lunedì 26 giugno 2017
Altro che Raggi: quello che ci nascondono sugli scandali di Sala a Milano
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(Gianni Barbacetto – il Fatto Quotidiano) – Giuseppe Sala è “amareggiato”. Dopo aver appreso che la Procura generale si prepara a chiedere il suo rinvio a giudizio per due ipotesi di reato, falso e turbativa d’asta, il sindaco di Milano ribadisce la propria correttezza e protesta, “pensando a quanto ho sacrificato per poter fare di Expo un grande successo per l’Italia e per Milano”. Se alla prima
notizia di essere indagato per falso aveva reagito con una inedita e inusuale “autosospensione”, ora che gli è stata contestata anche la turbativa d’asta ha deciso di andare avanti come se niente fosse: “Troverò in ogni caso in me le motivazioni per continuare a svolgere con la massima dedizione possibile il mio lavoro al servizio della mia città”. I suoi lo difendono così: “Quelle che gli vengono rivolte sono contestazioni formali, burocratiche, in una materia molto complessa. La sua correttezza non è in discussione, ha sempre agito per il bene di Expo”.
IN REALTÀ le contestazioni della Procura generale sono lineari: ha firmato atti falsi per sostituire due commissari della gara per l’appalto della “piastra”; e ha ceduto alle pressioni di “ambienti politici regionali” (allora dominati dalla figura del presidente della Lombardia Roberto Formigoni) per scorporare dall’appalto la fornitura di alberi, per oltre 5 milioni di euro: “Senza un provvedimento formale”, l’importo viene “artificiosamente spalmato sulle altre lavorazioni allo scopo di mantenere inalterato il valore della base d’asta”. E invece “di predisporre un nuovo bando di prequalifica”, a cui avrebbero potuto partecipare altre imprese, Sala affida la fornitura del verde alla Peverelli (azienda sostenuta dai “politici regionali” formigoniani), affiancata come sponsor dalla Sesto Immobiliare di Davide Bizzi, che era in attesa di realizzare il progetto di “Città della salute” sull’area Falck di Sesto San Giovanni.
Alla fine la Peverelli si ritira e le piante sono pagate alla Mantovani, in affidamento diretto, il triplo del loro valore. Ma che la fornitura degli alberi non fosse regolare lo aveva già messo nero su bianco l’Audit sulla “piastra” del giugno 2014, affidato nel novembre 2013 dalla stessa società Expo spa a due aziende di consulenza, Adfor e Sernet. Consegnato nel giugno 2014, l’Audit allinea una quindicina di osservazioni pesantemente critiche: irregolarità, errori, aggiramento delle norme. Un ritratto impietoso delle capacità manageriali del commissario Sala. Come amministratore delegato – si legge nell’Audit – ha poteri di spesa non oltre i 10 milioni. Ma “alcune determine a contrarre opere complementari superano nell’insieme”la soglia e “sono assunte dall’ad, nell’arco temporale ristretto di circa due mesi, prima dell’informativa fornita in consiglio d’amministrazione” che “in modo cumulativo approva l’affidamento”. Il tutto condito con “inaccuratezze nella predisposizione delle determine”, “refusi nell’indicazione del valore massimo di spesa”, “riferimenti a documenti interni non presenti”.
In questo guazzabuglio, Sala, con sette determine tutte sotto i 10 milioni, affida ulteriori lavori per 34 milioni alla Mantovani (che aveva vinto l’appalto da 272 milioni grazie ai documenti segreti sulla gara trafugati da un funzionario Mm) . Il braccio destro di Sala, Angelo Paris – continua l’Audit – non aveva neppure i requisiti professionali per fare il responsabile unico del procedimento: perché non aveva “alcuna precedente esperienza tecnica né in ambito privato né pubblico”; e perché, addirittura, non era ingegnere (“non risulta l’iscrizione all’Ordine” né il “superamento dell’esame di Stato”).
Le irregolarità iniziano fin dalla programmazione dei lavori, avviati senza i “documenti organizzativi” previsti dal codice degli appalti. Così, scrivono gli auditor, “si è dovuto procedere con affidamenti diretti alla Mantovani per recuperare il tempo perduto, sopportando maggiori costi”. Alla fine, gli errori di programmazione costano cari: ci sono “atti aggiuntivi per un importo di circa 40 milioni di euro”.
TUTTA l’organizzazione dei lavori è un disastro, osservano gli auditor: “Si rileva l’assenza di specifici mansionari per le figure dell’ufficio, che faciliterebbero la chiara definizione di ruoli, compiti e responsabilità, nonché la piena tracciabilità delle attività svolte”. Non risultano controlli “sulle progettazioni svolte da soggetti esterni”(Mm, Ilspa-Infrastrutture Lombarde, Fiera Milano), con la conseguenza di “errati computi metrici utilizzati per l’analisi dei prezzi”: “Nessuno all’interno di Expo ha controllato il computo metrico di scavi e fondazioni, opere caratterizzate da alto rischio di azioni corruttive”.
Gravissimo il rilievo sulla “inadeguata modalità di conservazione della documentazione di gara”: “è emerso che anche Ilspa disponeva della chiave dell’armadio” dov’erano conservate le carte, così “la graduatoria delle offerte qualitative poteva essere conosciuta, oltre che dalla commissione, anche da altro personale di Ilspa”. Che a Expo tirasse un forte vento d’illegalità, del resto, è dimostrato dal fatto che a Sala vengono via via arrestati, uno dopo l’altro, tutti i manager: il suo alter ego Angelo Paris, il subcommissario Antonio Acerbo, facility manager Andrea Castellotti. Arrestato anche Antonio Rognoni, il capo di Ilspa che faceva da stazione appaltante per Expo.
E Sala dov’era? Il grande manager non si accorgeva di niente e, come cantava Jannacci, restava fisso come il palo della banca dell’Ortica. Anche la Procura di Milano, in quegli anni, ci ha visto poco. A riaprire i giochi è dovuta arrivare la Procura generale.
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