di Niccolò Ammaniti, Anna.
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Non è la prima volta La sottosegretaria interviene a un seminario politico e lo spaccia per una missione istituzionale finché non arriva una fattura di un fotografo
(CARLO TECCE – il Fatto Quotidiano) – A settembre è stata a Montréal, non per una missione ufficiale ma per tessere relazioni. Scoppia il caso per una fattura di un fotografo: oltre 1.000 euro che ora Palazzo Chigi non sa come giustificare. E non è la prima volta
Follow the vanity. Segui la vanità. Così a Palazzo Chigi hanno scoperto i dettagli del viaggio in Canada – dal 14 al 16 settembre 2017 – della sottosegretaria Maria Elena Boschi: con una fattura da saldare, trasmessa dall’ambasciata d’Italia di Ottawa, per un servizio fotografico da oltre 1.000 euro. Quello che conta, per giocare con le parole, non è il conto, ma l’imprudenza con cui la Boschi confonde le visite istituzionali e le trasferte di carattere politico. Sfruttando l’incarico di governo, la sottosegretaria promuove se stessa e alimenta relazioni personali con le risorse pubbliche destinate alle “missioni” dei rappresentanti dell’esecutivo. Non è la prima volta.
LA SOTTOSEGRETARIA è andata in Canada per intervenire al Global Progress, un seminario di matrice riformista di centrosinistra sui populismi e il protezionismo, organizzato da numerosi centri studi, Canada 2020, Center for American Progress, Policy Network e Volta. Quest’ultimo è un germoglio renziano: il presidente è Giuliano da Empoli, ideologo di Matteo, ex assessore al Comune di Firenze; un membro illustre è Diego Piacentini, ex manager di Amazon in Europa, nominato da Renzi commissario straordinario al digitale.
Boschi ha riempito l’agenda con una serie di rapidi impegni per giustificare la presenza al Global Progress di Montreal di venerdì 15 e sabato 16 settembre, complice l’assistenza dell’ambasciata, già schierata in passato per sostenere il Sì al referendum costituzionale: caffè con stretta di mano a Maryam Monsef, ministra canadese per le Pari Opportunità; un brindisi di mezz’ora all’Istituto di Cultura di Toronto coi parlamentari eletti all’estero (in Canada votano 115.762 italiani) e un’altra passerella nel Centro canadese di Architettura fra imprenditori e banchieri. Ingresso sempre vietato ai giornalisti, nessun resoconto ufficiale né conferenze stampa. Un po’ bizzarro per una “missione” ufficiale, come ha no- tato il Cittadino, il giornale canadese in lingua italiana che ha ricostruito le tappe del viaggio fra Toronto e Montreal. Il contorno dei succitati appuntamenti, senz’altro utili per la carriera politica, ha accompagnato il sottosegretario fino all’evento del Global Progress con Justin Trudeau, il giovane primo ministro canadese; Philippe Cuillard, il premier del Quebec e John Podesta, ex capo di gabinetto di Bill Clinton e responsabile della campagna di Hillary.
A un mese dal rientro dal Canada, il servizio fotografico ha innescato il dibattito interno a Palazzo Chigi sul controllo dei movimenti dell’ex ministra perché non incluso nel preventivo – di solito va dai biglietti per il volo alle stanze d’albergo – autorizzato da Paolo Aquilanti, il segretario generale, l’unico dirigente che valuta tutte le spese di Maria Elena. E allora conviene rac- contare il sodalizio. Boschi sceglie l’esperto Aquilanti come capo di gabinetto ai tempi del ministero per i Rapporti col Parlamento: è lui che la introduce nel sistema romano, che la guida nella scrittura dei testi di legge e nel complesso galateo istituzionale.
APPENA S’INCRINA il legame fra Matteo Renzi e Graziano Delrio, Boschi spedisce Aquilanti a Palazzo Chigi col ruolo di segretario generale. E prima del referendum, per garantirgli uno spensierato futuro, lo fa indicare per il Consiglio di Stato. La nomina a Palazzo Spada, però, viene posticipata di qualche mese, da dicembre 2016 a febbraio 2017, per consentire all’amico Paolo di ottenere la pensione da dipendente del Senato. A 57 anni. Con una forzatura delle regole, ottiene il distaccamento e conserva la poltrona di Palazzo Chigi, mentre l’altra lo potrà accogliere quando ne avrà bisogno. Fine della breve storia.
Aquilanti di professione fa il segretario generale, in realtà svolge le mansioni di segretario particolare di Meb, la scorta ovunque, dal Festival del cinema di Venezia al concerto del G7 al teatro di Taormina. Boschi adora le comitive, non va mai da sola. Anche per il Canada si è imbarcata con un paio di dipendenti di Palazzo Chigi.
DEL PRESUNTO viaggio di Stato esiste soltanto il diario di Meb: qualche pensiero disperso su Facebook, un album di fotografie postato su Instagram. In un’immagine c’è la Boschi in posa con Trudeau “breve e informale incont ro”, precisa lei; in un’altra la sottosegretaria dorme sull’aereo con un libro di Niccolò Ammaniti, Anna.
mercoledì 25 ottobre 2017
E se facessimo lo sciopero della fame finché non si dimettono in massa dal parlamento?
Sarà che in questi anni hanno pappato talmente tanto che non ne hanno più bisogno.
L’ultima pagliacciata della casta per ottenere la discussione in aula e la fiducia sulla legge ius soli è lo sciopero della fame.
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Una misura che dovrebbe essere presa in casi estremi e non per spingere l’approvazione di una legge che, in questo momento, non è una priorità per il Paese.
Una misura che i politici avrebbero dovuto prendere molto prima, magari per protestare contro i giovani che non trovano lavoro e che devono scappare all’estero, per i disoccupati, o per gli anziani che hanno pensioni da fame.
Una misura che, semmai, dovremmo prendere noi: cosa succederebbe se tutti noi italiani arrabbiati facessimo lo sciopero della fame finché non otteniamo le dimissioni di massa del parlamento?
L’ultima pagliacciata della casta per ottenere la discussione in aula e la fiducia sulla legge ius soli è lo sciopero della fame.
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Una misura che dovrebbe essere presa in casi estremi e non per spingere l’approvazione di una legge che, in questo momento, non è una priorità per il Paese.
Una misura che i politici avrebbero dovuto prendere molto prima, magari per protestare contro i giovani che non trovano lavoro e che devono scappare all’estero, per i disoccupati, o per gli anziani che hanno pensioni da fame.
Una misura che, semmai, dovremmo prendere noi: cosa succederebbe se tutti noi italiani arrabbiati facessimo lo sciopero della fame finché non otteniamo le dimissioni di massa del parlamento?
Indagato il braccio destro di Zingaretti, ma i giornali lo nascondono
Maurizio Venafro, ex braccio destro del Governatore piddino della Regione Lazio Nicola Zingaretti, risulta indagato nell’ambito di un’indagine della procura di Roma su corruzione in atti giudiziari al Consiglio di Stato.
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A Venafro, riporta Il Sole 24 Ore, viene contestata l’accusa di corruzione perché secondo i pm avrebbe «percepito 72 mila euro da società riconducibili all’imprenditore Fabrizio Centofanti (anche lui indagato), espressioni della Energie Nuove Srl, in concorso con Amara, titolare di Dagi Srl».
Ma queste informazioni vengono relegate a fondo pagina dal Sole e dalla Stampa, come se non fossero degne di nota.
Ma se fosse successo ad un grillino, apriti cielo! I fake media avrebbero sbattuto la notizia in prima pagina e in apertura dei tg.
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A Venafro, riporta Il Sole 24 Ore, viene contestata l’accusa di corruzione perché secondo i pm avrebbe «percepito 72 mila euro da società riconducibili all’imprenditore Fabrizio Centofanti (anche lui indagato), espressioni della Energie Nuove Srl, in concorso con Amara, titolare di Dagi Srl».
Ma queste informazioni vengono relegate a fondo pagina dal Sole e dalla Stampa, come se non fossero degne di nota.
Ma se fosse successo ad un grillino, apriti cielo! I fake media avrebbero sbattuto la notizia in prima pagina e in apertura dei tg.
Rosatellum, senatore M5S esplode di rabbia ed insulta: "Facce di cazzo!"
Caso al Senato. Sulla fiducia alla porcata del Rosatellum un senatore 5 stelle, Sergio Puglia, che ha perso le staffe ed ha iniziato ad insultare i politici presenti: "Adesso basta con queste facce da c..."
ECCO IL VIDEO DELL'INTERVENTO:
ECCO IL VIDEO DELL'INTERVENTO:
Luigi Di Maio senza freni lancia un messsaggio agli italiani: "Hanno oltrepassato il limite.."
LUIGI DI MAIO: "HANNO OLTREPASSATO IL LIMITE. E LA PIAZZA DI OGGI NE È LA PROVA!"
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Quello che stanno facendo qui a Roma con il Rosatellum, in Sicilia è già realtà: un sistema che favorisce le ammucchiate di impresentabili e che riunisce partiti e partitini con un solo obiettivo, ovvero cercare in tutti i modi di fermare l’avanzata del MoVimento 5 Stelle.
Hanno un piano ben preciso: fare una legge con la quale scientificamente non può vincere nessuno, così da essere “costretti” a unirsi per celebrare l’ennesimo, disgustoso, inciucio.
E allora cominciamo a dare un segnale forte, dopo la meravigliosa piazza di oggi. E iniziamo con la Sicilia. Il 5 novembre Giancarlo Cancelleri potrebbe diventare il presidente della Regione Siciliana. Dimostriamogli che il loro tempo è finito e che nonostante i loro imbrogli è giunto il momento di togliersi dai piedi. Hanno oltrepassato il limite: è ora che vadano a casa una volta per tutte.
GUARDA IL VIDEO: Di Maio, Di Battista e Grillo bendati in piazza
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Quello che stanno facendo qui a Roma con il Rosatellum, in Sicilia è già realtà: un sistema che favorisce le ammucchiate di impresentabili e che riunisce partiti e partitini con un solo obiettivo, ovvero cercare in tutti i modi di fermare l’avanzata del MoVimento 5 Stelle.
Hanno un piano ben preciso: fare una legge con la quale scientificamente non può vincere nessuno, così da essere “costretti” a unirsi per celebrare l’ennesimo, disgustoso, inciucio.
E allora cominciamo a dare un segnale forte, dopo la meravigliosa piazza di oggi. E iniziamo con la Sicilia. Il 5 novembre Giancarlo Cancelleri potrebbe diventare il presidente della Regione Siciliana. Dimostriamogli che il loro tempo è finito e che nonostante i loro imbrogli è giunto il momento di togliersi dai piedi. Hanno oltrepassato il limite: è ora che vadano a casa una volta per tutte.
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Grillo: "Vinciamo noi". E Di Battista lancia un messaggio a Mattarella
“Probabilmente vinceranno, ma se vinceremo noi la vittoria sarà tripla”. Lo ha detto Beppe Grillo dal palco della manifestazione M5S anti-Rosatellum, mentre sullo schermo montato sul palco venivano trasmesse le immagini del presidente del Senato Pietro Grasso durante la seduta in Aula
GUARDA IL VIDEO:
Dando il suo ok anche al Rosatellum, Sergio Mattarella “sarebbe il primo Presidente ad aver firmato 2 leggi elettorali illegali e truffaldine. Mi auguro che ci pensi molto bene, perché è diritto del popolo italiano potersi scegliere i rappresentanti”. Così Alessandro Di Battista, dal palco della manifestazione M5S al Pantheon. “Al Presidente Mattarella voglio solo ricordare che quando era deputato della Repubblica intervenne in aula contro la riforma elettorale del governo Berlusconi perché approvata a colpi di maggioranza, disse che era vergognoso. Mi piacerebbe ricordare a Mattarella di fare Mattarella. Faccia attenzione a firmare una seconda volta una legge truffaldina e anticostituzionale”.
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Dando il suo ok anche al Rosatellum, Sergio Mattarella “sarebbe il primo Presidente ad aver firmato 2 leggi elettorali illegali e truffaldine. Mi auguro che ci pensi molto bene, perché è diritto del popolo italiano potersi scegliere i rappresentanti”. Così Alessandro Di Battista, dal palco della manifestazione M5S al Pantheon. “Al Presidente Mattarella voglio solo ricordare che quando era deputato della Repubblica intervenne in aula contro la riforma elettorale del governo Berlusconi perché approvata a colpi di maggioranza, disse che era vergognoso. Mi piacerebbe ricordare a Mattarella di fare Mattarella. Faccia attenzione a firmare una seconda volta una legge truffaldina e anticostituzionale”.
Tutti in piedi per Paola Taverna in Aula, Ecco la verità sul Rosatellum
Una legge elettorale che vogliono tutti ma non riconosce nessuno. Nessuno che se ne vuole assumere la paternità. L’ennesima accozzaglia, l’ennesima legge elettorale incostituzionale, l’ennesima presa in giro per i cittadini.
La verità è che non ve ne frega niente dei cittadini, la verità è che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Parole e musica di Paola Taverna
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La verità è che non ve ne frega niente dei cittadini, la verità è che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Parole e musica di Paola Taverna
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Beppe Grillo difende ed elogia Virginia Raggi: "Sta combattendo contro tutti e tutto"
Grillo difende Raggi sta combattendo contro tutti
Il leader del Movimento 5 Stelle in piazza per protestare contro la legge elettorale
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Il leader del Movimento 5 Stelle in piazza per protestare contro la legge elettorale
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"Hai venduto la nostra Italia, ma come fai a dormire la notte?": Renzi umiliato da una cittadina coraggiosa
"Hai venduto la nostra Italia, ma come fai a dormire la notte?": nuove immagini della feroce contestazione notturna alla stazione ferroviaria di Grottaglie, nel tarantino; una delle ultime tappe della campagna elettorale dell'ex premier a bordo del treno Pd.
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Legge elettorale, Di Battista si scaglia contro Napolitano: "Dica chi ha fatto pressioni a Gentiloni"
Napolitano ha dichiarato in Aula che "Questa legge è inammisibile, Gentiloni ha subito pressioni", Di Battista allora si scaglia contro il paracarro:
"Napolitano in aula al Senato rispetto alla vergogna della legge elettorale dei nominati ha appena detto: "Gentiloni ha subito forti pressioni". Troppo comodo e vigliacco (come ha detto Paola Taverna) dire il peccato e non il peccatore. Napolitano se ha un minimo di dignità ci dica chi ha fatto queste pressioni sul Presidente del Consiglio per imporre la fiducia e distruggere la democrazia in questo Paese. Dopo 64 anni in Parlamento un briciolo di coraggio sarebbe un obbligo Presidente Napolitano!
P.S. Verso le 17.00 arriverò in piazza al Pantheon. Siamo in tantissimi. Continuate a venire è importante."
Una marea umana! Senato circondato dai cittadini! Ecco le immagini
UNA MAREA UMANA
Il Movimento 5 Stelle scende in piazza a Roma per protestare contro la legge elettorale. I grillini si sono radunati in concomitanza con l'inizio del voto di fiducia al Senato.
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Il Movimento 5 Stelle scende in piazza a Roma per protestare contro la legge elettorale. I grillini si sono radunati in concomitanza con l'inizio del voto di fiducia al Senato.
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Intervento storico di Barbara Lezzi al Senato! Una leonessa! Ecco cos'ha fatto
Barbara Lezzi show al Senato. Sull'espressione di fiducia al Rosatellum la leonessa a 5 stelle umilia Renzi, Berlusconi e tutti i politici.
ECCO L'INTERVENTO DI BARBARA LEZZI:
ECCO L'INTERVENTO DI BARBARA LEZZI:
Rosatellum, senatore M5S esplode di rabbia ed insulta: "Facce di cazzo!"
Caso al Senato. Sulla fiducia alla porcata del Rosatellum un senatore 5 stelle, Sergio Puglia, che ha perso le staffe ed ha iniziato ad insultare i politici presenti: "Adesso basta con queste facce da c..."
ECCO IL VIDEO DELL'INTERVENTO:
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martedì 24 ottobre 2017
Voto storico al Parlamento europeo: sì al Reddito di cittadinanza per tutti
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Reddito di cittadinanza subito! Con 451 si, 147 no e 42 astensioni, il Parlamento europeo dice sì alla proposta del gruppo Efdd - MoVimento 5 Stelle. Il rapporto è una road map per azzerare la povertà in Europa e Italia, unico Paese assieme alla Grecia, a non prevedere un reddito minimo per tutti i cittadini. Fra le misure approvate si sono:
1) l'uso del Fondo sociale europeo per cofinanziare il reddito di cittadinanza
2) una direttiva della Commissione europea vincolante per tutti gli Stati membri
3) reddito di cittadinanza per tutti i cittadini colpiti dalle recessioni economiche è uno strumento di inclusione attiva, promuove la partecipazione e l'inclusione sociale.
4) l'indicazione di un importo per la determinazione di questo reddito: il 60% del reddito medio nazionale.
Questo voto è la rivincita degli ultimi, di quelli che subiscono l'onta della povertà e dei cittadini umiliati dai tagli e dalle politiche di austerità. Con noi nessuno rimane indietro!
VIDEO. Ascolta l'intervento di Laura Agea nella plenaria di Strasburgo
di Laura Agea, Efdd - Movimento 5 Stelle Europa
"La povertà è un problema europeo causato proprio dalle sue politiche scellerate. L'ultima speranza per mettere un freno all'emergenza della povertà è la volontà da parte di tutti i Paesi di adottare un reddito minimo che restituisca vita e dignità ai quasi 120 milioni di cittadini europei che non riescono più ad arrivare alla fine del mese.
Con questo documento l'Europa non potrà più girarsi dall'altra parte con indifferenza quando si parla della sofferenza dei suoi cittadini. L'Europa non deve più restare indifferente di fronte alle richieste di aiuto che le famiglie e le imprese ci rivolgono. La Commissione Europea affronti senza indugio la questione del reddito minimo presentando quanto prima la proposta di una direttiva vincolante.
Oggi, secondo l'Osservatorio sociale europeo diverse forme di sostegno al reddito esistono già in 26 Stati membri e non serve aggiungere che il mio Paese non prevede nessun tipo di sostegno. Noi vogliamo che l'Europa intervenga immediatamente con un quadro comune di norme che permetta l'armonizzazione dei diversi regimi vigenti con criteri di accesso comuni e validi per tutti: come ad esempio basare il calcolo del reddito da erogare sulla soglia di povertà che Eurostat fissa al 60% del reddito medio nazionale.
Non esistono cittadini di serie B! Tutti devono poter beneficiare allo stesso modo dei regimi di reddito minimo. Le parole non bastano più! Bisogna mettere a disposizione le linee di bilancio del fondo sociale europeo e del programma europeo per l'occupazione e l'innovazione sociale per aiutare gli Stati membri a implementare regimi di Reddito minimo.
Si tratta di un approccio strategico e di visione che consenta una vera integrazione sociale! Non solo di soldi! I cittadini non chiedono elemosina ma politiche di dignità. Se si trovano i soldi per salvare le banche, tanto più pretendo che si trovino risorse per i figli di questa Europa che è vittima troppo spesso di interessi scellerati.
Questo nostro Continente ritrovi il suo volto umano assicurando assistenza sanitaria, alloggio, istruzione e dignità attraverso politiche economiche espansive che creino occupazione! Questo documento porta la mia firma e quella del MoVimento 5 Stelle e racchiude i nomi di tutti i 120 milioni di cittadini europei per i quali è stato scritto.
Il nostro impegno, la nostra dedizione, il nostro lavoro sono stati, sono e saranno sempre rivolti a loro".
Strepitoso Di Battista in diretta a #CartaBianca. Ecco la sua intervista
Alessandro Di Battista ospite alla trasmissione "#cartabianca" su Rai 3 SI ESPONE SU MOLTI TEMI SCOTTANTI DEGLI ULTIMI GIORNI. Dall'odio razziale negli stadi, al Rosatellum fino alla Boaschi. Ecco cos'ha detto
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MAFIA A ROMA: SPUNTA LA BOSCHI DALLE TRASCRIZIONI! CAPISCI PERCHE’ BUZZI DISSE CHE SE AVESSE PARLATO SAREBBE CADUTO IL GOVERNO?
(Articolo del 28-01-2016, per non dimenticare)
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UN PARTITO DI BUZZI-CONI – DALLE TRASCRIZIONI DI “MAFIA CAPITALE” SPUNTA IL NOME DELLA BOSCHI – SI TORNA A PARLARE DEL FINANZIAMENTO DEL RAS DELLE COOP AL RADUNO ELETTORALE DI RENZI DEL NOVEMBRE 2014 – LA TELEFONATA: “ABBIAMO CONSEGNATO ALLA BOSCHI LA LETTERA PER MATTEO”
Sono le 22:05 del 7 novembre 2014, giorno della cena elettorale del presidente del Consiglio Matteo Renzi – Il ras delle coop di Mafia Capitale, Salvatore Buzzi, ha partecipato a quella raccolta fondi. Ne parla con una sua amica e racconta dei presunti rapporti che avrebbe avuto con il ministro Boschi… –
Ivan Cimmarusti per “Il Tempo”
«Abbiamo consegnato alla Boschi la lettera per Matteo». Sono le 22:05 del 7 novembre 2014, giorno della cena elettorale del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Il ras delle coop di Mafia Capitale, Salvatore Buzzi, ha partecipato a quella raccolta fondi. Ne parla con una sua amica e racconta dei presunti rapporti che avrebbe avuto con il ministro per le riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento.
La telefonata è contenuta nell’incartamento giudiziario della Procura della Repubblica di Roma, depositato al maxi processo contro la presunta cupola mafiosa capitolina. Gli atti, dunque, svelano retroscena finora inediti. Tutti legati a quella cena di novembre del 2014 per finanziare il Partito democratico e Matteo Renzi. Un particolare di cui parla anche con Michele Nacamulli, esponente romano del Pd: «Se becchi Renzi gli ricordi che abbiamo finanziato la Leopolda e oggi gli abbiamo dato 15mila euro. Potevamo dirlo alla Boschi cazzo». «Ok», risponde Nacamulli, «la Boschi è qui».
C’è da dire che, stando a fonti difensive, i tabulati telefonici nasconderebbero anche altre conversazioni avute tra il ministro Boschi e Buzzi. Conversazioni che non hanno alcun profilo penale ma che si riferiscono a un periodo precedente alla cena di novembre.?Tra settembre e ottobre, infatti, Buzzi sembra dialogare col ministro per avere informazioni sulla cena. È pronto a partecipare versando un proprio contributo.
D’altronde l’imprenditore era stato per anni il fiore all’occhiello delle coop vicine alla vecchia sinistra di Roma. E con l’arrivo di Renzi intendeva riposizionarsi politicamente e, magari, fare un salto di qualità. L’obiettivo era di arrivare a incassare appalti sempre più ampi per ingrassare le casse delle cooperative legate a doppio filo al presunto boss, Massimo Carminati. Nei suoi interrogatori, infatti, Buzzi ha precisato che finanziando le campagne elettorali «ti fai un’assicurazione sulla vita, sul futuro».
«Ma perché – ha aggiunto – me chiama Renzi a cena, 15mila euro a Renzi (…) ci hanno chiamato i finanziatori». Dai tabulati telefonici, però, risulterebbero suoi contatti direttamente con la Boschi. Un’ennesima grana per il ministro, dopo lo scandalo della Banca Etruria. Stando a quanto emerso, alla cena di autofinanziamento del Partito democratico Buzzi avrebbe pagato la somma pattuita versando il denaro che sarebbe finito nelle casse della Fondazione Open, gestita dall’intimo amico del premier, l’imprenditore Marco Carrai, recentemente tra i papabili a gestire la cybersecurity italiana. D’altronde, nella stessa Fondazione Open risulta esserci la stessa Boschi.
Le intercettazioni del 6 novembre 2014 sull’utenza di Buzzi confermano il pagamento per la cena elettorale. Al telefono ci sono il ras delle coop e il suo stretto collaboratore Carlo Guarany. I due discutono della cena e decidono di informarsi meglio con Lionello Cosentino, ex segretario del Pd di Roma che a dicembre 2014 è stato commissariato da Matteo Orfini. I giorni successivi alla cena Buzzi continua a discutere della candidatura di Renzi con l’allora direttore generale di Ama, Giovanni Fiscon. Racconta di aver fatto due versamenti (uno da 15mila euro per la cena e un altro da 5mila per la Leopolda).
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UN PARTITO DI BUZZI-CONI – DALLE TRASCRIZIONI DI “MAFIA CAPITALE” SPUNTA IL NOME DELLA BOSCHI – SI TORNA A PARLARE DEL FINANZIAMENTO DEL RAS DELLE COOP AL RADUNO ELETTORALE DI RENZI DEL NOVEMBRE 2014 – LA TELEFONATA: “ABBIAMO CONSEGNATO ALLA BOSCHI LA LETTERA PER MATTEO”
Sono le 22:05 del 7 novembre 2014, giorno della cena elettorale del presidente del Consiglio Matteo Renzi – Il ras delle coop di Mafia Capitale, Salvatore Buzzi, ha partecipato a quella raccolta fondi. Ne parla con una sua amica e racconta dei presunti rapporti che avrebbe avuto con il ministro Boschi… –
Ivan Cimmarusti per “Il Tempo”
«Abbiamo consegnato alla Boschi la lettera per Matteo». Sono le 22:05 del 7 novembre 2014, giorno della cena elettorale del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Il ras delle coop di Mafia Capitale, Salvatore Buzzi, ha partecipato a quella raccolta fondi. Ne parla con una sua amica e racconta dei presunti rapporti che avrebbe avuto con il ministro per le riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento.
La telefonata è contenuta nell’incartamento giudiziario della Procura della Repubblica di Roma, depositato al maxi processo contro la presunta cupola mafiosa capitolina. Gli atti, dunque, svelano retroscena finora inediti. Tutti legati a quella cena di novembre del 2014 per finanziare il Partito democratico e Matteo Renzi. Un particolare di cui parla anche con Michele Nacamulli, esponente romano del Pd: «Se becchi Renzi gli ricordi che abbiamo finanziato la Leopolda e oggi gli abbiamo dato 15mila euro. Potevamo dirlo alla Boschi cazzo». «Ok», risponde Nacamulli, «la Boschi è qui».
C’è da dire che, stando a fonti difensive, i tabulati telefonici nasconderebbero anche altre conversazioni avute tra il ministro Boschi e Buzzi. Conversazioni che non hanno alcun profilo penale ma che si riferiscono a un periodo precedente alla cena di novembre.?Tra settembre e ottobre, infatti, Buzzi sembra dialogare col ministro per avere informazioni sulla cena. È pronto a partecipare versando un proprio contributo.
D’altronde l’imprenditore era stato per anni il fiore all’occhiello delle coop vicine alla vecchia sinistra di Roma. E con l’arrivo di Renzi intendeva riposizionarsi politicamente e, magari, fare un salto di qualità. L’obiettivo era di arrivare a incassare appalti sempre più ampi per ingrassare le casse delle cooperative legate a doppio filo al presunto boss, Massimo Carminati. Nei suoi interrogatori, infatti, Buzzi ha precisato che finanziando le campagne elettorali «ti fai un’assicurazione sulla vita, sul futuro».
«Ma perché – ha aggiunto – me chiama Renzi a cena, 15mila euro a Renzi (…) ci hanno chiamato i finanziatori». Dai tabulati telefonici, però, risulterebbero suoi contatti direttamente con la Boschi. Un’ennesima grana per il ministro, dopo lo scandalo della Banca Etruria. Stando a quanto emerso, alla cena di autofinanziamento del Partito democratico Buzzi avrebbe pagato la somma pattuita versando il denaro che sarebbe finito nelle casse della Fondazione Open, gestita dall’intimo amico del premier, l’imprenditore Marco Carrai, recentemente tra i papabili a gestire la cybersecurity italiana. D’altronde, nella stessa Fondazione Open risulta esserci la stessa Boschi.
Le intercettazioni del 6 novembre 2014 sull’utenza di Buzzi confermano il pagamento per la cena elettorale. Al telefono ci sono il ras delle coop e il suo stretto collaboratore Carlo Guarany. I due discutono della cena e decidono di informarsi meglio con Lionello Cosentino, ex segretario del Pd di Roma che a dicembre 2014 è stato commissariato da Matteo Orfini. I giorni successivi alla cena Buzzi continua a discutere della candidatura di Renzi con l’allora direttore generale di Ama, Giovanni Fiscon. Racconta di aver fatto due versamenti (uno da 15mila euro per la cena e un altro da 5mila per la Leopolda).
“COSI’ IL PAPA’ DELLA BOSCHI HA SVUOTATO LE CASSE DI BANCA ETRURIA”: COSI DICE LA PROCURA DI AREZZO
Per non dimenticare:
L’ultima svolta dell’inchiesta della Procura di Arezzo porta all’apertura delle indagini per bancarotta fraudolenta a carico del Consiglio di amministrazione di Banca Etruria guidato da Lorenzo Rosi, con i vice Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi, padre del ministro delle Riforme Maria Elena. Come riporta il Corriere della sera, gli inquirenti accusano gli ex vertici dell’istituto aretino di aver contribuito al dissesto della banca elargendo stipendi generosi e buoneuscite con metodi illeciti.
Lo snodo dell’indagine è partito dal documento degli ispettori di Bankitalia, che con le contestazioni del febbraio 2015 hanno portato al commissariamento della banca. Nelle carte degli ispettori si legge: “L’accordo per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con l’ex direttore generale Luca Bronchi, che aveva ricoperto la carica da luglio 2008, non è risultato in linea con le disposizioni in materia di politiche e prassi di remunerazione e incentivazione, vigenti all’epoca dei fatti, che prevedevano, in caso di risoluzione anticipata del rapporto, il collegamento dei compensi alla performance realizzata e ai rischi assunti”.
La svolta – Quel che quindi ha portato alla formazione dell’accusa è stata una deliberazione di quel Cda: “Il Cda del 30 giugno 2014 ha approvato detto accordo (che prevedeva per Bronchi un indennizzo di un milione e duecentomila euro) nonostante il grave deterioramento della situazione tecnica della banca e non ha vagliato l’ipotesi di contestare al dirigente responsabilità specifiche. L’organo, infine – contuinavano gli ispettori – non ha tenuto conto del ‘documento sulle politiche ri remunerazione e incentivazione’ approvato dall’Assemblea dei soci di Banca Etruria nel maggio 2014 che non consentiva la corresponsione di alcuna forma di incentivazione al ‘personale più rilevante'”. Dai documenti sequestrati dalla Procura emergerebbe che il consenso dei vertici della banca per l’elargizione del compenso sia stato unanime, così la Procura ha fatto propri i sospetti degli ispettori di Bankitalia.
Vergogna in Senato, M5S censurato da commessa! Ecco cos'è successo
Battibecco tra la senatrice M5S Sara Paglini e una commessa parlamentare del Senato, dopo la fiducia chiesta dal governo sul Rosatellum, la bagarre in Aula e la chiusura della seduta per la conferenza dei capigruppo. Nel momento in cui in Aula non è più possibile riprendere (in base al regolamento di Palazzo Madama), la senatrice M5S inizia una diretta Facebook scatenando le ire della commessa. “Non può riprendere”, prova a fermarla. Ma Paglini insiste: si ferma per poi riprendere due minuti dopo: “Mi faccio arrestare…”, azzarda, come mostrano le immagini della diretta Fb della senatrice pentastellata
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domenica 22 ottobre 2017
L'ANNUNCIO DI DI MAIO:”ECCO COSA FAREMO SE VINCEREMO LE ELEZIONI”. TREMANO I PARTITI..
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Se è ormai quasi certo che si voterà alla scadenza naturale della legislatura, non si conosce ancora la legge elettorale che consentirà agli italiani di eleggere il prossimo Parlamento, ma Luigi Di Maio svela, durante una conferenza stampa alla ‘Stampa Estera’ a Roma, cosa farà il M5S qualora risultasse primo partito alle elezioni: “Se, come spero, raggiungessimo il 40%, avremo l’incarico di governo e chiederemo la fiducia alle Camere su un programma di governo, senza nessuno scambio di poltrone”.
Di Maio spiega: “Il nostro approccio sarà semplice: prima delle elezioni ci presenteremo con un programma di governo a quindici anni e con una squadra di governo composta da ministri e dal presidente del Consiglio. Quella squadra, con quel programma, si presenterà alle Camere per chiedere la fiducia: chi vorrà potrà partecipare alla creazione di un’Italia differente, senza aspettarsi alcun tornaconto”. Il deputato pentastellato chiude a ipotesi di alleanze: “Lega, Bersani? Il Movimento non deve guardare a forze politiche specifiche, ma ad un programma di Paese. Chi voterà contro una seria riforma fiscale, una riforma per le piccole e medie imprese, il reddito di cittadinanza, una seria legge anticorruzione se ne prenderà la responsabilità di fronte al popolo italiano.
Clamoroso:la stampa estera umilia quella italiana per difendere la Raggi da tutto il fango ricevuto
Virginia, un femminicidio mediatico
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Premessa: 1) non ho mai votato per il Movimento 5 Stelle; 2) non ho mai incontrato Virginia Raggi e, perciò, non mi permetto di giudicarla; 3) non entrerò nel merito delle questioni romane (la pesante eredità del passato, i pasticci nel formare la giunta, gli scontri fra il sindaco e i suoi colleghi di partito) che non mi sono del tutto chiare e, comunque, meriterebbero un’analisi seria e approfondita.
Però…
…però sento l’obbligo – sì, l’obbligo – di spendere qualche parola per quanto è avvenuto e sta avvenendo, dal 20 giugno 2016 (giorno dell’elezione), nella vita della trentottenne che guida dal Campidoglio la città caput mundi (prima donna in 2.769 anni di Storia).
Partiamo dall’inizio.
La sua vittoria non ha suscitato il benchè minimo entusiasmo tra le numerose aggregazioni femminili italiane, di solito orgogliosamente velocissime nel sottolineare i successi di signore e signorine.
Anzi…
Riporto quanto ho scritto proprio qui dopo il voto: “L’appartenenza grillina ha oscurato l’appartenenza di genere, diciamolo (…) Perfino fra le militanti di molte associazioni femminili. Da cui è arrivato un fragoroso silenzio o, tutt’ al più, qualche cigliosa presa d’atto, giungendo addirittura a sottolineare maliziosamente le differenze fra Chiara Appendino (che a Torino ha sbaragliato il sindaco uscente, Pietro Fassino) e la Raggi in termini di obbedienza al Movimento 5 stelle. Di più. Si è rimproverato a entrambe di non aver usato il sostantivo sindaca al posto di sindaco… Nessuna, insomma, ha stappato entusiasticamente bottiglie di champagne nella trincea rosa del Paese. E sul fronte maschile come è andata? Peggio mi sento (a cominciare dal marito della Raggi, che proprio la sera dell’elezione, con una lettera aperta diffusa via Twitter, ha messo in piazza la crisi del loro matrimonio; ed è stato bacchettato su l’Espresso). Come ha raccontato Nadia Somma, di Demetra donne in aiuto, Chiara e Virginia sono state trattate alle stregua di due fenomeni da baraccone, scatenando uno “stupidario”: “Riferimenti all’abbigliamento e all’avvenenza, linguaggio informale (per molti giornalisti e giornaliste sono “le ragazze” e Raggi è “a moretta”) o smaccatamente sessista (bambola, bambolina, fatina). Alcuni articoli sono irritanti altri involontariamente comici”. E giù con una serie di citazioni. Ben visivamente riassunte, peraltro, nel tweet di Tania Marocchi, dell’European Policy Centre, che offre un eccellente colpo d’occhio sui titoli dei quotidiani italiani: da “Roma in bambola” (Il Tempo) a “Ma saranno capaci?” (Libero)”.
Questo, appunto, all’inizio.
Dopo, tra luglio, agosto e settembre, è andata ancor peggio.
Decisamente peggio.
Senza – lo ripeto – entrare nel merito delle complesse vicende politiche, annoto che Virginia è stata costantemente sbattuta in prima pagina.
È stata sottoposta, cioè, al trattamento che (in un tempo per fortuna lontano) si riservava ai mostri della cronaca condannandoli prima dei processi.
Non basta.
In poche settimane ha avuto da parte dei telegiornali più minutaggio di quanto il Movimento 5 Stelle abbia collezionato negli ultimi due anni.
E il culmine è stato raggiunto domenica 11 settembre.
Quel giorno, infatti, tutti i più importanti quotidiani italiani, i notiziari televisivi e radiofonici hanno utilizzato un banale articoletto sul maltempo dell’Osservatore romano, il quotidiano del Vaticano, elevandolo al rango di presa di posizione della Santa Sede contro l’operato della Raggi.
Una balla spaziale.
Tanto che, letti i giornali, l’autorevole Monsignor Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, si è affrettato a smentire.
Qualcuno ha forse detto o scritto “Abbiamo sbagliato”?
Qualcuno per caso ha chiesto scusa al Vaticano e al Campidoglio?
Nisba.
Solo Marco Travaglio, su il Fatto Quotidiano e, poi, in tv, ospite di Lilli Gruber aOtto e mezzo, ha parlato chiaro, anzi chiarissimo, raccontando, dati alla mano, come la stampa abbia gonfiato il… nulla e insabbiato, il giorno dopo, le parole di Becciu.
Capito?
Mica è finita.
Alla ricerca di non si sa bene che cosa, le troupe televisive hanno assediato l’abitazione privata di Virginia come non si è mai visto fare, nella lunga storia della Repubblica, con qualsivoglia politico.
E, tuttavia, esclusa la diretta interessata, nessuno ha fiatato.
Mentre, per dire, è bastata una vignetta sul ministro Maria Elena Boschi per scatenare il pandemonio e financo lo sdegno di chi, paladino “Senza se e senza ma” della satira, proclamava “Je suis Charlie”.
Ecco, concludo.
Scommetto che se al posto della Raggi ci fosse qualcun’altra e subisse lo stesso trattamento si urlerebbe al femminicidio mediatico.
Invece qui – a parte Travaglio – stanno tutti zitti.
E, quel che è peggio, tutte zitte…
Fonte: http://www.tvsvizzera.it/radio-monteceneri/Hypercorsivi/Virginia-un-femminicidio-mediatico-8041420.htmlb
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Premessa: 1) non ho mai votato per il Movimento 5 Stelle; 2) non ho mai incontrato Virginia Raggi e, perciò, non mi permetto di giudicarla; 3) non entrerò nel merito delle questioni romane (la pesante eredità del passato, i pasticci nel formare la giunta, gli scontri fra il sindaco e i suoi colleghi di partito) che non mi sono del tutto chiare e, comunque, meriterebbero un’analisi seria e approfondita.
Però…
…però sento l’obbligo – sì, l’obbligo – di spendere qualche parola per quanto è avvenuto e sta avvenendo, dal 20 giugno 2016 (giorno dell’elezione), nella vita della trentottenne che guida dal Campidoglio la città caput mundi (prima donna in 2.769 anni di Storia).
Partiamo dall’inizio.
La sua vittoria non ha suscitato il benchè minimo entusiasmo tra le numerose aggregazioni femminili italiane, di solito orgogliosamente velocissime nel sottolineare i successi di signore e signorine.
Anzi…
Riporto quanto ho scritto proprio qui dopo il voto: “L’appartenenza grillina ha oscurato l’appartenenza di genere, diciamolo (…) Perfino fra le militanti di molte associazioni femminili. Da cui è arrivato un fragoroso silenzio o, tutt’ al più, qualche cigliosa presa d’atto, giungendo addirittura a sottolineare maliziosamente le differenze fra Chiara Appendino (che a Torino ha sbaragliato il sindaco uscente, Pietro Fassino) e la Raggi in termini di obbedienza al Movimento 5 stelle. Di più. Si è rimproverato a entrambe di non aver usato il sostantivo sindaca al posto di sindaco… Nessuna, insomma, ha stappato entusiasticamente bottiglie di champagne nella trincea rosa del Paese. E sul fronte maschile come è andata? Peggio mi sento (a cominciare dal marito della Raggi, che proprio la sera dell’elezione, con una lettera aperta diffusa via Twitter, ha messo in piazza la crisi del loro matrimonio; ed è stato bacchettato su l’Espresso). Come ha raccontato Nadia Somma, di Demetra donne in aiuto, Chiara e Virginia sono state trattate alle stregua di due fenomeni da baraccone, scatenando uno “stupidario”: “Riferimenti all’abbigliamento e all’avvenenza, linguaggio informale (per molti giornalisti e giornaliste sono “le ragazze” e Raggi è “a moretta”) o smaccatamente sessista (bambola, bambolina, fatina). Alcuni articoli sono irritanti altri involontariamente comici”. E giù con una serie di citazioni. Ben visivamente riassunte, peraltro, nel tweet di Tania Marocchi, dell’European Policy Centre, che offre un eccellente colpo d’occhio sui titoli dei quotidiani italiani: da “Roma in bambola” (Il Tempo) a “Ma saranno capaci?” (Libero)”.
Questo, appunto, all’inizio.
Dopo, tra luglio, agosto e settembre, è andata ancor peggio.
Decisamente peggio.
Senza – lo ripeto – entrare nel merito delle complesse vicende politiche, annoto che Virginia è stata costantemente sbattuta in prima pagina.
È stata sottoposta, cioè, al trattamento che (in un tempo per fortuna lontano) si riservava ai mostri della cronaca condannandoli prima dei processi.
Non basta.
In poche settimane ha avuto da parte dei telegiornali più minutaggio di quanto il Movimento 5 Stelle abbia collezionato negli ultimi due anni.
E il culmine è stato raggiunto domenica 11 settembre.
Quel giorno, infatti, tutti i più importanti quotidiani italiani, i notiziari televisivi e radiofonici hanno utilizzato un banale articoletto sul maltempo dell’Osservatore romano, il quotidiano del Vaticano, elevandolo al rango di presa di posizione della Santa Sede contro l’operato della Raggi.
Una balla spaziale.
Tanto che, letti i giornali, l’autorevole Monsignor Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, si è affrettato a smentire.
Qualcuno ha forse detto o scritto “Abbiamo sbagliato”?
Qualcuno per caso ha chiesto scusa al Vaticano e al Campidoglio?
Nisba.
Solo Marco Travaglio, su il Fatto Quotidiano e, poi, in tv, ospite di Lilli Gruber aOtto e mezzo, ha parlato chiaro, anzi chiarissimo, raccontando, dati alla mano, come la stampa abbia gonfiato il… nulla e insabbiato, il giorno dopo, le parole di Becciu.
Capito?
Mica è finita.
Alla ricerca di non si sa bene che cosa, le troupe televisive hanno assediato l’abitazione privata di Virginia come non si è mai visto fare, nella lunga storia della Repubblica, con qualsivoglia politico.
E, tuttavia, esclusa la diretta interessata, nessuno ha fiatato.
Mentre, per dire, è bastata una vignetta sul ministro Maria Elena Boschi per scatenare il pandemonio e financo lo sdegno di chi, paladino “Senza se e senza ma” della satira, proclamava “Je suis Charlie”.
Ecco, concludo.
Scommetto che se al posto della Raggi ci fosse qualcun’altra e subisse lo stesso trattamento si urlerebbe al femminicidio mediatico.
Invece qui – a parte Travaglio – stanno tutti zitti.
E, quel che è peggio, tutte zitte…
Fonte: http://www.tvsvizzera.it/radio-monteceneri/Hypercorsivi/Virginia-un-femminicidio-mediatico-8041420.htmlb
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