giovedì 28 febbraio 2019
Di Battista duro: "Berlusconi pagava la mafia, il PD si faceva finanziare dalla mafia"
“Quando, durante l’ultima campagna elettorale, insieme a 2000 italiani liberi, andai sotto casa di Berlusconi per leggere la sentenza Dell’Utri (quella che certifica i pagamenti di B. a favore della mafia) mi domandai perché nessun politico del PD avesse fatto una cosa del genere”.
Lo scrive su Facebook l’ex deputato del Movimento 5 Stelle Alessandro Di Battista, che spiega:
“La risposta è semplice: certi scheletri negli armadi lo hanno impedito. B. finanziava un’organizzazione mafiosa, a Roma, al contrario, un’organizzazione mafiosa finanziava il PD”.
“Anche in questo caso – continua – ce lo dice una sentenza anche se non ancora definitiva. Definitiva tuttavia è la perdita di moralità di quelli che per lavarsi la coscienza ogni tanto nominano Berlinguer. Costoro, parlo del gruppo dirigente, non di tanti militanti che forse l’unica colpa che hanno è essere masochisti, hanno perso definitivamente la faccia”.
“Hanno infamato Virginia Raggi in ogni modo – denuncia l’esponente pentastellato – in questi ultimi due anni. Hanno provato a trattarla come una criminale quando ai criminali, quelli veri, hanno aperto le porte di casa”.
“Anche grazie ad alcuni politici del PD – prosegue – si è sviluppata a Roma un’organizzazione criminale la quale ha finanziato il partito”.
E aggiunge: “Non ricordo di aver mai sentito qualche loro dirigente chiedere scusa. Al contrario hanno minacciato querele per coloro che sostenevano questa semplice verità: dei mafiosi hanno finanziato il PD. A Roma ci sono le buche (domandatevi il perché…) ma non ne esiste una talmente grande per contenere tutta la loro vergogna”.
“P.S. Sia B. (in diretta su La7), che Renzi (all’epoca premier dalla Camera dei Deputati) minacciarono querele nei miei confronti per ciò che avevo sostenuto. Ancora non è arrivato nulla,” conclude Di Battista.
E' finita la pacchia anche per Vespa! Il cda Rai ha deciso: taglio immediato dello stipendio
Razionalizzazione e contenimento dei cachet per conduttori e talent: questa è la linea del nuovo ad Rai Fabrizio Salini. In quest’ottica è stata rinviata a marzo l’opzione per il rinnovo del contratto di Bruno Vespa (nella foto), per discutere al meglio i dettagli dell’accordo. Nell’ultimo rinnovo, annunciato in Cda a settembre 2017, il contratto di Vespa era già stato sforbiciato di oltre il 30%, arrivando a 1 milione 200mila euro per 120 serate. La decisione di Viale Mazzini è stata salutata con entusiasmo dal Movimento 5 stelle: “Finalmente nella Rai del cambiamento iniziamo a vedere i primi risultati. Ci aspettiamo adesso che non solo quello di Vespa, ma anche tutti gli altri mega compensi vengano rivisti e ridiscussi”, ha commentato la deputata della commisisone Vigilanza Maria Laura Paxia.
Scanzi: "Con Conte per la prima volta dopo 30 anni gli italiani non si vergognano del proprio Premier"
(Andrea Scanzi) – Se volete ridere (per non piangere), rileggetevi gli epiteti con cui venne accolto Giuseppe Conte tra maggio e giugno. Neanche aveva cominciato a fare il Presidente del Consiglio, che già era stato dilaniato dalla stessa classe dirigente che – con la sua incapacità – aveva aperto la strada al Salvimaio e dalla stessa informazione che – con la sua ruffianeria – ne aveva incensato i predecessori. Conte era un millantatore, un prestanome, un incapace: un omino inutile, telecomandato come Ambra con Boncompagni. E questi erano i complimenti: di solito lo si riteneva null’altro che un mezzo deficiente, comandato per giunta da due minus habens come Salvini e Di Maio. E’ ancora il parere di chi resta turborenziano, tipologia umana che temo non potrebbe essere salvata neanche dal combinato disposto di Jung e Freud.
Era più che lecito avere dubbi su un sostanziale sconosciuto, scelto dal M5S come Ministro della Pubblica Amministrazione nell’impossibile monocolore 5 Stelle e – di colpo – catapultato in cima a un governo di per sé stravagante. Ora, però, se ci fosse un minimo di onestà intellettuale e non questo generalizzato tifo purulento di qua e di là, bisognerebbe ammettere come e quanto Conte stia stupendo: in positivo. Ne è prova ultima la risoluzione, colpevolmente tardiva ma politicamente encomiabile, del caso Sea Watch-Sea Eye. Una risoluzione (si ribadisce tardiva, e in quel ritardo c’è tutta la colpa del governo italiano e dell’Unione Europea) che dimostra non solo il talento diplomatico di Conte (e Moavero), ma pure la sua autonomia. Da mesi va avanti la nenia secondo cui, nel governo, faccia tutto Salvini. A furia di ripeterlo nei social e talkshow, è divenuto una sorta di Dogma. Ma è così vero che Salvini regni e signoreggi su Di Maio, Conte e il mondo intiero, compresa la non marginale Galassia di Andromeda? E’ vero mediaticamente ma non politicamente: a parte il Dl Sicurezza, pieno peraltro di storture, per ora di concreto Salvini si è fatto – più che altro – le pippe a manetta. Conte, reputato “prestanome” dagli stessi che celebravano Monti (noto filantropo vicino ai deboli), veneravano la Diversamente Lince di Rignano e santificavano Gentiloni dimenticandosi quel suo essere “prestanome” di Renzi, ha più volte messo all’angolo Salvini. Sulla Sea Watch, sugli inceneritori, sulla legge anticorruzione. E si spera pure su trivelle e Tav.
A settembre, in tivù, osai affermare che sul Salvimaio avevo (ho) miliardi di dubbi e certe cose mi facevano (fanno) schifo il giusto, ma che Conte era la sorpresa più positiva dell’esecutivo e che mi pareva già allora il miglior Presidente del Consiglio dai tempi di Prodi. Fui massacrato, e ovviamente il massacro arrivò dai soliti scienziati rintanati nei loro attici con vista grandangolare sul proprio ombelico. Oggi ribadisco il concetto, ben sapendo che neanche gli faccio tutto ‘sto gran complimento: anche una sogliola morta di onanismo sarebbe preferibile a Renzi.
Conte è migliorato pure nei suoi discorsi in Parlamento, dove all’inizio soffriva parecchio, e in tivù, dove – altro suo unicum – si ostina ad andare pochissimo. Le prime volte, da Floris a ridosso del voto (quando raccontò di provenire dalla sinistra) e poi ancora a DiMartedì dopo la nascita del Salvimaio, parve moscio. Idem all’esordio da Vespa, durante la quale mostrò il santino di Padre Pio a cui è devoto. Pochi giorni fa, ancora a Porta a porta, si è rivelato molto più sicuro e quasi baldanzoso (“Salvini non vuole sbarchi? Vorrà dire che li farò prendere in aereo..”). L’uomo non disdegna l’ironia. A volte esagera (“I tagli ai pensionati sono impercettibili, nemmeno L’avaro di Molière se ne accorgerebbe”) e a volte ci prende (“Chi butto dalla torre tra Renzi e Gentiloni? Renzi si è già buttato da solo…”). Sottovalutandolo (quasi) tutti oltremodo, hanno finito col rendere ancora più evidenti le sue qualità: un’altra delle troppe cantonate di una cosiddetta “opposizione” che non riuscirebbe a essere così ridicola neanche se ci si impegnasse deliberatamente.
Aggiungo un ultimo aspetto legato alla sua veste diplomatica. Quando Conte va all’estero, è assai a suo agio con le lingue (compresa quella italiana: e già qui c’è del clamoroso). Non solo: ai summit coi (presunti) grandi della terra, non fa le corna e neanche si improvvisa ilare bullo come quell’altro gradasso quando incontrava Schultz. Cordiale, affabile: sicuro di sé. Forse è la prima volta dal 2006 che tanti italiani non si vergognano di un Presidente del Consiglio. Non che Conte sia un fenomeno: è solo un uomo serio e normale alla guida di un governo improbabile e sbilenco, che a volte le indovina e più spesso no. Ma anche solo essere “normali”, in questi tempi di fenomeni finti e politica sputtanata, suona quasi rivoluzionario.
Capolavoro del Governo. I truffati dalle banche verranno risarciti nonostante lo stop dell'UE!
Questa settimana il governo guidato da Giuseppe Conte risponderà alle obiezioni sollevate da Bruxelles sulle norme approvate a dicembre per risarcire i risparmiatori truffati dalle banche e poi gli invierà immediatamente il testo del decreto attuativo senza aspettare risposte. Dopo il vertice di due giorni fa tra il premier Conte e i suoi vice, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, proprio sul decreto per indennizzare gli investitori danneggiati dagli Istituti sottoposti a procedure di risoluzione, non sono piaciute alla Lega e al Movimento 5 Stelle le indiscrezioni riportate dalla stampa secondo cui sarebbero necessari ancora 20 giorni di trattative con Bruxelles per mettere a punto il decreto per cominciare ad erogare gli indennizzi.
Ieri il sottosegretario all’Economia del Movimento 5 Stelle, Alessio Villarosa, parlando proprio delle norme per i risarcimenti ai risparmiatori truffati dalla banche e della richiesta di chiarimenti avanzata dalla Commissione Europea sul funzionamento del Fondo Indennizzo Risparmiatori (istituito con la legge di bilancio del 2019), ha detto a La Notizia “Bruxelles riceverà in settimana la nostra risposta e le manderemo anche il testo del decreto attuativo, senza perdere altro tempo, noi andiamo avanti”. Un modo per affermare il primato della politica sui tecnici che devono svolgere il proprio lavoro ma seguendo la linea tracciata dai partiti di maggioranza.
Intanto ieri il ministro dell’Economia, nel corso di un audizione in Senato davanti alla Commissione Finanze del Senato riguardo alle misure a favore dei risparmiatori truffati, ha detto che la commissaria europea Vestager finora ha fatto “solo una richiesta di informazioni su una serie di punti a cui noi abbiamo preparato una risposta in difesa della legge con una interpretazione che consenta di non violare le norme europee” sugli aiuti di Stato. Poi Tria ha proseguito spiegando come “Nella disposizione originaria i risparmiatori sarebbero già in una fase in cui vengono pagati, ma le modifiche, che hanno creato una serie di interrogativi sul rispetto delle norme comunitarie, hanno prodotto qualche ritardo”.
Un affermazione, quest’ultima, che ha suonato come una bacchettata al Parlamento visto che il testo originario sui rimborsi era stato scritto dal Ministero dell’Economia ma poi era stato modificato con emendamenti parlamentari, benché il ministro si sia affrettato a precisare “Il Parlamento è sovrano e può modificare le norme come vuole”. Quel che è certo è che la Lega e il Movimento 5 Stelle hanno un approccio completamente diverso da quello di Giovanni Tria al problema dei truffati dalla banche. Una diversità di vedute che ha messo in allarme anche l’associazione Vittime del Salvabanche che per bocca di Letizia Giorgianni ha detto: “La verità è che, con tutta evidenza, il varo del decreto slitta in avanti.
Con molta probabilità si sta cercando di attuare il misselling caso per caso affidando alla Consap l’esame delle domande. Con questa soluzione Tria spera di superare l’esame della Commissione”. Immediatamente è arrivata la risposta del sottosegretario Villarosa che ha spiegato come: “Le regole Ue prevedono tre tipi di interventi: riconoscimento del misselling da parte di giudici o arbitri o la fissazione di criteri generali in caso di urgenza sociale. Oltre alla platea che definisce l’urgenza sociale – ha aggiunto Villarosa – c’è anche un tema di suicidi, di disperazione chiara, di proteste, di imprese che hanno dovuto chiudere. L’urgenza sociale ci sembra abbastanza chiara e definita da questi aspetti”.
Il Governo smaschera l’ennesimo tradimento di Monti e della sua banda. Nessun procuratore apre inchieste contro questo infame?
Il termine bail-in ha fatto la sua comparsa sui grandi media europei il 16 marzo 2013 quando la Troika stabilì che il sistema bancario di Cipro, collassato a causa della crisi greca, dovesse essere salvato con il contributo di azionisti, obbligazionisti e depositanti e non solamente del Fondo salva-Stati. La misura consentì di reperire risorse per 10 miliardi.
Ma come accadde che il bail-in, allora presentato come una tantum, diventò la base portante di tutti i salvataggi degli istituti dell’ Ue?
Occorre tornare indietro di ulteriori 9 mesi al tormentato Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2012 nel quale si posero le basi dell’ Unione bancaria a fronte dell’ uscita programmata dal regime di aiuti di Stato, in vigore proprio fino al 2013 (in Germania sono stati spesi 250 miliardi pubblici), per la soluzione delle crisi bancarie. Il governo Monti, tutto concentrato a tutelarsi dal pericolo spread, «barattò» il primo via libera a questo nuovo set di regole con un regime un po’ meno penalizzante per gli aiuti in caso di crisi del debito.
Fu il 18 dicembre 2013, tuttavia, che la direttiva Brrd contenente il bail-in vide la luce. Il ministro dell’ Economia del governo Letta, Fabrizio Saccomanni (e con lui il governatore di Bankitalia Ignazio Visco), espresse forte contrarietà poiché «l’intervento pubblico potrebbe essere preferibile al rischio di contagio generato da un esteso bail-in», ma fu costretto ad accettare la proposta tedesca avanzata dal ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble. I clienti delle banche avrebbero dovuto contribuire ai salvataggi almeno fino all’ 8% degli attivi.
Il risvolto tragico di questo episodio, denunciato da Saccomanni, è la minaccia della Germania di scrivere la normativa computando i titoli di Stato come asset a rischio in caso di rifiuto italiano, una bomba per il sistema-Italia visto che banche e assicurazioni detengono circa 350 miliardi di Btp. Peccato, però, che durante gli stress test bancari la Vigilanza europea tenda a seguire questo modello teorico penalizzando puntualmente i nostri istituti.
La direttiva Brrd fu approvata dal Parlamento Ue, ormai in scadenza, il 15 maggio 2014 con il governo Renzi in carica da soli 3 mesi, per altro spesi a contrattare flessibilità per il bonus da 80 euro. Quella normativa fu recepita nell’ ordinamento italiano a fine novembre 2015 in occasione del salvataggio delle quattro banche locali (CariChieti, Banca Marche, Banca Etruria e CariFerrara), reso ineludibile dalla decisione Ue di equiparare a un aiuto di Stato l’ intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi anche se questo è totalmente privato sebbene soggetto a coordinamento da parte di Bankitalia.
Quanto accaduto successivamente, dal flop del Fondo Atlante (che ricapitalizzò Veneto Banca e Popolare Vicenza) alla nuova ondata di fusioni bancarie, è una conseguenza del nuovo sistema di regole che obbliga gli istituti a ingegnarsi per evitare di incorrere in quella pericolosa tagliola. A ogni stormire di spread, tuttavia, per i banchieri italiani l’ incubo ritorna. E il fatto che quella del 2015 rimanga l’ unica applicazione del bail-in post-Cipro in tutta l’ Eurozona (per Mps e le due Popolari venete il processo è stato mitigato) conferma che Visco e Saccomanni avevano ragione, ma sono stati lasciati soli.
2 – LA LEGGE-CAPPIO APPROVATA IN ANTICIPO DA RENZI
Da “la Verità”
Leggerezza e incapacità di sostenere le pressioni tedesche. Fatto sta che la norma più rivoluzionaria in tema bancario viene inghiottiti dall’ Italia come una caramellina zigulì.
Il governo di Enrico Letta decide di affidarsi mani e piedi alle scelta della Commissione Ue che in tema di burden sharing ha poteri assoluti senza aver discusso i termini contrattuali. In altre parole, nessuno stila un piano di gestione delle sofferenze bancarie, né decide i criteri di valutazione dei Btp nei bilanci delle banche.
Per non saper né leggere né scrivere Matteo Renzi ha fatto di tutto per trasformare in legge l’ impegno di Letta, con tre anni di anticipo sulla tabella di marcia Ue, nel 2015. Tutto ciò porta alla situazione attuale. La tanto decantata battaglia di Bankitalia per la tutela del sistema del credito è stata un po’ troppo sussurrata. Quando il governo Renzi pasticciò per far saltare l’ aumento di capitale di Mps finendo con l’ infilare Siena in un vicolo cieco, né l’ Abi né Bankitalia si sono lanciate in una valutazione ex ante.
L’ approccio al bail in in effetti era cambiato soltanto a maggio del 2016, quando sempre il governo Renzi dopo aver chiesto aiuto a Giuseppe Guzzetti per salvare la Popolare di Vicenza bruciò Atlante. Si trattava del fondo alimentato dai risparmi delle Fondazioni e dal capitale delle banche sane. Entrato in modo «spintaneo» nell’ istituto di Gianni Zonin, si è trovato da solo contro Bruxelles e regole completamente fuori mercato. La finanza cattolica ha perso qualcosa come 4,5 miliardi. Da lì si sono aperti gli occhi e si è capito che la vigilanza Ue non funziona.
Eppure il governatore Ignazio Visco si limitava a dire: «Ho fiducia che arriveremo a una soluzione che rispetti le regole Ue e salvaguardi il risparmio». Non è andata così, ma il mea culpa si fa solo a buoi scappati. D’altronde, Visco non è solo a lamentarsi delle falle.
L’ altro potere italiano, quello degli industriali, almeno al proprio vertice, sembra soffrire della stessa retroattività. Vincenzo Boccia – e arriviamo al secondo esempio da letteratura – chiudendo la convention dei giovani ha sparato a zero sulle fesserie dei politici che che non capiscono nulla di macroeconomia.
«Penso che uno prima di entrare in politica dovrebbe fare un corso di macroeconomia. Se ci fosse una tassa sulle fesserie», ha sintetizzato, «avremmo risolto il problema del debito pubblico». Varrebbe la pena ricordare che a dicembre del 2016 Boccia appose la propria firma a uno studio del suo Centro studi relativo agli effetti del No al referendum costituzionale.
«Subiremo», recitava il report, «4 punti percentuali in meno nel triennio sullo scenario di base. Salterebbero 60.000 posti di lavoro e 20 punti percentuali di investimenti». Il 25 maggio del 2017 (sei mesi dopo) Confindustria, come se nulla fosse, stimava il Pil in crescita dello 0,3%, con un acquisito dello 0,6%.
«La risalita si va consolidando, grazie a investimenti ed export», concludeva il Centro studi. Insomma, Boccia ha abituato la politica troppo bene. Se il leader di Confindustria deve fare delle critiche si limita ormai a farle a posteriori e mai troppo chiare. D’ altronde, dovrebbe prima fare il punto delle proprie stime e delle scelte che ha imposto all’ associazione degli industriali schierandola senza se e senza ma al fianco della corsa al potere di Matteo Renzi.
Così buon ultimo è arrivato anche il numero uno degli industriali. Parlando durante un convegno di banca Intesa ha detto la sua contro il bail in. «Sì, sarebbe necessario rivedere tutta l’ Europa in termini di una stagione riformista. Però con proposte, non solo con critiche». Quali? Adesso la sfida è evitare che le banche debbano accantonare entro il 2020 240 miliardi di euro. Per tutelare il sistema bisognerà fare in modo che la Bce prosegua con l’ erogazione di liquidità. Aspettiamo che chiudano i rubinetti? O meglio fare una battaglia prima?
L’accusa bomba su Floris! Questa volta lo portano in Tribunale, ha violato platealmente la legge in diretta tv
Il conduttore di Dimartedì Giovanni Floris è stato denunciato alla Procura della Repubblica per la presunta induzione al gioco d’azzardo. A presentare l’esposto il Codacons, a seguito di un servizio trasmesso nella puntata di ieri del programma di La7. “Nel corso della trasmissione Giovanni Floris ha proposto un servizio sulle modalità per aggirare i paletti fissati dalla misura governativa in tema di reddito di cittadinanza”, si legge, “in particolare illustrando le possibilità per eludere il divieto di utilizzo del sussidio per il gioco d’azzardo“. Lo spiega il Codacons nell’esposto.
Nel filmato sarebbe stato illustrato come, tramite un escamotage tra carte di credito, sia possibile aggirare il divieto di utilizzo del sussidio, mostrando i vari passaggi da compiere per arrivare all’acquisto di un Gratta & vinci con i soldi della sovvenzione governativa.
Quanto riportato nel filmato è contrario a quanto ha chiesto il ministro del lavoro Luigi Di Maio che, nei giorni scorsi, aveva tuonato contro la diffusione in tv di informazioni sulle modalità di raggiro delle norme sul reddito di cittadinanza. Il video potrebbe essersi quindi tradotto in una sorta di induzione a eludere e raggirare le norme sul reddito di cittadinanza con una possibile frode ai danni dello Stato e un danno economico evidente ed elevatissimo per la collettività – prosegue l’associazione – Per tale motivo abbiamo deciso di chiedere alla Procura di Roma se la decisione di Floris di trasmettere il servizio in questione possa configurare l’induzione al gioco d’azzardo o una qualsiasi forma di favoreggiamento a delinquere.
Il Codacons chiede a La7, rete che da sempre si batte contro la ludopatia e il gioco d’azzardo, di sospendere Floris “per il grave comportamento”.
martedì 26 febbraio 2019
Di Maio annuncia la nuova riforma del M5S. Ecco cosa dovranno votare gli iscritti
“Il ruolo del capo politico si ridiscute tra 4 anni. Quelle due persone su 330 che hanno parlato contro di me non hanno il problema di essere rieletti in Parlamento”. E’ quanto ha detto il vicepremier e leader del M5S, Luigi Di Maio, nel corso della conferenza stampa tenuta oggi alla Camera sull’esito del voto in Sardegna. “Sono concentrato – ha aggiunto Di Maio – per creare i presupposti perché l’Italia possa crescere in tutti i settori nei prossimi 4 anni. Non sto pensando al mio terzo mandato”.
“Le elezioni amministrative – ha aggiunto il leader della Lega – non avranno alcun impatto sul governo e sulla vita interna del Movimento. Non mi arrendo all’idea che si paragoni il risultato delle politiche con quello delle amministrative, non ci arrenderemo mai come movimento su questo. Il centrosinistra dal 2013 si illude di poter rubare voti al M5S alle amministrative come al mercato delle vacche. Ma i voti sono dei cittadini”.
“Oggi apriamo la discussione all’interno del M5S – ha detto ancora Di maio – e con i cittadini italiani per la riorganizzazione del Movimento. Non cambia l’anima del movimento, che invece si rinnova per rispondere alle richieste dei cittadini. Prima ci sostenevano per andare al governo, ora per cambiare le cose. E otto provvedimenti su 10 del governo sono del M5S”. Tra le innovazioni annunciate dal vicepremier, “gli attivisti devono votare molto di più su Rousseau, non solo sulle decisioni del governo, ma anche ad esempio sulle restituzioni degli stipendi dei parlamentari e su come usarle”.
“Organizzazione nazionale e locale del Movimento; rapporti con le liste civiche sul territorio; nuove regole per i consiglieri comunali; temi relativi alle votazioni su Rousseau”, sono i 4 punti che saranno discussi nella zona di ascolto sulla piattaforma Rousseau dagli iscritti al M5S. “Nei prossimi giorni – ha spiegato sul punto Di Maio – avvieremo una raccolta delle proposte degli iscritti che durerà una settimana sui vari argomenti tematici per immaginare la nostra nuova organizzazione, quali regole vogliamo migliorare e quali nuove vogliamo introdurre”.
Lo studio: in vent’anni la moneta unica ha fatto guadagnare 23mila euro a ogni tedesco perdere 74mila euro a ogni italiano
L’euro ha impoverito gli italiani e arricchito i tedeschi.
È quanto emerge dal rapporto “20 anni di Euro: vincitori e vinti”, del think tank Cep (Centre for European Policy) di Friburgo
Secondo un nuovo studio di questo istituto, scrive il deputato del M5S Raphael Raduzzi su Facebook, “a 20 anni dall’introduzione dell’euro ogni cittadino tedesco ha guadagnato circa 23mila euro pro capite, mentre gli italiani ne hanno persi 74 mila. Dall’introduzione dell’euro l’Italia avrebbe perso oltre 8 miliardi!”
“I risultati” ha osservato Raduzzi “sono ottenuti grazie ad uno scenario controfattuale che tiene conto di gruppi di controllo e, a dire la verità, è solo l’ultimo di una lunga serie. D’altra parte tutti i maggiori economisti avevano avvertito i politici europei che sarebbe finita in questa maniera. In sintesi la Germania si è dotata di una moneta totalmente sottovalutata rispetto alla sua economia e che invece di rivalutare svaluta. Il risultato è il suo enorme surplus commerciale che sempre più spesso crea problemi economici e politici globali”.
L’immagine che vedete sopra, ha precisato l’esponente 5Stelle, è tratta dallo studio ed è “la rappresentazione plastica di chi ci ha guadagnato e di chi ci ha perso”.
Nella scheda sull’Italia si legge che “in nessun altro Paese tra quelli esaminati l’euro ha causato simili perdite di prosperità. Questo è dovuto al fatto che il pil pro capite italiano ha ristagnato da quando è stato introdotto l’euro. L’Italia non ha ancora trovato un modo per essere competitiva all’interno dell’Eurozona. Nei decenni prima dell’euro il Paese a questo fine svalutava la sua moneta. Dopo l’introduzione dell’euro questo non è stato più possibile. Sarebbero state necessarie riforme strutturali. La Spagna mostra come queste riforme possano ribaltare il trend negativo”.
Nuove Cav-olate. Berlusconi spara a zero su Di Maio & C.: “I Cinque Stelle hanno finalmente imboccato la strada di un declino irreversibile”
Un Silvio Berlusconi ringalluzzito quello che è andato in scena ieri dopo il successo del centrodestra in Sardegna. Occasione ottima per andare all’attacco delle altre forze politiche: “Il centrosinistra ha confermato di essere in crisi di idee, di uomini, di consenso”, ha detto il Cav, che poi è andato all’attacco del Movimento: “I Cinque Stelle hanno finalmente imboccato la strada di un declino irreversibile che si aggrava man mano che il Paese si rende conto della loro totale inettitudine. Dunque tutto bene: gli italiani continuano ad aprire gli occhi”. “Desidero congratularmi con Christian Solinas – ha concluso poi il Cav – Ringrazio anche le azzurre e gli azzurri della Sardegna, i nostri candidati, il coordinatore regionale, i parlamentari e i molti militanti che ho visto impegnati”.
sabato 23 febbraio 2019
Accordo Merkel-Macron per affossare il Governo italiano: "O fanno come diciamo noi o niente soldi"
Se questa può chiamarsi “Unione europea”. Sarebbe più corretto chiamarla “Unione franco-tedesca con tutto il resto a seguire”. Nonostante il pesante no dell’Europarlamento (con grande merito dei Cinque stelle), Angela Merkel ed Emmanuel Macron riprovano il “colpaccio” presentando una proposta che mira, di fatto, ad affossare il Governo italiano. In sintesi, l’idea è quella di prevedere lo stop ai fondi europei per quei Paesi che non si adoperano per ridurre il proprio debito pubblico. Considerando la Manovra espansiva approvata in Italia, è facile prevedere i cupi scenari a cui potrebbe portare questa proposta. Ed è quantomeno paradossale se si pensa che solo pochi giorni fa il Parlamento europeo, grazie ad un emendamento M5S, aveva bocciato un provvedimento inserito nella programmazione 2014-2020 dalla Commissione Ue, sempre china ai voleri di Berlino e Parigi, che andava esattamente nella stessa direzione della proposta presentata ieri. A dimostrazione di quanto poco democratica e trasparente sia quest’istituzione.
Travaglio su arresto Formigoni: "Lo vogliono tutti fuori da galera nonostante abbia fatto di tutto per meritarsela"
A leggere le dolenti e lacrimanti dichiarazioni di politici e intellettuali di destra, centro e sinistra per l’arresto di Roberto Formigoni, condannato definitivamente dalla Cassazione a 5 anni e 10 mesi, cui farà seguito il consueto pellegrinaggio di vedove e orfani inconsolabili nella cella del nuovo Silvio Pellico, una domanda sorge spontanea. Ma che deve fare un politico italiano, per 18 anni governatore della Lombardia, per guadagnarsi un minimo di riprovazione sociale, se non bastano nemmeno 6,6 milioni di tangenti (su un totale di 80) sotto forma di ville in Costa Smeralda, yacht in Costa Azzurra, vacanze ai Caraibi e in Sardegna, banchetti a base di champagne in ristoranti stellati, benefit vari e finanziamenti elettorali illeciti rubati al sistema sanitario nazionale, cioè sulla pelle dei malati?
L’altroieri il Pg della Cassazione, chiedendo la conferma della condanna d’appello a 7 mesi e mezzo (poi un po’ ridotta per la solita prescrizione), ricordava “l’imponente baratto corruttivo… tenuto conto del suo ruolo e con riferimento all’entità e alla mole della corruzione, che fanno ritenere difficile ipotizzare una vicenda di pari gravità”. Siccome una sentenza irrevocabile, non il teorema della solita Procura di Milano, ha accertato che tra il 2001 e il 2011, dalle casse della Fondazione Maugeri e del San Raffaele (cliniche private convenzionate e foraggiate dalla Regione, con l’aggiunta di favori indebiti per 200 milioni di denaro pubblico), sono usciti rispettivamente 70 milioni e 8-9 milioni, poi transitati su conti di società estere “schermate” e finiti nelle tasche dell’imprenditore Pierangelo Daccò, dell’ex assessore Antonio Simone, di Formigoni e di suoi prestanome, tutti ciellini di provata fede, la classe dirigente di un Paese serio si congratulerebbe con i magistrati per aver neutralizzato e assicurato alla giustizia un pericoloso focolaio d’infezione che per quattro lustri ha depredato la sanità pubblica di una delle regioni più prospere d’Italia. Invece chi candidò questo bell’esemplare di nababbo a spese nostre col voto di povertà, chi lo sostenne (da FI ai centristi Udc alla Lega), chi finse di fargli l’opposizione (il Pd) e chi lo votò si vergognerebbe come un ladro. E tutti ringrazierebbero i 5Stelle per due meriti indiscutibili, acquisiti prima della cura Salvini: aver costretto i partiti a dare una mezza ripulita alle liste del 4 marzo 2018, cancellando almeno i più impresentabili fra gli impresentabili (senza i famigerati “grillini”, FI avrebbe ricandidato Formigoni per la sesta volta); e aver approvato la Spazzacorrotti che equipara la corruzione ai reati di mafia.
Cioè la rende “ostativa” ai benefici penitenziari, pene alternative e altre scappatoie. E ci risparmia per il futuro il consueto spettacolo del potente di turno che “sconta” la pena ai domiciliari o ai servizi sociali senza un giorno di galera. Invece siamo un popolo che, non avendo conosciuto la Riforma protestante, non sa cosa sia l’etica della responsabilità. Infatti, all’ennesimo arresto di “uno del giro”, il coro delle prefiche ha ripreso a lacrimare, passando senza soluzione di continuità da casa Renzi alla cella di Forchettoni. Il messaggio classista di queste lamentazioni è che i “signori” non si arrestano mai, neppure quando ce la mettono tutta per finire in galera nel Paese che li respinge sulla soglia, e alla fine ci riescono. In fondo, la nostra infima “classe dirigente” rimpiange quei tempi e quei figuri. E anche nella presunta sinistra fioccano le riabilitazioni di B. purché ci (anzi li) salvi dal “populismo”.
Cominciarono Scalfari e De Benedetti (“Meglio B. di Di Maio”), proseguì Renzi (“Chiediamo scusa a B.”), poi arrivò lo scrittore Veronesi (“Firmerei col sangue per il ritorno di B.”). E ora Augias, su Repubblica, per poter sostenere restando serio che “questo governo è il peggiore della storia repubblicana”, deve scrivere che i governi B. furono acqua fresca: “B. badava ai suoi affari e a scansare la galera” con qualche “legge su misura”, che sarà mai, “ma non ha danneggiato struttura ed equilibri dello Stato come rischiano di fare questi”. In effetti B. si limitò a consegnare la democrazia e le istituzioni a un’associazione per delinquere che ha rapinato l’Italia, in miliardi e in diritti, per un quarto di secolo. Basta ricordare la lista dei condannati, imputati e indagati di quello che chiamiamo spiritosamente “centrodestra”.
Due dei tre leader fondatori, B. e Bossi, sono pregiudicati passati dai servizi sociali. L’altro, Fini, è imputato per riciclaggio. I creatori di FI, Dell’Utri e Previti, sono pregiudicati l’uno per mafia e l’altro per corruzione giudiziaria. Il leader della Campania, Cosentino, ha già totalizzato 25 anni di carcere per camorra. Quello della Calabria, Matacena, è latitante a Dubai. E prima di Formigoni erano stati indagati, o arrestati, o condannati in vari gradi di giudizio o prescritti i governatori di centrodestra di quasi tutte le Regioni: Cota (Piemonte), Biasotti (Liguria), Maroni (Lombardia), Galan (Veneto), Polverini (Lazio), Pace (Abruzzo), Iorio (Molise), Fitto (Puglia), Scopelliti (Calabria), Drago, Cuffaro e Lombardo (Sicilia), Cappellacci (Sardegna). En plein. Per non parlare dei membri di Parlamenti e governi: Verdini, Scajola, Brancher, Papa, Luigi Grillo, Frigerio, Alfredo Vito, Matteoli, Sirchia, Romani, Angelucci, Sgarbi, Belsito, Sciascia, Minzolini, Farina per citare solo i migliori.
Un esercito di perseguitati politici, un battaglione di vittime della malagiustizia.
Prima c’erano quelli che “un avviso di garanzia non è una condanna” e “aspettiamo la sentenza definitiva”. Ora piangono anche dopo le condanne in Cassazione. Formigoni non è ancora entrato in galera e già lo vogliono fuori. Con tutta la fatica che ha fatto per meritarsela.
“TUTTI FUMO E NIENTE ARRESTO” di Marco Travaglio sul Il Fatto Quotidiano del 23 febbraio 2019
Straordinario! Il Governo va all'attacco dell'UE sul Fiscal compact che ha inginocchiato l'Italia e gli italiani
Le regole europee vanno riviste perché furono “approvate in fretta” ma “non rispondono all’esigenza di far fronte al veloce rallentamento” in corso. Un rallentamento che “per l’Italia significa recessione” ma che coinvolge “tutte le grandi economie”. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria, all’inaugurazione dell’anno accademico all’università Tor Vergata, propone una revisione del Fiscal compact Ue, attaccando a distanza Jean-Claude Juncker. E avverte: “Non ricostruiremo mai la fiducia con i tecnicismi“.
Le regole vanno riviste perché “non consentono di tenere conto della mutevolezza delle condizioni economiche, in tal modo impediscono aggiustamenti discrezionali delle politiche finendo con l’agire in direzione prociclica se non strutturalmente deflattiva”. Ma Tria è entrato in dettaglio anche sulla posizione italiana in merito ai paletti Ue: “L’Italia si è espressa favorevolmente al Fiscal compact quando tutto sembrava sgretolarsi con la crisi – ricorda il ministro – Ma quelle sono regole che funzionano con una crescita sostenuta e non consentono di rispondere alle esigenze della situazione corrente”.
“Per fare fronte ai momenti di crisi “quello che sto suggerendo – continua Tria – non è non avere regole ma che nelle politiche economiche i tecnicismi non dovrebbero avere lo stesso peso politico delle ragioni fondamentali del cooperare tra nazioni”. Tria ha raccontato anche dettagli in merito all’approvazione della Legge di Bilancio, quando sembrava che l’Italia “volesse mettere in discussione le regole tecniche e addirittura la moneta unica, come se l’unico motivo per stare insieme fossero le regole fiscali”.
“Ma il progetto europeo ha bisogno di puntare a qualcosa di più grande, giocando un ruolo più decisivo per una globalizzazione sostenibile”, evidenzia Tria. E sul rallentamento economico? “Le previsione Ue indicano un rallentamento per tutti”, ha tagliato corto.
venerdì 22 febbraio 2019
Professore di Harvard elogia il M5S: "Piano piano sta cambiando l'Italia
“Passo dopo passo, il M5S sta cambiando l’Italia“.
Così sulla propria pagina Facebook Francesco Erspamer, professore di studi italiani e romanzi a Harvard e blogger.
“No,” precisa il professore – il M5S “non sta facendo ‘la’ rivoluzione, quella che i massimalisti considerano l’obiettivo minimo, ovviamente irraggiungibile nell’attuale contingenza e che dunque li esenta da qualsiasi azione concreta, preservando la loro astratta purezza: molto più modestamente il M5S sta ristabilendo le basi che potranno, in seguito, consentire il ritorno della politica e di una democrazia attiva, vitale, e con esse l’opportunità (solo l’opportunità, non la certezza) di una maturazione sociale e civile (detesto la parola “crescita”, mantra dei vincenti) dopo due decenni e mezzo di deriva liberista”.
“Che poi” prosegue “questa maturazione abbia luogo non dipende dal M5S né da alcun singolo partito; dipende dalla volontà e dall’impegno degli italiani, almeno di buona parte di essi; non ci sono ancora le condizioni per questo sforzo collettivo ma apprezzo i pentastellati perché invece di rassegnarsi al destino manifesto di individualismo e avidità proclamato dal neocapitalismo, stanno tentando di resistergli, fra mille difficoltà e fronteggiando la strenua ostilità di chi teme di perdere qualche privilegio, spesso immaginario”.
“Il condominio con la Lega” osserva “comporta dei compromessi, dei ritardi e anche delle rinunce, ma l’importante è che il processo vada avanti e che la rete di connivenze istituzionali che ha reso possibile il regime berlusconiano-piddino venga smantellato. Ovvio, come ho detto, che si incontri opposizione: sarà anzi sempre più scomposta, scorretta e violenta man mano che una casta nata e cresciuta nel benessere e convinta che non esistano alternative a sé stessa, sentirà che la sua presa sul potere si sta affievolendo. Ovvio anche ci siano state e saranno delusioni, qualcuna grave, e probabilmente errori. Si potrà rimediare a essi: ma solo se si useranno i quattro anni che restano a questa legislatura per trasformare e sanare il paese e restituire allo Stato la fiducia dei cittadini, intenzionalmente erosa con la complicità della stampa e degli intellettuali per far accettare alla gente la privatizzazione dei beni comuni e dei servizi pubblici e la svendita della nostra economia agli stranieri. Fra quattro anni farò una valutazione: può darsi che allora l’esperienza pentastellata mi sembrerà conclusa, può darsi che una nuova sinistra sarà pronta a continuarne il lavoro politico; può darsi invece che il M5S sarà diventato quella sinistra”.
“Comunque sia, se il M5S terrà duro e andrà avanti con il suo programma non potrò che essergli grato, tutti i cittadini dovrebbero essergli grati, per aver provato a dar vita a un nuovo risorgimento italiano. Che non significa, come dicevo all’inizio, l’improvvisa realizzazione di una società ideale o semplicemente giusta: solo delle condizioni che permettano alla prossima generazione di sognarla con un minimo di plausibilità,” conclude.
Dopo 10 anni di nulla la ministra della Salute Grillo lancia il Piano taglia-liste d’attesa. “Finalmente avremo regole più semplici e tempi certi per le prestazioni”
Con l’approvazione del nuovo Piano per la gestione delle liste d’attesa (PNGLA) prende il via un percorso di avvicinamento della sanità pubblica verso i cittadini che si aspettava da tempo. Il Piano – si legge in una nota del ministero – mancava da 10 anni e non è stato mai monitorato e applicato. Questo ha compromesso l’intero sistema delle prestazioni e, nel tempo, consolidato le storture che sono sotto gli occhi di tutti. “Finalmente adesso avremo regole più semplici e tempi certi per le prestazioni che riportano il diritto alla Salute e quindi il cittadino al centro del sistema”, ha detto il ministro della Salute, Giulia Grillo. “Ho già dato mandato agli uffici del ministero per attivare al più presto l’Osservatorio Nazionale sulle Liste di Attesa che avrà un ruolo determinante”.
15 anni di carcere per voto di scambio, arriva il decreto che mette in ginocchio i vecchi partiti
Via libera in commissione Giustizia della Camera, presieduta da Giulia Sarti (M5S), alla proposta di legge che ridisegna il reato di voto di scambio politico-mafioso. Il provvedimento passa ora all’esame dell’Aula dove approderà lunedì prossimo. “Il testo – spiega la Sarti – è migliorato anche grazie alle modifiche introdotte in base alle quali chi prende i voti dai mafiosi rischia una condanna fino a 15 anni di carcere. Seguendo anche le indicazioni degli esperti auditi, tra i quali ricordo il procuratore nazionale Antimafia Cafiero De Raho, abbiamo apportato alcune modifiche al testo approvato in Senato”. E’ stato reintrodotto reintrodotto “oltre all’appartenenza all’associazione mafiosa, anche le modalità mafiose”, per rendere più efficiente l’applicazione della legge.
Denaro contante e regali di lusso: incastrata la Pezzopane! E’ lei l’indagata PD del giorno
“Non so nulla, non ho ancora ricevuto niente, tuttavia ho fiducia nella magistratura – afferma la senatrice dem -. Mi dispiace che i magistrati debbano lavorare spesso su cose del genere, mi sembra un grande calderone che alla fine si chiarirà”
La senatrice aquilana del Pd Stefania Pezzopane è indagata con l’accusa di finanziamento illecito ai partiti assieme ad Angelo Capogna, imprenditore che si occupa di illuminazione pubblica e che l’ha accusata nel corso di due interrogatori in relazione a una campagna elettorale degli anni scorsi. Originario del Frusinate, Capogna è amministratore della Saridue Srl e con le sue denunce nei mesi scorsi ha originato una maxi inchiesta nei confronti di politici e funzionari di Comuni marsicani, descrivendo un sistema di “tangenti sui lampioni”.
La Pezzopane, 57 anni, senatrice dal 2013, è stata anche assessore e presidente del Consiglio in Comune, presidente della Provincia dell’Aquila e assessore e vice presidente del Consiglio regionale. “Non so nulla, non ho ancora ricevuto niente, tuttavia ho fiducia nella magistratura – afferma la senatrice Pezzopane -. Mi dispiace che i magistrati debbano lavorare spesso su cose del genere, mi sembra un grande calderone che alla fine si chiarirà”.
A interrogare Capogna, che ha descritto un sistema di ‘tangenti sui lampioni’ con contanti e regalie in cambio di commesse nel suo settore, un’indagine di cui questo nuovo filone è uno stralcio, i sostituti procuratori della Repubblica di Avezzano (L’Aquila) Maurizio Cerrato e Roberto Savelli, che tra le sue parole hanno riscontrato un’autonoma fattispecie di delitto che coinvolgerebbe la Pezzopane, in violazione della legge numero 195 del 1974, quella che regola appunto il finanziamento ai partiti. Per questo è stato aperto un fascicolo autonomo e lo scorso 11 aprile le carte sono state trasmesse alla competente procura aquilana, dal momento che il fatto sarebbe avvenuto nel capoluogo.
Nelle scorse settimane, in un secondo interrogatorio fiume, il principale indagato, nonché accusatore, è stato sentito dagli agenti della squadra Mobile aquilana, in particolare della prima sezione diretta dal sostituto commissario Sabatino Romano, Mobile che ha da poco cambiato dirigente, da Gennaro Capasso a Tommaso Niglio. Secondo quanto appreso da fonti investigative, anche in questo filone si starebbe verificando la possibile sussistenza di ipotesi accusatorie di corruzione. L’inchiesta nata dalle denunce di Capogna è sfociata nel marzo 2016 in perquisizioni e acquisizioni di documenti nei confronti di 25 indagati, che sono diventati 36 fin qui noti pochi giorni fa, quando sono stati notificati gli avvisi di conclusione delle indagini.
giovedì 21 febbraio 2019
Anche Matteo ha succhiato denaro dalle società indagate! Quel Tfr sospetto di quando lo fecero dirigente per fottere i contributi figurativi
RENZI DOVREBBE RESTITUIRE IL TFR PAGATO DALL’AZIENDA DI FAMIGLIA? – “IL FATTO” LANCIA L’IDEA: “LA SOCIETÀ CHE GLI HA GARANTITO UNA PENSIONE E UN TFR DA DIRIGENTE ‘SI SAREBBE AVVALSA DEL PERSONALE FORMALMENTE ASSUNTO DALLE COOPERATIVE CHE SONO STATE CARICATE DI DEBITI PREVIDENZIALI E FISCALI E ABBANDONATE AL FALLIMENTO’” – MATTEUCCIO HA PRESO 40MILA EURO DALLA “EVENTI6”, SOLDI ACCUMULATI DAL 2003 E…
Estratto dell’articolo di Marco Lillo per “il Fatto Quotidiano”
Matteo Renzi dovrebbe restituire, o meglio donare allo Stato, il Tfr percepito dalla società di famiglia e pagato dai contribuenti fiorentini. Il trattamento di fine rapporto pagato a Renzi dalla Eventi 6 (società delle sorelle e della mamma) nel 2014 quando Renzi, dopo una campagna del Fatto, si dimise dall’ azienda dovrebbe ammontare a circa 40 mila euro.
(…) La Chil srl, fondata da Tiziano Renzi, è stata ceduta negli anni Novanta a Matteo – socio al 40 per cento – e a sua sorella Benedetta. Dal 1997 al 2003 Matteo è un semplice co.co.co, senza diritto a pensione e tfr, come le due sue sorelle, Benedetta e Matilde. Lo stipendio di Matteo è di soli 14 mila euro lordi nel 2003, fino a ottobre. Il 17 ottobre 2003 lui e Benedetta cedono le quote alla madre, Laura Bovoli. e al padre Tiziano. Il 27 ottobre 2003 la Chil di Laura e Tiziano scopre di avere bisogno di un manager e assume il suo primo e unico dirigente: Matteo Renzi.
Il giorno dopo la Margherita di Firenze sceglie il giovane Renzi come candidato alla presidenza della Provincia. Il 13 giugno 2004 Renzi viene eletto e la Chil gli concede l’ aspettativa. Quindi, dal 2003 al 2009, la Provincia ha versato i contributi figurativi e dal 2009 al 2014 lo ha fatto il Comune di Firenze, quando Renzi è diventato sindaco.
(…) Nell’ ordinanza di arresto per Tiziano e Laura si legge che “la societa Chil Post (poi Eventi 6) si sarebbe avvalsa del personale, formalmente assunto dalle cooperative le quali, non appena raggiunta una situazione di difficoltà economica, sono state dolosamente caricate di debiti previdenziali e fiscali, e abbandonate al fallimento”. Chil ha assunto un solo dirigente, Matteo Renzi.
Nel 2010, quando la famiglia Renzi ha ceduto la Chil alla famiglia Massone che poi l’ ha fatta fallire, ha salvato con la cessione di un ramo di azienda Matteo Renzi e il suo Tfr. La Chil ha ceduto l’ azienda alla Eventi 6. Nel ramo c’ erano due soli dipendenti: Matteo Renzi (tfr allora ammontante a 28 mila euro) e Lucia Pratellesi.
Ora scopriamo che la società che ha garantito a Renzi una pensione e un tfr da dirigente “si sarebbe avvalsa del personale, formalmente assunto dalle cooperative le quali, non appena raggiunta una situazione di difficoltà economica, sono state dolosamente caricate di debiti previdenziali e fiscali e abbandonate al fallimento”. L’ ex premier non c’ entra, ma la società che lo ha pagato è la stessa. Può Matteo Renzi far finta di niente?
mercoledì 20 febbraio 2019
Travaglio lancia un siluro a Renzi: "Arresti abnormi? Dovevano finire in galera!"
Marco Travaglio nel suo editoriale di oggi commenta le dichiarazioni di Matteo Renzi sull’arresto dei suoi genitori, accusati di bancarotta fraudolenta e false fatturazioni insieme all’imprenditore ligure Mariano Massone.
L’ex premier ieri si è sfogato dicendo: “I domiciliari per i miei genitori sono abnormi”.
Travaglio osserva sul Fatto Quotidiano: “E ha ragione: due persone normali, con quelle accuse, sarebbero in galera”.
Il giornalista scrive anche che “Renzi apprendeva dell’arresto dei genitori e strillava al complotto a orologeria dei magistrati per eliminarlo per via giudiziaria (come se non ci avessero già pensato più volte gl’italiani per via elettorale) e impedirgli di ‘cambiare l’Italia’, senza neppure pagare il copyright al titolare di quelle parole d’ordine'”.
Ovvero Silvio Berlusconi, il quale “gli manifestava la piena solidarietà, rammentandogli però che con la sua ‘riforma della giustizia’ certe sconcezze – tipo l’arresto di due sospettati di più bancarotte fraudolente con 724 mila euro di fatture false o gonfiate – non accadrebbero più”.
Travaglio ne ha anche per il Partito Democratico, che “si autoimbavaglia sulla loro svolta impunitaria pro Salvini, impegnato com’è a difendere non un ministro indagato per una scelta di governo, ma due privati cittadini fermati dai gendarmi per evitare che continuassero a costruire società fittizie, intestarle a prestanome, svuotarle e poi farle fallire”.
Giarrusso Show. Mima le manette e sfotte Renzi: “Mio padre e mia madre sono regolarmente a casa: altri sono ai domiciliari”
La bagarre, orchestrata dal Pd, deflagra nel cortile di Sant’Ivo alla Sapienza, all’ingresso della Giunta delle immunità del Senato, dopo la votazione che ha negato l’autorizzazione a procedere avanzata dal Tribunale dei ministri di Catania nei confronti del vicepremier Matteo Salvini. Ma l’obiettivo della protesta dem, ha un nome e un cognome: il commissario M5S, Michele Giarrusso. Non a caso risparmiano Maurizio Gasparri, De Poli, perfino il leghista Pillon. Aspettano che il senatore siciliano esca dall’aula e partono all’attacco: “Sei un burattino”; “vergognati”; “ti piace la poltrona?”; “restituisci tutto lo stipendio”.
Lui se la ride, quasi divertito. Poi, all’improvviso, il gesto che non ti aspetti per ribaltare la frittata e passare da accusato ad accusatore. “Non accettiamo lezioni di onestà da chi ha parenti e amici agli arresti”, taglia corto Giarrusso verso i colleghi del Pd, mimando loro il gesto delle manette. “In galera non ci siamo noi, ai domiciliari ci sono altri…”, ribadisce il concetto poco dopo parlando con i cronisti. “Mio padre e mia madre sono regolarmente a casa: altri sono ai domiciliari. E poi sono loro che parlano di onestà?”, riferimento per nulla velato all’inchiesta dei magistrati di Firenze che hanno disposto i domiciliari per il padre e la madre dell’ex premier, Matteo Renzi.
“Il Movimento è compatto – ha aggiunto Giarrusso -. E’ una grande festa della democrazia”. Il voto di lunedì sulla piattaforma Rousseau “non ha precedenti nella storia”, insiste l’esponente M5S rivendicando tanto la decisione di sottoporre la questione Diciotti agli iscritti del Movimento quanto il voto contro l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini. Prima dell’ultimo affondo contro il Partito democratico: “Sono loro che dovrebbero vergognarsi per quello che hanno fatto – conclude Giarrusso -. Loro e i loro parenti per distruggere l’Italia”.
Diciotti, altra vittoria del Governo. Archiviate le accuse per Conte, Di Maio e Toninelli
La Procura di Catania ha chiesto l’archiviazione per il premier Giuseppe Conte, per il vicepremier grillino Luigi Di Maio e il ministro per le Infrastrutture Danilo Toninelli, indagati nell’ambito dell’inchiesta sul caso Diciotti. I magistrati hanno già notificato la richiesta a Palazzo Chigi quattro giorni dopo aver ricevuto dalla giunta del Senato, gli atti tra i quali c’era la memoria del ministro dell’Interno Matteo Salvini, indagato per sequestro di persona, nella quale i tre componenti dell’esecutivo hanno sottolineato che la scelta sulla nave Diciotti era di tutto il governo. Proprio ieri la Giunta del Senato ha respinto l’autorizzazione a procedere per Salvini. Che i giudici vogliano punire solo il leader della Lega?
"Colpa dei 5 stelle se i miei sono al gabbio" Delirio Renzi, cosi l'ebetino sta sbavando rabbia da tutti i pori
Non ci sta, Matteo Renzi. La reazione all’arresto dei suoi genitori, Tiziano Renzie Laura Bovoli ora confinati ai domiciliari, arriva anche in un colloquio con il Corriere della Sera, firmato da Maria Teresa Meli, da sempre vicinissima al fu rottamatore. Renzi punta il dito: “Giuridicamente l’arresto è un’assurdità totale – ribadisce -, e quindi è meglio tenere la partita sul piano giuridico. Faranno fatica a giustificare quel provvedimento cautelativo. E se io facessi la conferenza stampa a butterei troppo in politica”.
Dunque, picchia durissimo sul tempismo sospetto dell’operazione: “Tanto di cappello per il capolavoro mediatico dell’arresto di due settantenni qualche minuto prima delle sette di sera e per l’oscuramento dell’esito del voto dei 5 Stelle, ma io non risponderò alle provocazioni, non farò nessun fallo di reazione”. Parole pesantissime, perché pur senza dirlo in modo esplicito, Renzi spiega di vedere dietro a quanto successo una regia grillina: il M5s sapeva? Possibile, forse probabile. Per certo inquietante.
“Hanno messo al gabbio mia madre – prosegue l’ex premier -, di più non potevano fare. Ora loro hanno finito e inizio io”. E ancora: “Vorrebbero giudicarci tutti nelle piazze populiste e aspettare un mio fallo di reazione. C’è una tale campagna di odio contro di me… Lo sanno anche i sassi dove vogliono andare a parare. Però è da vigliacchi mettere in mezzo la mia famiglia – sottolinea Renzi -. Se la prendessero con me, avessero questo coraggio. Io sto qui, non mi muovo e non ho paura”:
martedì 19 febbraio 2019
Paragone che goduria, così sputtana la Merlino e le pagliacciate de La7: “Vuoi solo provocare, conosco il mestiere, ricordati che mi hanno cacciato”
“Myrta, lo so che ti piace fare i titoli, conosco il mestiere”, sbotta Gianluigi Paragone in collegamento con Myrta Merlino a L’aria che tira, su La7. “Sì”, ribatte la conduttrice, “Lo facevi anche tu”. E il senatore pentastellato: “Lo facevo bene. Talmente bene che infatti il mio programma lo hanno chiuso”, dice livoroso. La Merlino non fa una piega. Le interessava solo una risposta di Paragone sulla scelta politica a favore di Matteo Salvini espressa dalla piattaforma Rousseau. Ma lui evidentemente voleva solo togliersi un sassolino dalla scarpa, come quando alla fine invia i saluti al direttore Andrea Salerno e Myrta gli assicura: “non mancherò”.
GUARDA IL VIDEO:
Da mesi si sapeva che li volevano arrestare, ecco perchè Matteo Renzi intimidiva i giornalisti a suon di querele
Giacomo Amadori per “la Verità”
Tanto tuonò che piovve. Dopo essere stati coinvolti in diverse indagini Tiziano Renzi e sua moglie, Laura Bovoli, sono finiti agli arresti domiciliari con l’accusa di bancarotta fraudolenta e per emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti nella gestione di alcune cooperative fiorentine. I due genitori e i loro complici sono accusati di aver provocato «dolosamente» il fallimento di tre cooperative dopo averne svuotato le casse, incassando in maniera illecita svariati milioni di euro. I lettori di questo giornale erano già stati messi in guardia a dicembre su che cosa stesse bollendo presso la Procura di Firenze, tanto che titolammo «Renzi, svolta nell’ inchiesta per bancarotta».
E aggiungemmo «sviluppi clamorosi per i fallimenti di Marmodiv e Delivery, i cui amministratori di fatto, secondo gli inquirenti sono i genitori del premier. Decisivo anche il ruolo di Mariano Massone, già indagato con Tiziano a Genova». E infatti oltre ai genitori dell’ex premier è finito ai domiciliari anche Massone. Hanno tutti il divieto di colloqui tranne che con i famigliari e i difensori.
Da tempo a Firenze girava la voce che la Procura avesse chiesto al gip l’arresto di Tiziano Renzi e Laura Bovoli per la gestione di alcune cooperative andate in bancarotta. Per questo avevamo annunciato «sviluppi» clamorosi. Ma neanche in questo caso nessuno parve accorgersene. E Tiziano e suo figlio Matteo hanno preferito preparare querele contro i giornalisti colpevoli di denunciare le presunte malefatte dei Renzi imprenditori.
Avevamo anche scritto: «L’ ultima e definitiva battaglia tra la famiglia Renzi e la giustizia italiana si sta combattendo intorno a quel che resta della cooperativa Marmodiv di Firenze, per cui la Procura di Firenze ha chiesto il fallimento.
Il fascicolo è lo sviluppo dell’ indagine sul crac di un’ altra coop bianca (anche se per gli inquirenti non si tratta di vere cooperative), la Delivery service Italia, e potrebbe riservare clamorosi sviluppi. L’ inchiesta, condotta dal procuratore aggiunto Luca Turco, consentirebbe di collegare diversi episodi di bancarotta che in passato hanno riguardato fornitori della famiglia Renzi. Vicende raccontate solo su questo giornale e nei libri I segreti di Renzi 1 e 2».
L’INIZIO DELLA STORIA
Una parte importante dell’ inchiesta era partita dalla Procura di Cuneo che, indagando sul crac della Direkta srl, aveva incrociato alcune operazioni sospette con i Renzi e con la cooperativa Delivery service, riconducibile agli stessi genitori e a Massone. E proprio sul primo numero della Verità pubblicammo intercettazioni e sms riguardanti i due genitori e contenuti in quel fascicolo. Le carte vennero trasmesse a Firenze per competenza.
Gli amministratori che si sono succeduti nei vari cda sono tutti finiti sul registro degli indagati. Già nell’ ottobre 2017 avevamo elencato le prime iscrizioni eseguite per il fallimento della Delivery: quelle degli ex presidenti Pier Giovanni Spiteri, Pasqualino Furii (in rapporti d’ affari pure con la Marmodiv) e Simone Verdolin e dell’ ex vicepresidente Roberto Bargilli (ex autista del camper per le primarie di Matteo Renzi).
Ma l’ elenco si è via via allungato. Per esempio sono stati coinvolti nelle indagini anche i presunti amministratori di fatto, cioè i genitori di Renzi, ma pure lo storico socio d’ affari dei genitori dell’ ex premier, Mariano Massone, il cui padre Gian Franco venne nominato vicepresidente della Delivery praticamente a sua insaputa, esattamente come gli era accaduto con la Chil post, altra bad company trasferita con tutti i suoi debiti dai Renzi a Massone. Per quel crac Massone, nel 2016, ha patteggiato una pena di 26 mesi per il reato di bancarotta, mentre Tiziano dopo 29 mesi di indagini è stato archiviato. «Eppure i due sono personaggi dello stesso livello», era stato il secco giudizio di chi indaga a Firenze.
L’ inchiesta riguarda anche il crac della Europe service srl e la gestione della cooperativa Marmodiv per cui la Procura ha chiesto il fallimento e il 31 gennaio il giudice del tribunale fallimentare Silvia Governatori ha ordinato un’ ultima Ctu (consulenza tecnica d’ ufficio).
L’ azienda aveva cambiato gli amministratori a marzo (tutti soggetti di fiducia dei genitori di Matteo Renzi) e si era affidata a uomini selezionati da Massone. A maggio, secondo i pm, dalle casse della coop sarebbero stati distratti 270.000 euro e per questo ne hanno chiesto il fallimento nonostante il disperato tentativo di sistemare i conti cedendo l’ azienda alla Dpm di Massimiliano Di Palma, altra vecchia conoscenza del trio Tiziano-Laura-Mariano.
SUONA IL CAMPANELLO
Nella lista delle aziende fallite c’ è anche la Europe service, cooperativa gemella della fallita Delivery: avevano la sede legale allo stesso indirizzo rignanese e solidi legami con Alessandria, crocevia degli affari di Mariano Massone, ex coindagato di Renzi senior a Genova. Ieri è stata Laura Bovoli ad aprire la porta ai finanzieri alle 18.53. Dall’ altra parte c’ erano tre ufficiali con il provvedimento di arresto. Ma i guai non finiscono qui perché il 4 marzo i due genitori di Matteo Renzi sono attesi da un altro processo per emissione di fatture false del valore di circa 200.000 euro che sarebbero state pagate per operazioni fittizie.
Ieri Matteo Renzi ha commentato la notizia quasi in tempo reale e ha scritto sui social: «Sono costretto ad annullare la presentazione del libro a Torino per una grave vicenda personale. Da circa un’ ora mio padre e mia madre sono ai domiciliari. Ho molta fiducia nella giustizia italiana e penso che tutti i cittadini siano uguali davanti alla Legge. Dunque sono impaziente di assistere al processo. Perché chi ha letto le carte mi garantisce di non aver mai visto un provvedimento così assurdo e sproporzionato Mai. Adesso chi crede nella giustizia aspetta le sentenze. Io credo nella giustizia italiana e lo dico oggi, con rispetto profondo, da servitore dello Stato».
Poi ha parlato del suo travaglio personale: «Da figlio sono dispiaciuto per aver costretto la mia famiglia e le persone che mi hanno messo al mondo a vivere questa umiliazione immeritata e ingiustificata». L’ ex premier non ha rinunciato comunque a paventare l’ ennesimo complotto: «Se io non avessi fatto politica, la mia famiglia non sarebbe stata sommersa dal fango. Se io non avessi cercato di cambiare questo Paese i miei oggi sarebbero tranquillamente in pensione.
Dunque mi sento responsabile per il dolore dei miei genitori, dei miei fratelli, dei miei figli e dei miei nipoti. I dieci nipoti sanno però chi sono i loro nonni. […] E sanno che ciò che sta avvenendo è profondamente ingiusto».
Tuttavia non sono queste inchieste ad aver causato il declino politico dell’ ex leader del Pd, bensì i cittadini italiani, che alle elezioni del 4 marzo 2018 scelsero (in massa) di rottamare il Rottamatore. «Voglio che sia chiaro a tutti», ha concluso, prima di annunciare una conferenza stampa per oggi alle 16, «che io non mollo di un solo centimetro. La politica non è un vezzo personale ma un dovere morale. Se qualcuno pensa che si possa utilizzare la strategia giudiziaria per eliminare un avversario sappia che sta sbagliando persona».
LA SOLIDARIETÀ DEL CAV
Parole che ricordano il Silvio Berlusconi di qualche anno fa, che è intervenuto subito sulla vicenda: «Credo che Renzi sia addolorato e che pensi che se lui non avesse fatto politica questo non sarebbe accaduto. È una cosa che non sarebbe accaduta se la sinistra avesse accettato di realizzare la nostra riforma della giustizia».
In tarda serata il legale della famiglia Renzi, Federico Bagattini, ha voluto confermare le parole di Matteo Renzi, parlando di «procedimenti difficilmente comprensibili» tenendo conto dell’ età dei due coniugi, entrambi incensurati, e delle accuse.
Nello stillicidio di dichiarazioni, non poteva certo mancare la pasionaria Maria Elena Boschi, icona della stagione del renzismo, ovviamente via social: «Continuo a credere nella giustizia, ma credo ancora più di prima che questo Paese abbia bisogno del coraggio di Matteo Renzi…». Hashtag: #SiamoTuttiMatteoRenzi.
I due vicepremier gialloblù, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, hanno scelto invece di non infierire sull’ avversario politico e, quasi all’ unisono, hanno scelto la linea del «niente da festeggiare».
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Rai,il Governo fa sul serio. Bloccato il contratto del servo dei servi Bruno Vespa
In vista delle elezioni europee, e del ribaltone ormai certificato dai sondaggi tra Lega e M5s, in Rai sono in corso le grandi manovre per mettere in atto i nuovi piani industriale e di informazione. Il primo sarebbe sulla scrivania dell’Ad Fabrizio Salini, finora tenutosi lontano dai riflettori scegliendo quindi di muoversi con discrezione. Ben più rumorosa invece si preannuncia l’azione del presidente Marcello Foa che, secondo il Fatto quotidiano, avrebbe tutte le intenzioni di mettere in pratica il piano di informazione, già fallito ai tempi della Rai renziana, mettendo nel mirino alcuni pezzi da 90 di viale Mazzini, a cominciare da Bruno Vespa.
Il contratto per la prossima stagione di Porta a porta per il momento non è stato rinnovato. L’idea di Foa, già anticipata in Commissione Vigilanza, è quella di tagliare ancora i compensi e razionalizzare le risorse, quindi la speranza del presidente Rai è di sedersi a un tavolo con Vespa per rimettere tutto in discussione. Le novità potrebbero riguardare innanzitutto lo stipendio del conduttore, oggi di 1,2 milioni di euro, oltre che il numero delle puntate settimanali, che al momento sono tre. C’è ancora chi si illude di costringere Vespa ad accettare il tetto di 240 mila euro imposto ai giornalisti Rai, ma di sicuro Foa punta a una riduzione del suo stipendio, anche per tranquillizzare i malumori grillini.
Taglio stipendi ai parlamentari, la Mussolini sbava di rabbia: "Se lo fate ci ammazziamo"
Il taglio dei vitalizi è un argomento caldo che ha riscosso e continua a riscuotere tantissime proteste da entrambi i rami del Parlamento. L’idea è quella di ricalcolare tutti i vitalizi percepiti sulla base del sistema contributivo e se molti vedono la ‘sforbiciata’ come un decisivo un passo avanti per dire “addio alla casta”, l’onorevole Alessandra Mussolini è di avviso opposto. La nipote di Benito Mussolini è infatti una tra i più grandi oppositori della proposta di abbassare le indennità a 5000 euro e si è schierata in prima linea contro il taglio.
“È come se ci mandassero nudi per strada. Poi è ovvio che uno si ammala, prende l’influenza, si aggrava, arriva la polmonite e quindi…”, ha detto a Tommaso Labate in un’intervista al settimanale “A”. Per lei, insomma, il taglio dei vitalizi sarebbe “un’istigazione al suicidio”. E “per colpa di pochi, quelli che si sono arricchiti con la politica e i soldi sottobanco, paghiamo tutti”, ha proseguito.
“Per i cittadini soffriamo ancora poco. Vogliono vederci soffrire ancora di più. Se abbassassero i nostri stipendi a 1. 000 euro al mese, la gente ci vorrebbe veder prendere 500 euro”, ha aggiunto la Mussolini. “I membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge”, recita l’articolo 61 della Costituzione italiana e spetta agli Uffici di Presidenza delle Camere il compito di determinare l’ammontare dell’indennità mensile.
Entrando nel dettaglio, i deputati hanno diritto a un’indennità lorda di 11.703 euro. Al netto sono 5.346,54 euro mensili più una diaria di 3.503,11. Impossibile dimenticare il rimborso per spese di mandato pari a 3.690 euro. A questi numeri che da sé fanno rabbrividire, si aggiungono 1.200 euro annui di rimborsi telefonici e da 3.323,70 fino a 3.995,10 euro ogni tre mesi per i trasporti.
I senatori invece ricevono un’indennità mensile lorda di 11.555 euro. Al netto la cifra è di 5.304,89 euro, più una diaria di 3.500 euro cui si aggiungono un rimborso per le spese di mandato pari a 4.180 euro e 1.650 euro al mese come rimborsi forfettari fra telefoni e trasporti. Dunque a conti fatti, i senatori guadagnano ogni mese 14.634,89 euro contro i 13.971,35 euro percepiti dai deputati.
“I Renzi vanno arrestati o non si fermeranno” Ecco le carte che hanno obbligato il tribunale ha dato l’ok ai domiciliari
Per Matteo Renzi “chi ha letto le carte e ha un minimo di conoscenza giuridica sa che privare persone della libertà personale per una cosa come questa è abnorme”. Secondo l’ex premier, insomma, gli arresti domiciliari per i suoi genitori, accusati di bancarotta fraudolenta e false fatture dalla Procura di Firenze, sono un provvedimento esagerato. A leggere l’ordinanza del gip Angela Fantechi la realtà è ben diversa. Le date, in questo caso, sono fondamentali per comprendere la ratio della misuracautelare. La richiesta di arresti da parte dei pm titolari dell’inchiesta è datata 26 ottobre 2018: il giorno prima la procura di Cuneo aveva chiesto il rinvio a giudizio per Laura Bovoli (madre dell’ex Rottamatore), accusata di concorso in bancarotta fraudolenta per il crac della Direkta srl. Indagando sui conti di quest’ultima società, gli inquirenti piemontesi hanno scoperti alcuni intrecci con aziende legate ai Renzi, tra cui la Delivery Service e, soprattutto, la capofila Eventi 6, su cui i magistrati fiorentini stavano già indagando in altri filoni d’inchiesta. È l’inizio di un’indagine complessa che passa a Firenze per competenza e coinvolge la gestione di altre società, la Europe Service e, sopratutto, la Marmodiv, per cui i pm avevano già chiesto il fallimento il 4 settembre 2018. Scattano le perquisizioni e il 31 gennaio 2019 la Procura del capoluogo toscano ordina un’ultima consulenza tecnica d’ufficio proprio sulla Marmodiv. Quest’ultimo non è un particolare di poco conto: non si tratta di una situazione già chiusa, ma assolutamente in divenire. E che determina la scelta del gip di concedere gli arresti domiciliari a quattro mesi dalla richiesta del pm (istanza presentata il 26 ottobre, firmata il 13 febbraio).
Nell’ordinanza del giudice Fantechi la decisione è spiegata con dovizia di particolari: “Sussiste il concreto ed attuale pericolo che gli indagati commettano reati della stessa specie di quelli per cui si procede (tributari e fallimentari), ciò emerge dalla circostanza che i fatti per cui si procede non sono occasionali e si inseriscono in un unico programma criminoso in corso da molto tempo, realizzato in modo professionale con il coinvolgimento di numerosi soggetti nei cui confronti non e stata avanzata richiesta cautelare e pervicacemente portato avanti anche dopo l’inizio delle indagini“. Quindi: “Unico programma criminoso in corso da molto tempo”, “pervicacemente portato avanti anche dopo l’inizio delle indagini”. Il dato cronologico, a leggere il provvedimento del gip, diventa determinante proprio quando si parla della Marmodiv: “Attualmente, è in corso di compimento, da parte di Renzi Tiziano e Bovoli Laura, la fase dell’abbandono della Marmodiv ed è del tutto verosimile ritenere che, ove non si intervenga con l’adozione delle richieste misure cautelari, essi proseguiranno nell’utilizzo di tale modus operandi criminogeno, coinvolgendo altre cooperative, risulta poi pendente la richiesta di fallimentodella Marmodiv avanzata dal P.M.”.
Domanda: ma non bastava l’interdizione all’attività imprenditoriale? Per il giudice Fantechi evidentemente no. E lo spiega così: “Sul punto occorre rilevare che avendo gli stessi rivestito ruoli di amministratori di fatto e avendo gli stessi agito tramite ‘uomini di fiducia’ non è possibile ritenere sufficiente una misura quale il divieto di esercitare uffici diretti di persone giuridiche ed imprese, atteso che essa consentirebbe di impedire agli indagati di rivestire solo cariche formali, lasciandoli invece liberi di agire con condotte assai più subdole e pericolose perché di più difficile accertamento“. Provvedimento esagerato, quindi? Sarà il tribunale del Riesame a dirlo. Fatto sta che il giudice per le indagini preliminari non ha avuto dubbi, tanto è vero che non ha neanche concesso la sospensione della pena a causa della “gravità concreta dei reati per cui si procede e la loro esecuzionein un contesto temporale rilevante”. Riferendosi a Tiziano Renzi e Laura Bovoli, poi, il gip Fantechi parla di “condotte volontarie realizzate non per fronteggiare una contingente crisi di impresa, quanto piuttosto di condotte imprenditoriali finalizzate a massimizzare il proprio profitto personale con ricorso a strategie di impresa che non potevano non contemplare il fallimento delle cooperative”. Insomma: Tiziano e Laura andavano fermati subito. Che piaccia o no e a prescindere da quel cognome importate.
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Ecco perché il voto degli iscritti Cinque Stelle che ha salvato il ministro dell’Interno Salvini dal processo sul caso Diciotti, potrebbe ritorcersi contro il leader della Lega
Ostenta sicurezza il leader della Lega, Matteo Salvini. “Io preferisco la giuria popolare, piuttosto che le giurie di qualità che truccano i risultati, come a Sanremo”, si è persino lanciato in una metafora canora confidando nell’esito della consultazione degli iscritti M5S sulla piattaforma Rousseau, chiamati a pronunciarsi sull’autorizzazione a procedere per sequestro di persona in relazione alla vicenda della nave Diciotti richiesta al Senato nei suoi confronti dal Tribunale dei ministri. E a ragion veduta visto l’esito della votazione online: quasi il 60% ha detto no al processo.
FUGA DAL GIUDIZIO – Ma non è tutto. Tranquillizza sulla tenuta della maggioranza (“Per me il Governo non rischia, a prescindere da come vada”). Riferimento al verdetto, non solo della consultazione online della base Cinque Stelle, ma anche e soprattutto a quello della Giunta delle autorizzazioni di Palazzo Madama che si pronuncerà oggi sul caso. Affidando il suo messaggio urbi et orbi ad una serie interviste apparse ieri, in contemporanea, sulle pagine di Repubblica, Stampa e Messaggero. Eppure, nonostante lo scampato pericolo con il sigillo finale dell’alleato di Governo, archiviati i problemi giudiziari – il voto della stessa Giunta e dell’Aula del Senato sembra a questo punto solo una formalità – per Salvini potrebbero iniziare quelli politici. “Che succederebbe se Conte, Di Maio e Toninelli si facessero processare?”, si chiede un autorevole esponente M5S, alludendo ad un possibile scenario che, d’altra parte, è lo stesso Salvini a non sottovalutare. Non a caso, nel profluvio di interviste di ieri, il ministro dell’Interno ha lanciato un messaggio chiaro sull’epilogo che un’eventuale richiesta di autorizzazione a procedere recapitata anche al premier, Giuseppe Conte, all’altro vice, Luigi Di Maio, e al ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, dovrebbe avere. “Io mi auguro che anche loro si avvalgano del giudizio parlamentare – mette le mani avanti Salvini -. Sarebbe assurdo se ci fossero due trattamenti distinti per il ministro dell’Interno, da una parte, e per il premier e l’altro vicepremier, dall’altra”. Ma lo scenario che il vicepremier vorrebbe evitare è, al momento, tutt’altro che improbabile. All’indomani della lettera al Corriere della Sera con la quale il leader della Lega, dopo aver invocato più volte il giudizio, ha annunciato di volersi avvalere dello scudo previsto dall’articolo 96 della Costituzione, in molti tra gli alleati non hanno preso per niente bene la retromarcia de ministro. “Al posto di Salvini mi farei processare”, era stata, del resto, la posizione espressa da diversi esponenti M5S. Tradotto, Conte, Di Maio e Toninelli potrebbero decidere di non seguire l’esempio del segretario del Carroccio.
RISCHIO BOOMERANG – La decisione della Giunta del Senato di trasmettere alla procura di Catania la memoria difensiva dello stesso Salvini, contenente le lettere con le quali i colleghi di Governo hanno condiviso la responsabilità politica della scelta di ritardare lo sbarco dei migranti della Diciotti, ha messo in moto la Procura di Catania che ha iscritto Conte, Di Maio e Toninelli nel registro degli indagati. E se anche per loro, come avvenuto con Salvini, dovesse arrivare la richiesta di archiviazione, il Tribunale dei ministri potrebbe comunque chiedere nei loro confronti l’autorizzazione a procedere alla Camera d’appartenenza (per il premier che non è parlamentare deciderebbe Montecitorio). Rinunciando allo scudo e accettando di farsi processare, Conte, Di Maio e Toninelli metterebbero Salvini in una posizione molto scomoda. Offrendo all’opinione pubblica l’immagine di un ministro che scappa dal processo a differenza dei suoi colleghi di Governo. Un’arma straordinaria da utilizzare per recuperare terreno nella campagna elettorale per le Europee.