mercoledì 5 settembre 2018
COME SE FOSSE UN CASAMONICA: COSI’ IL PADRE DI RENZI MI IMPOSE FATTURE NON GIUSTIFICATE- Dal racconto del suo accusatore non troviamo differenza alcuna con quelli delle vittime delle estorsioni mafiose
Sotto la lente 160 mila euro versati dal «re degli outlet» Dagostino. Intercettato diceva: «Lo so benissimo che questo è un lavoro che valeva al massimo 50-60-70 mila euro. Ma se tu me ne chiedi 130 e sei il padre del presidente del Consiglio mi posso mettere a discutere con te e chiederti lo sconto?»
di Marco Gasperetti per Corriere.it
«Ora basta, dopo anni di processi mediatici sono io che chiedo di essere giudicato, non sui giornali ma nelle aule di tribunale», aveva scritto Tiziano Renzi in una lettera aperta nella quale, il padre dell’ex premier Matteo, si dichiarava innocente e annunciava che da ora in avanti si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere sino al dibattimento.Adesso il processo è arrivato. Si celebrerà il prossimo 4 marzo.
Il gup di Firenze, Silvia Romeo, su richiesta dei pm Christine von Borries e Luca Turco, ha rinviato a giudizio Tiziano Renzi e la moglie Laura Bovoli per il reato di emissioni di fatture false da 140 mila e 20 mila euro. A giudizio l’imprenditore Luigi Dagostino che deve rispondere anche di truffa. Secondo la procura di Firenze le fatture sarebbero false perché emesse per una prestazione inesistente: un progetto per l’ampliamento di The Mall, outlet nei pressi di Rignano sull’Arno paese dove vivono i Renzi. Sempre secondo l’accusa, le somme versate a due società (Party ed Eventi 6) controllate dai Renzi, sarebbero state sproporzionate al progetto presentato, poche pagine con qualche planimetria.
A sborsare i soldi, 160 mila euro, Dagostino, il «re degli outlet», all’epoca dei fatti (siamo nel 2015) amministratore della società Tramor Srl. Dagostino era consapevole di pagare ai Renzi, tramite la Tramor, una cifra molto più alta del dovuto. E in un’intercettazione lo spiega con queste parole: «Lo so benissimo che questo è un lavoro che valeva al massimo 50-60-70 mila euro. Ma se tu me ne chiedi 130 e sei il padre del presidente del Consiglio mi posso mettere a discutere con te e chiederti di farmi lo sconto?». Al di là della parcella gonfiata o presunta tale, resta l’accusa di fatture false contestate dalla difesa di Dagostino e dei coniugi Renzi. «Dimostreremo nel successivo giudizio l’assoluta insussistenza della tesi accusatoria, – spiega Alessandro Traversi, legale di Dagostino – ci sono solo incongruità delle fatture che in quanto tali, se la prestazione è stata pagata, non sono false come ha stabilito la Cassazione». Secondo l’avvocato dei Renzi, Federico Bagattini, ci sarebbe poi una prova concreta dell’innocenza dei suoi assistiti. «La migliore dimostrazione che le fatture erano regolari perché relative a prestazioni realmente effettuate – spiega – sta nel fatto che sono già in corso i lavoro di realizzazione del progetto a cui le fatture si riferiscono. Lavori che per l’udienza del 4 marzo forse saranno già conclusi». A fare il nome della famiglia Renzi, per un’altra inchiesta, ieri è stato anche Luigi Di Maio, che annunciando la discussione nel consiglio dei ministri del Ddl Anticorruzione, ha spiegato che sarà ripristinata la perseguibilità d’ufficio per alcune ipotesi di appropriazione indebita aggravata. «Norma cancellata da Gentiloni e di cui si sono avvantaggiati anche i cognati di Renzi, che non essendo stati denunciati dall’Unicef la passano liscia», ha spiegato Di Maio. In realtà l’accusa di appropriazione indebita è contestata solo a uno dei fratelli del cognato, quest’ultimo è sospettato di riciclaggio
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