giovedì 6 giugno 2019

ECCO FINALMENTE LE PROVE DEL CONTROLLO TOTALE DELLA GIUSTIZIA DA PARTE DEL PD: così il galoppino di Renzi decideva quali giudici potevano fare carriera



I rapporti tra magistrati e politica sono esplosi definitivamente con l’inchiesta della procura di Perugia, che ha spaccato direttamente Palazzo dei Marescialli: passo indietro di 5 togati su 16 (4 autosospesi e uno dimesso): hanno tutti incontrato il deputato imputato Lotti. Accompagnato dall’ex leader di Mi ed ex sottosegretario di Letta, Renzi e Gentiloni. Un meccanismo perverso, orientato dall’esterno per influire su poltrone fondamentali nell’amministrazione della giustizia.

tratto da Il Fatto Quotidiano

Sono due mondi che dovrebbero stare a distanza di sicurezza. Poteri che – Costituzione alla mano – devono essere separati. E invece magistratura e politica non sono mai state tanto vicine. Di più: compenetrate. È un vecchio problema quello dei rapporti tra toghe e politica. Basti pensare che ciclicamente torna all’ordine del giorno la proposta di abolire tutte le correnti – un mezzo che inevitabilmente entra in contatto con la politica – per eleggere i membri del Csm e dell’Anm tramite sorteggio. Già quattro anni Piercamillo Davigo lasciò Magistratura indipentente denunciando “una certa sudditanza” dei colleghi nei confronti del mondo politico.  Una questione che è esplosa definitivamente con l’inchiesta della procura di Perugia. Indagine che ipotizza reati gravi per magistrati importanti e influenti, come Luca Palamara. E che grazie al trojan, installato sul telefono del pm indagato per corruzione, ha documentato i legami tra le correnti dei magistrati e i piani alti della politica. Per questo motivo l’indagine umbra è arrivata a spaccare il cuore del potere delle toghe: il Consiglio superiore della magistratura. Quasi un quarto del consiglio è fuori gioco: quattro consiglieri togati – quelli eletti dagli stessi magistrati – si sono autosospesi, uno si è dimesso. Il vicepresidente David Ermini – in un discorso concordato, corretto e limato fino alle virgole dal presidente della Repubblica – ha parlato di “degenerazioni correntizie, giochi di potere e traffici venali“. Il consigliere di Area, la corrente di sinistra, Giuseppe Cascini, ha parlato di vicenda assimibilabile “a quella della P2“.  I due si riferiscono ovviamente ai fatti emersi dall’inchiesta di Perugia. Cioè a un meccanismo perverso,orientato dall’esterno di Palazzo dei marescialli per indirizzare voti e quindi  influire su cariche e poltrone fondamentali nell’amministrazione della giustizia. Sul quale si allunga l’ombra di Cosimo Ferri, vero e proprio uomo cerniera tra il mondo delle toghe e quello dei politica.

L’uomo cerniera tra toghe e politiche – Doppio figlio d’arte (il padre fu magistrato e politico col Psdi, ministro del governo De Mita), Ferri – che non è indagato – è ancora oggi illeader de facto di Magistratura Indipendente. Considerata da sempre la corrente di destra delle toghe – ne hanno fatto parte tra gli altri Paolo Borsellino, Marcello Maddalena, Pier Luigi Vigna e Davigo (poi uscito per fondare la sua Autonomia e Indipentenza) – a un certo punto si è trovata a essere la corrente più vicina al centrosinistra. Una giravolta degna dell’ultimo partitino di cambiacasacca, parallela allo sbarco in politica di Ferri. Magistrato acchiappavoti quando fu eletto al Csm e all’Anm, nel 2013 Ferri è passato direttamente dal vertice della sua corrente al governo: nominato sottosegretario alla giustizia dei governi di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, considerato all’inizio in quota Forza Italia – partito al quale aveva aderito il padre negli anni ’90 – non si dimette dopo che Silvio Berlusconi toglie il sostegno all’esecutivo. Si definiva un “tecnico“, prima di ottenere dal Pd un seggio alla Camera alle elezioni del 2018. È lui l’uomo del Nazareno con la toga.

Il Nazareno in toga – Anche perché nel frattempo Ferri non ha smesso neanche per un secondo di esercitare la sua influenza su Magistratura indipendente. La prova? Alle ultime due elezioni per le elezioni del Csm. Nel 2014 – quand’era già sottosegretario – inviava sms ai colleghi per invitarli a votare i candidati della sua corrente. Quattro anni dopo – quand’era già deputato – non ha perso il vizio, anche se questa volta i suoi messaggi contenevano un solo nome da votare: quello di Antonio Lepre, poi ovviamente eletto. Lepre è uno dei due magistrati di Mi che si è autosospesodal Csm nelle scorse ore. Insieme al collega Corrado Cartoni ha partecipato all’incontro con Ferri, Palamara, Luigi Spina e Luca Lotti. Oggetto dell’incontro: la nomina del nuovo procuratore di Roma. La stessa procura che accusa Lotti di favoreggiamento nell’inchiesta Consip.

Il contagio di Lotti – In questo senso quell’incontro documentato dal Gico della Guardia di Finanza è la rappresentazione plastica di come funzionano oggi le correnti nella magistratura. E come le stesse correnti siano legatissime alla politica. O almeno, alcune correnti. Attorno a quel tavolo, infatti, ci sono almeno dieci voti di consiglieri togati del Csm. Cinque sono di Magistratura indipendente, di cui il leader è ancora il deputato dem Ferri, rappresentata all’incontro dai consiglieri Cartoni e Lepre, più l’altro consigliere Paolo Criscuolo, che si è autosospeso nelle scorse ore pur non essendo mai citato nell’indagine. Altri cinque, invece, sono i voti di Unicost, la corrente di centro delle toghe, guidata da Palamara, ex presidente dell’Anm, e rappresentata al Csm da Spina, che si è dimesso dopo essere finito indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento. Si è autosospeso, invece, Gianlugi Morlini. Anche lui, come il collega Criscuolo, non è mai citato nell’inchiesta, ma ha fatto un passo indietro spiegando di aver incontrato casualmente lo stesso Lotti. Lo ha visto a un “dopo cena”, dove era andato per raggiungere altri magistrati. Tanto è bastato per convincerlo a fare un passo indietro. Una specie di prevenzione al contagio, che ha già messo fuorigioco quattro colleghi di Morlini.

Il dopo cena tra giudici – Non è dato sapere, invece, cosa ci facesse Lotti a quel “dopo cena” tra giudici. In questa storia l’ex ministro dello Sport è l’unico personaggio a non vestire la toga. Eppure di giudici ne frequenta parecchi, spesso accompagnato dal collega di partito Ferri. D’altra parte Lotti è l’uomo al quale Renzi ha sempre affidato le missioni più delicate. Anche quelle sul fronte dei rapporti con la toghe. E infatti l’ex sottosegretario si è avvicinato a Ferri, una sorta di biglietto da visita umano per entrare nei ristretti giri di corrente dei magistrati. Ai quali l’accesso dovrebbe essere negato a un imputato. Soprattutto quando quei giri discutono di quale candidato votare al Csm come nuovo procuratore di Roma.

I giochi di corrente – Nel recente passato i giochi di corrente sono stati fondamentali anche per eleggere il vicepresidente di Palazzo dei Marescialli. Un’elezione che aveva spaccato il consiglio già all’esordio dei nuovi eletti. È grazie all’intesa tra Magistratura indipendente di Ferri e Unicost di Palamara se l’estate scorsa il Csm ha incoronato Ermini, ex responsabile giustizia del Pd, passato direttamente dal Parlamento alla poltrona numero due dell’organo costituzionale. Nonostante il parere contrario del numero uno, cioè il presidente della Repubblica. “I togati non possono e non devono assumere le decisioni secondo logiche di pura appartenenza“, aveva detto Sergio Mattarella alla vigilia dell’elezione di Ermini. Forse anche per questo motivo, per quell’elezione maturata all’interno del “Nazareno in toga”, che Lotti  si è poidetto deluso dal compagno renziano, spinto fino al vertice del Csm ma poi “non sufficientemente collaborativo“.

Le partite dei renziani al Csm – Quella per la nuova vicepresidenza del Csm non è l’unica partita interessante per i renziani. A confermare questa sua nuova passione per la toga era stato lo stesso Lotti, solo un anno fa. “Durante la mia funzione di sottosegretario ho incontrato molti membri non togati e togati del Csm con i quali parlavo del funzionamento delle commissioni del Csm. Ho incontrato anche altri pm e giudici di primo grado”, ha ammesso l’ex sottosegretario, interrogato nel maggio del 2018 dalla pm Christine von Borries. Il sostituto procuratore di Firenze voleva notizie su un incontro con  Antonio Savasta, l’ex pm di Trani poi arrestato per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari e falso. Trani è la stessa procura dove l’avvocato Piero Amara tenta di fare aprire un’indagine sul falso complotto Eni. “Non riesco a ricordare bene Savasta e cosa mi chiese”, risponde l’ex ministro sottolineando che di magistrati ne ha “incontrati vari durante cene a Roma che avvenivano anche con membri del Csm e qualcuno anche a Palazzo Chigi e in altre occasioni”. Al momento dell’arresto anche Savasta era in servizio a Roma. Aveva chiesto lui stesso il trasferimento, dopo essere stato sommerso da esposti che ne segnalavano l’incompatibilità ambientale. A dare l’ok al suo passaggio nella Capitale era stata la prima commissione, della quale faceva parte in quel periodo lo stesso Palamara.

Correnti e poltroni – Il potente ex presidente dell’Anm è accusato di essersi fatto corrompore con 40mila euro sempre da Amara per aver cercato di piazzare Giancarlo Longo a capo della procura di Gela. Progetto poi fallito: Longo è stato arrestato nel 2018, ha patteggiato 5 anni per corruzione e si è dimesso dalla magistratura. L’asse Unicost-Magistratura indipendente ha invece funzionato nel 2016 per la nomina del nuovo procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo. A votarlo tutti i consiglieri laici e togati, tranne quelli di Area (la corrente di centrosinistra), il laico del Pd Giuseppe Fanfani e quello del M5s Alessio Zaccaria. A Matera la correnti di Palamara e Ferri hanno eletto come capo Pietro Argentino, mentre sempre a Trani Unicost e Mi sono stati fondamentali per l’elezione di Antonino Di Maio. Adesso Palamara e Ferri volevano provare a scegliere il successore di Giuseppe Pignatone, il procuratore che ha chiesto il rinvio a giudizio di Lotti. Una partita delicatissima, collegata a cascata a tutta una serie di uffici che si sarebbero liberati a breve: primo tra tutti quello del procuratore di Perugia. Lo stesso che avrebbe deciso il destino dell’indagine su Palamara. A questo giro le correnti servivano a questo: a far scegliere i giudici dagli stessi indagati. E invece il meccanismo si è bloccato. Almeno stavolta.

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