martedì 2 aprile 2019

15 anni per voto di scambio? FI e PD non ci stanno e protestano: "Così mezzo Parlamento va in galera"



Alla Camera dei deputati si discute la nuova legge sulle preferenze dei boss alla politica e i berlusconiani è in fibrillazione. La norma uscita dalla commissione giustizia di Montecitorio ai parlamentari di Silvio Berlusconi proprio non piace. E gli azzurri intervengono in ordine sparso: "Come si fa a sapere che uno è mafioso se non ce l'ha scritto in faccia?". "Questo disegno di legge scoraggia l'attività politica sul territorio. E rischia di coinvolgere anche la Lega. Poi rimane solo Rousseau"

Qualcuno dice di essere pronto a “chiudere la segreteria politica“. Qualcun altro profettizza: “Così si svuoteranno i comuni“. Di più: “Si rischia di trasferire il Parlamento dentro a una galera“. Tutti o quasi sono d’accordo: se davvero passasse questa riforma “si smetterebbe di fare campagna elettorale“. “Come si fa a sapere che uno è mafioso se non ce l’ha scritto in faccia?“, è la più retorica delle domande. Già come si fa? “Questo disegno di legge scoraggia l’attività politica sul territorio. E rischia di coinvolgere anche voi della Lega. Poi rimane solo Rousseau“.

Alla Camera dei deputati si discute la nuova legge sul voto di scambio e Forza Italia è in fibrillazione. La norma uscita dalla commissione giustizia di Montecitorio ai parlamentari di Silvio Berlusconi proprio non piace. La colpa è soprattutto di un emendamento approvato in commissione per punire tutti quei politici che prendono voti da mafiosi o intermediari di mafiosi. Non è necessario che l’appartenenza ai clan di questi “grandi elettori” sia nota oltre ogni ragionevole dubbio, come invece prevedeva la legge uscita dal Senato. Del resto – è il ragionamento dei 5 stelle –  gli accordi tra politici e boss si giocano sul filo dell’ambiguità. Nessuno va ad offrire voti presentandosi come esponente di Cosa nostra, ‘ndrangheta o camorra: “Buongiorno, sono un mafioso, li vuole i miei voti?”. In questo modo il politico potrà sempre dire: ma io come facevo a sapere chi erano? Chi li conosce? Faccio politica, vedo gente, prendo voti. È per questo motivo che a Palazzo Madama un emendamento di Fdi aveva annacquato il ddl originario, con il bene placido dello stesso Mario Giarrusso, che tra l’altro è relatore del provvedimento. Con la legge approvata al Senato si poteva punire solo il politico che accetta voti “da parte di soggetti la cui appartanenza alle associazioni di cui all’articolo 416 bis sia a lui nota“. A Montecitorio, dunque, hanno fatto saltare quelle tre parole, quel “sia a lui nota“. Tanto è bastato per scatenare i berlusconiani, intervenuti in ordine sparso. “Come si fa a sapere che uno è mafioso se non ce l’ha scritto in faccia? Io non sono tenuta a sapere se uno è mafioso. Vuol dire non potere più fare campagna elettorale. Si farà solo su Rousseau“, dice l’onorevole Giusi Bartolozzi, che prima di entrare a Montecitorio faceva la giudice in Sicilia.  “Questa è la seconda puntata di un film dell’orrore”, aggiunge la collega Matilde Siracusano. Ma quale era la prima? “L’anticorruzione“, spiega la deputata azzurra, proponendo un emendamento per tornare alla formulazione del Senato, inserendo quel “sia a lui nota” che salverebbe i politici presunti inconsapevoli del voto dai clan. “Chi non lo vota, mafioso è“, dice Vittorio Sgarbi. Quell’emendamento non lo votano e quindi non passa.



Jole Santelli è un fiume in piena. “Ma chi sono i soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’articolo 416-bis?, si chiede. Rispondendosi da sola: “Ipoteticamente con questa legge è un problema parlare con una persona che magari ha dei legami ma che poi non è indagato. La verità è che quest’aula è sempre influenzata dall’accento di chi interviene. Ci sono colleghi eletti in Lombardia che ritengono di non essere toccati da questi problemi. Ma non è così”, continua appellandosi agli alleati a corrente alternata del Carroccio. “La Lega non può assistere inerme a questo scempio. I colleghi della Lega, avendo incassato la legittima difesa ritengono di doversi prendere questo schifo”, si lamenta, visto che i banchi del governo sono occupati solo da esponenti del Movimento 5 stelle. Quelli di Matteo Salvini non partecipano al dibattito: hanno ottenuto l’approvazione della legittima difesa e dunque disertano in blocco i lavori per il voto di scambio politico mafioso.

Ci sono solo i grillini, che spingono per la riforma. Ma per Carlo Fatuzzo, storico leader del partito dei Pensionati, con una legge così “il rischio è quello di fare il Parlamento dentro una galera“. Più moderata Daniela Ruffino: “Con questa legge si svuoteranno le aule dei consigli comunali. Non avete mai fatto la fatica per andare ad amministrare un piccolo comune”. Per Mario Occhiuto la legge del voto di scambio “scoraggia l’attività politica sul territorio e condanna molte zone all’isolamento. Chi andrà ad avvicinare certi cittadini, a fare campagna elettorale in zone come la Sicilia, la Campania, la Calabria?”. Sembra quasi che nel Sud Italia siano tutti mafiosi.  “Io chiuderò la segreteria politica“, annuncia quindi Felice D’Ettore. Il sardo di Fratelli d’Italia Salvatore Deidda fa un esempio pratico: “ Se siete in un bar di Orgosolo (in provincia di Nuoro, ndr) provate a non stringere la mano a uno dell’Anonima sequestri. Come fate a riconoscerlo? Come fate a rifiutargli il saluto? Perché non ci provate a farlo? Questo vuol dire mettersi d’accordo con una persona?”.

Secondo Luigi Casciello la legge avrà un effetto opposto a quello previsto: “Consegnerà alla criminalità organizzata la selezione della classe dirigente”. Ma in che senso, visto che la legge punisce con il doppio della pena i politici eletti con i voti dei clan? In teoria, dunque, è vero il contrario: sarà sempre più pericoloso avvicinarsi ai mafiosi. E infatti Casciello non si riferisce ai mafiosi ma  “ai pentiti“, cioè agli eventuali collaboratori di giustizia che da boss si trasformano in accusatori dei politici. “Inserire quel consapevolmente vuol dire mettere in mano ognuno di noi ai gruppi mafiosi”, sostiene. L’onorevole Pierantonio Zanettin invita i colleghi all’umiltà: “Non riteniamoci immuni all’infiltrazione dei mafiosi. La prima garanzia che dobbiamo avere rispetto a certe cose che ci possono arrivare dalle procure è la consapevolezza“. Certe cose che ci possono arrivare dalle procure si intuisce essere gli avvisi di garanzia. Qui l’onorevole portavoce Andrea Colletti dei 5 stelle è costretto a replicare con una punta di malizia: “Questo discrimine tra consapevolezza e inconsapevolezza è curioso farselo ricordare da Forza Italia, di cui uno dei fondatori è un soggetto condannato per concorso esterno in associazione mafiosa“.  Il riferimento ovviamente è per Marcello Dell’Utri. Il Pd Enrico Borghi non condivide la valutazione del pentastellato e interviene per difendere Forza Italia: “Smemorato collega che ha votato con un partito definito in quei termini – afferma rivolto a Colletti – Si sciacqui la bocca prima di parlare“. E in effetti i 5 stelle hanno appena votato con Forza Italia la legittima difesa. Il riferimento a Dell’Utri, però, fa perdere le staffe a Giorgio Mulè: “Questo è un dibattito incardinato sui binari della miseria. Stiamo bestemmiando la verità. L’intermediario non ha la coppola e la lupara. E anche il migliore ministro dell’Interno finisce in galera. Le campagne elettorali così non si potranno più fare. Vi dimenticate i mercati. Chiunque farà il kamikaze dell’antimafia. Rendetevene conto”.

Ce l’ha con gli intermediari politici-boss anche Francesco Paolo Sisto: “Questa cosa dà la possibilità di perseguire senza sosta chiunque. In questo Paese basta una notizia su facebook per essere cacciati da un partito. Bene, in questo Paese noi inseriamo la figura dell’intermediario nello scambio politico elettorale di voti di matrice mafiosa. Nella passata legislatura noi avevamo una norma migliore. Puniva i voti raccolti con matrice mafiosi, non i contatti mafiosi”. Però secondo la Cassazione quella legge approvata dal centrosinistra ha reso il voto di scambio più favorevole al reo.  L’onorevole bolognese Galeazzo Bignami, quindi, decide di inserire nel dibattito una fattispecie mai citata da nessuna riforma, di destra, sinistra o centro: la stretta di mano.  “Conoscono tanti colleghi della Lega – dice –  che sanno perfettamente cosa significa stringere le mani“. Quali mani? Il ddl punisce il voto di scambio, solo quello. E infatti Erasmo Palazzotto di Liberi e Uguali cerca di conferire (con scarso successo) un minimo di serietà al dibattito: “Questa è un provvedimento delicato. Qui non si sta parlando di chi stringe la mano a chi: o siete in malafede o non sapete di cosa state parlando”. Tra i berluscones, però, l’umore è molto diverso. Lo fa notare il grillino Filippo Perconti, che interviene ma non sul merito della legge: “Ci dicono che non abbiamo senso delle istituzioni, ma quale è il senso delle istituzioni del collega Cannizzaro che dice alle nostre colleghe di stare a cuccia? Sarà che siamo vicini alla festa della donna?“.

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