lunedì 31 dicembre 2018

"Una senatrice del PD ha rubato i soldi dati in beneficienza da Gigi Proietti, ecco le prove" Gravissima accusa di un cittadino contro il PD





Alessandro Maiorano ancora una volta getta "ombre" sull'onestà del PD quando era al potere Nazionale e non. Non solo continua la sua lotta sugli sprechi di Renzi, adesso lancia un accusa che, se fosse confermata, sarebbe gravissima.
 Sul suo profilo twitter infatti, Alessandro Maiorano, accusa l'ex senatrice del PD, Stefania Pezzopane di essersi appropriata illecitamente di 77 mila su 150 mila donati dall'attore Gigi Proietti in beneficienza.










"Fai politica, fuori dalle balle" Il Governo sta per silurare Tito Boeri dall'INPS



Ribaltone all'Inps, il presidente Tito Boeri fatto fuori "per decreto" dal governo. Secondo quanto riporta il Giornale, nel decreto che conterrà reddito di cittadinanza e Quota 100 ci sarà anche una mini riforma dell'istituto previdenziale. Addio al presidente unico, si tornerà a una gestione collegiale in mano a un consiglio di amministrazione.

La misura ovviamente non riguarda solo Boeri (il suo mandato scade "naturalmente" a febbraio) ma il futuro di un istituto da 400 miliardi di euro l'anno. I criteri di nomina del CdA saranno quelli classici: "un decreto al ministero competente (quello del Lavoro in questo caso) con parere vincolante delle commissioni parlamentari competenti". Lo scenario, sottolinea il Giornale, potrebbe vedere anche un nuovo consiglio tutto a marca M5s-Lega, in maggioranza nelle commissioni.


“MA QUALE AUMENTO DELLE TASSE!” PARAGONE SMASCHERA LE BALLE DI REPUBBLICA E CORRIERE



di Gialuigi Paragone (deputato M5S)

Visto che i giornali ne danno una lettura storpiata, in questo video vi racconto come stanno davvero le cose. Il racconto dei giornali sulla manovra è daltonico. Repubblica e il Corriere della Sera non vogliono vedere cosa c’è realmente scritto.


Ecco chi pagherà più tasse от Mag 24 informazione indipendente на Rutube.

NAPOLITANO, LA VERITA’ SVELATA: ANNI DOPO, IL RAPPORTO CHE CONFERMA IL SUO INFAME TRADIMENTO AI DANNI DEL POPOLO



Il 2018, l’anno del crollo di Giorgio Napolitano. Politicamente, sottolinea Antonio Napoli su Italia Oggi, il ritorno al proporzionale e il ruolo finalmente di arbitro imparziale del Quirinale, con Sergio Mattarella, rappresentano la nemesi di Re Giorgio, che per quasi 10 anni ha interpretato il ruolo in modo debordante.

Dal 2011, “il ruolo giocato dalla Presidenza della Repubblica in questi anni cruciali è stato unanimemente riconosciuto come centrale. Per cui (pur apprezzando lo straordinario impegno personale profuso) non si può non partire da un bilancio fallimentare della presidenza Napolitano”. I suoi obiettivi più volte sbandierati, anche durante “la drammatica rielezione del 2013”, sono stati tutti mancati: “Non siamo approdati ad alcuna riforma costituzionale” e, “unico caso in Europa, si è venuto maturando un successo enorme delle forze populiste” che, ironia della sorte, “ora governano pure insieme”. Poi, impossibile dimenticarlo, “le politiche di austerità volute dalle leadership europee, e che Napolitano ha condiviso e sostenuto, hanno prodotto una spaccatura insanabile tra élite e popolo, fino a condurre in tutta Europa e negli Stati Uniti alla sconfitta storica della sinistra democratica”, col Pd passato in 10 anni (di cui 6 al governo) da 12 a 6 milioni di voti. Qualcuno ringrazia, ma non è chi sperava Napolitano.

SALVINI E DI MAIO SONO UN ESEMPIO IN TUTTO IL MONDO: il guru di Trump come il Financial Times fa i complimenti al governo italiano



“La chiamiamo la scuola dei gladiatori, la chiave è formare agenti di cambiamento”: è la formula della scuola di Steve Bannon, l’ideologo americano che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca, per la certosa di Trisulti, l’abbazia benedettina che farà da centro propulsore per il suo The Movement, il movimento per connettere i populisti europei, dove ieri c’è stata una manifestazione per fermare il progetto. “Fantastico – ribatte Bannon parlando al Corriere della sera -. Anche che non penso che capiscano che porteremo lavoro gente negli hotel e nei ristoranti, rendendo omaggio alle origini del monastero”.

Bannon dice di ispirarsi alla sinistra e al finanziere americano George Soros. “Sono al 100% contrario alla sua ideologia, ma ammiro sempre chi ottiene risultati. Soros forma persone orientate all’azione”, ha spiegato in un’intervista al Corriere della Sera. E aggiunge: “Il 2019 sarà un anno straordinario per i populisti.

“Quando giro per il mondo, dico a tutti: guardate Salvini e Di Maio, non si vedono spesso politici moderni pronti a mettere da parte le differenze per lavorare insieme come hanno fatto loro sul bilancio”. Steve Bannon, l’ex stratega di Donald Trump, non ha mai nascosto il suo apprezzamento per i due vicepremier del governo italiano e lo ripete. In una rassegna dei politici in campo, in vista delle elezioni europee, Bannon, che parla di “maturità da statista” per Salvini, vede invece il presidente francese, Emmanuel Macron, “in una spirale mortale perché non ha ascoltato il suo popolo”. Quanto alla cancelliera tedesca, Angela Merkel, non ne apprezza l’ideologia, “ma è una dura” e lui ammira “le persone tenaci”.

Infine la politica e un suo diretto coinvolgimento. “Ridicolo”: liquida così Steve Bannon l’ipotesi di una sua candidatura alla Casa Bianca. “Non ho aspirazioni politiche, sono uno che opera dietro le quinte”, ha aggiunto in un’intervista al Corriere della Sera.Piuttosto per Bannon, è l’ex sindaco di New York, il miliardario Michael Bloomberg, l’uomo “da tenere d’occhio” per le elezioni presidenziali americane del 2020 come antagonista del presidente Donald Trump

SINDACATI SPA: ECCO I BILANCI MILIONARI DELLA PEGGIO CASTA. COME UNA MULTINAZIONALE SENZA AVER MAI LAVORATO UN SOLO GIORNO



Per Susanna Camusso è quasi un’ossessione. Da quando si è insediata al vertice della Cgil (il 3 novembre 2010) si è arrampicata 67 volte su palchi di ogni ordine e grado per invocare trasparenza. La leader del più grande sindacato italiano se ne è poi però puntualmente dimenticata man mano si avvicinava la fine dell’anno e il momento per la Cgil di fare due conti sui contributi degli iscritti rastrellati nei dodici mesi.

Sì, perché il sindacato di corso d’Italia, che non è tenuto a farlo per legge, si guarda bene dal pubblicare un bilancio consolidato: come del resto i cugini di Cisl e Uil, si limita a mettere insieme in poche paginette i numeri che riguardano la sola attività del quartier generale romano. Spiccioli, rispetto al vero giro di soldi delle confederazioni, che negli anni si sono trasformate in apparati capaci di lucrare pure su cassintegrati e lavoratori socialmente utili (nell’ultimo anno l’Inps ha versato a Cgil, Cisl e Uil 59,4 milioni di trattenute su ammortizzatori sociali).

Ai primi di novembre 2014 ha mollato di colpo il suo incarico il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni: nel palazzo circolava un dossier dove si documentava l’impennata del suo stipendio dai 79 mila euro precedenti la nomina ai 336 mila del 2011. E quest’estate una mail di un dirigente della Cisl ha alzato il velo sulla retribuzione d’oro di alcuni suoi colleghi capaci di mettere il cappello su più incarichi: il presidente del patronato Inas-Cisl, Antonino Sorgi, per esempio, nel 2014 ha portato a casa 77.969 euro di pensione, più 100.123 per l’Inas e altri 77.957 per l’Inas immobiliare.

I soldi dunque li hanno. Ma sapere quanti è quasi impossibile. I veri bilanci dei sindacati sono uno dei segreti meglio custoditi del Paese. Loro si rifiutano di fornire dati esaustivi. E chi conosce le cifre preferisce non esporsi. Così, almeno su alcuni capitoli, bisogna andare per approssimazione. Vediamo.

IL TESORETTO DEI TESSERATI
Lo zoccolo duro delle finanze sindacali è la tessera, che ogni iscritto paga con una piccola quota dello stipendio di base (o della pensione). Nei bilanci delle tre confederazioni sono indicati complessivamente 68 milioni 622 mila 445 euro e 89 centesimi. Ma è una presa in giro bella e buona. Si tratta infatti solo delle quote trattenute dalle holding. Per avvicinarsi alla cifra vera bisogna seguire un altro percorso. Cgil, Cisl e Uil dichiarano di rappresentare tutte insieme 11 milioni 784 mila e 662 teste (che scendono in picchiata quando è il momento di versare i contributi alla Confédération Européenne des Syndicats, dove si paga un tanto per iscritto). I sindacati chiedono per l’iscrizione lo 0,80 per cento della retribuzione annua ai lavoratori attivi e la metà ai pensionati.

Conoscendo la ripartizione degli iscritti tra le due categorie, gli stipendi medi dei dipendenti italiani (25.858 euro lordi, secondo l’Istat) e le pensioni medie (16.314 euro lordi, per l’Istat), è dunque possibile fare il conto. La Cgil dovrebbe incassare 741 milioni di euro e rotti (loro ammettono poco più della metà: 425 milioni). Alla Cisl si arriverebbe a 608 milioni (in via Po parlano di 80 milioni circa). E la Uil intascherebbe 315 milioni (in via Lucullo ridimensionano a un centinaio di milioni).

Solo le tessere garantirebbero dunque quasi 1,7 miliardi. Ora: è possibile che i calcoli de “l’Espresso” siano approssimati per eccesso, se si considerano il mix degli iscritti (full-time, part-time, stagionali); la durata del versamento, non sempre ininterrotto; l’incidenza di eventuali periodi di cassa integrazione. Ma una cosa è certa: il tesoretto delle tessere non vale solo i circa 600 milioni e spicci che dicono Cgil, Cisl e Uil. Secondo quanto “l’Espresso” è in grado di rivelare, infatti, nell’ultimo anno solo l’Inps ha trattenuto dalle pensioni erogate, e girato a Cgil, Cisl e Uil, 260 milioni per il pagamento della tessera sindacale. Una cifra alla quale va sommata la quota-parte di competenza delle confederazioni sui 266 milioni che l’Inps incassa da artigiani e commercianti e poi trasferisce alle organizzazioni dei lavoratori per la tassa di iscrizione. Già con queste voci si arriva vicino alla somma totale ammessa da Cgil, Cisl e Uil. I conti dunque non tornano.

Fin qua abbiamo comunque parlato di soldi di privati e quindi di affari dei sindacati e di chi decide di finanziarli (anche se Cgil, Cisl e Uil non sempre giocano pulito: una serie di meccanismi impone a chi straccia la tessera di continuare a versare a lungo il suo obolo). Poi c’è, però, tutto il capitolo dei quattrini pubblici, dove la trasparenza non dovrebbe essere un optional. In prima fila si trovano i Caf, i centri di assistenza fiscale che aiutano i cittadini per la dichiarazione dei redditi (e intanto fanno proselitismo): in teoria sono cosa a parte rispetto ai sindacati, ma il legame è strettissimo.

La legge di Stabilità 2011 ha tagliato i loro compensi. Così piangono miseria, tanto più oggi con l’arrivo della dichiarazione precompilata, che toglierà loro clienti. Ma che presidino un business ricchissimo lo dimostra un fatto: per scardinare il loro monopolio è dovuta intervenire, il 30 marzo del 2006, la Corte di Giustizia Europea, che ha imposto al governo italiano di consentire la presentazione dei modelli 730 anche a commercialisti, esperti contabili e consulenti del lavoro.

All’Agenzia delle Entrate dicono che su 19 milioni, 41 mila e 546 dichiarazioni 2014 quelle passate dai Caf sono più di 17,6 milioni (il 92,6 per cento). Siccome i centri di assistenza incassano dallo Stato 14 euro per ogni dichiarazione (e 26 per i 730 presentati in forma congiunta dai coniugi) e il 45 per cento del settore è appannaggio dei sindacati è facile calcolare il loro giro d’affari: se anche le dichiarazioni che compilano e presentano fossero tutte singole (e così non è) si arriverebbe a più di 111 milioni. In questo caso, i dati ufficiali del ministero dell’Economia non si discostano troppo dalle stime: dicono che nel 2014 il Caf della Cgil ha incassato 42,3 milioni di euro (oltre ai contributi volontari della clientela), quello della Cisl 38,6 milioni e quello della Uil 15,5 milioni. Ai quali vanno sommati i 20,5 milioni che l’Inps ha versato nell’ultimo anno ai Caf confederali per i modelli 730 dei pensionati. E gli ulteriori 33,9 milioni sborsati sempre dall’istituto presieduto dal professor Tito Boeri a favore dei Caf confederali per la gestione di servizi in convenzione (dalle pratiche relative agli assegni di invalidità civile a quelle dell’Isee, l’indicatore per l’accesso alle diverse prestazioni assistenziali).
SOLO DALL’INPS 423 MILIONI
Poi ci sono i patronati, che forniscono gratuitamente servizi di assistenza a lavoratori e pensionati per prestazioni di sicurezza sociale e vengono poi rimborsati dagli istituti di previdenza. Secondo la “Nota sul finanziamento diretto e indiretto del sindacato”, messa a punto da Giuliano Amato su incarico dell’allora premier Mario Monti, solo nel 2012 l’Inps ha versato loro 423,2 milioni di euro (quattrini esentasse, per giunta, in base a una logica imperscrutabile).

Secondo quanto risulta a “l’Espresso”, a fare la parte del leone sono stati Inca-Cgil (85,3 milioni di euro), Inas-Cisl (65,5 milioni) e Ital-Uil (31,2 milioni). «Sembra evidente che il funzionamento dei patronati non comporti un finanziamento pubblico, sia pur indiretto, delle associazioni o organizzazioni promotrici (i sindacati, ndr)», ha scritto Amato nella sua relazione. Poi però lo stesso Dottor Sottile si è sentito in dovere di aggiungere una postilla: «C’è per la verità un’unica disposizione (non legislativa, ma statutaria) che può essere letta in questa chiave e cioè quella secondo cui, nel caso di scioglimento dell’ente (il patronato, ndr), è prevista la devoluzione dell’intero patrimonio di quest’ultimo in favore dell’organizzazione promotrice. Al di la di ciò…». Ma come sarebbe a dire “al di la di ciò”?

venerdì 28 dicembre 2018

“CON IL GOVERNO SOLO DISADATTATI, DISOCCUPATI, PENSIONATI” SMASCHERATA LA SPOCCHIA RADICAL-CHIC DELLA GIORNALISTA A LIBRO PAGA DEL CORRIERE



Capite perché la spocchia dei radical chic li ha portati ai minimi storici in tutto il mondo? La signora Rampino, “grande” giornalista illuminata appartenente a quell’élite che odia e disprezza il “popolo”, afferma in questo sconclusionato post che gli elettori di Salvini sono ignoranti e poco scolarizzati. Bene, intanto vorrei spiegare alla illustre collaboratrice de La Stampa, Repubblica, Corriere e responsabile comunicazione della Corte Costituzionale, che in italiano il nome fan è invariabile, cioè non cambia forma al plurale: non diventa fans. E poi quel “ci chi siano” che vuol dire? Non parlo del possibile errore di battitura ma della costruzione della frase, del tutto errata. Consecutio, questa sconosciuta.


Capra capra capra (cit.)

#chefiguradiM

E che sia di monito a chi crede che quelli di sinistra siano più bravi, più preparati e culturalmente superiori. Sono solo più bravi a fare squadra e ad occupare i posti di potere.

Basta con questi ingiustificati complessi di inferiorità. Sveglia.

FIANO COME I FASCISTI! COSI’ AGGREDISCE TUTTI ALLA CAMERA PUR DI EVITARE CHE SI VOTI LA MANOVRA



Ultime ore prima dell’approvazione della legge di bilancio. Proteste dell’opposizione perché il testo va in aula “senza discutere né votare” i circa 350 emendamenti che erano stati presentati: Emanuele Fiano (Pd), Enrico Borghi (Pd) e Carlo Fatuzzo (Fdi) hanno raggiunto i banchi della presidenza, sbattendo un fascicolo di emendamenti tra urla e insulti

È bagarre in Aula a Montecitorio dove è in corso la discussione dellalegge di bilancio, il cui via libera è atteso per il 29 dicembre, così da arrivare all’approvazione definitiva entro il 31 dicembre ed evitare l’esercizio provvisorio. Poco prima che iniziasse l’esame del testo, il presidente Roberto Fico ha dovuto sospendere la seduta per 10 minuti per le proteste inscenate dalle opposizioni. Emanuele Fiano (Pd), Enrico Borghi (Pd) e Carlo Fatuzzo (Fdi) hanno raggiunto i banchi della presidenza, sbattendo un fascicolo di emendamenti tra urla e insulti. Così Fico, tra le urla, ha sospeso la seduta e convocato la conferenza deicapigruppo “come richiesto dall’opposizione”. I rappresentanti delle opposizioni però, hanno subito abbandonato la capigruppo di Montecitorio per protesta contro il presidente Roberto Fico che non ha fatto votare la richiesta di sospensione dell’Aula.


"Avete fatto sempre gli interessi dei potenti": le parole di fuoco contro Renzi e compagni. Così Mentana li seppellisce letteralmente



Il tracollo del Pd deriva non dall’essere il partito “amico dei potenti”, ma dall’aver perso per strada il suo popolo. La sentenza di Enrico Mentana sulla crisi, forse irreversibile, del Partito democratico è spietata. I rapporti con i Benetton o con gli industriali c’entrano solo marginalmente.

“Il problema – spiega il direttore del TgLa7 al Fatto quotidiano – è se la sinistra mantiene i rapporti con gli imprenditori ma nel frattempo perde per strada operai, insegnanti e il ceto medio”. Un momento di rottura forte c’è stato nel 2014, con Matteo Renzi: “La sua idea di modernità si sposava più con Confindustria che con Susanna Camusso, però non dimentichiamo che Renzi alle Europee ha portato il Pd al 40%: non mi sembra si possa dire che gli italiani volevano un Partito degli affari”. Per vent’anni il centrosinistra e il mondo imprenditoriale che non voleva Silvio Berlusconi al governo hanno cercato e trovato una legittimazione reciproca: “Quando Alessandro Profumo e Corrado Passera sostenevano Romano Prodi alle primarie il tema non si poneva. Il problema, semmai, è che c’ è stato un divorzio sentimentale tra il Pd e la sua base”. Esempio perfetto, la riforma della Buona Scuola di Renzi, riuscito nel “capolavoro di fare 150mila assunzioni scontentando allo stesso tempo i nuovi assunti – che venivano mandati lontano da casa – e tutti quelli che erano rimasti fuori dal programma”.

“LA MIA ESPERIENZA? DURERA’ 5 ANNI POI LIBERERÒ LA POLTRONA” LA STREPITOSA LEZIONE DI CONTE AI POLITICANTI TUTTI, PERENNEMENTE ALLA CACCIA DI UN’INCARICO PARASSITARIO



Così il Presidente Conte si è espresso durante la consueta conferenza stampa di fine anno: “L’amalgama che rispetta i due colori” il giallo di M5S e verde della Lega “secondo me – afferma Conte – durerà 5 anni. Anche perché serve tempo per realizzare un processo riformatore”. “Ad esempio per la semplificazione servirà tempo e quello è un progetto riformatore di cui il Paese ha bisogno come il pane. Tradire la prospettiva di realizzare un progetto riformatore sarebbe un grave errore anche agli occhi dei cittadini che ci hanno votato”. Conte definisce poi la sua esperienza di governo “una parentesi meravigliosa ma ben determinata”. “La legislatura – aggiunge – dura 5 anni e poi libero la poltrona”. Sull’ipotesi di un rimpasto di governo, il premier dice: “Francamente siamo nel periodo ipotetico del terzo, quarto, quinto grado…”.

RAI,CHE SCANDALO! 218 MILIONI DI EURO PER GLI STIPENDI D’ORO DEI GIORNALISTI POLITICIZZATI




Da www.quifinanza.it


Mamma Rai è sempre stata oggetto di polemiche riguardanti costi e compensi esorbitanti pagati, ma da qualche anno a questa parte, i toni sono diventati sempre più accesi. È così che a dicembre si è aperto di nuovo il dibattito su stipendi in casa Rai ritenuti troppo alti da esponenti del Governo. Nell’audizione alla Commissione di vigilanza Rai, il ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro ha dichiarato: “Esiste un caso Fazio in Rai. Spero che faccia parte il prima possibile delle azioni che si porteranno avanti all’interno della Rai per quanto riguarda le retribuzioni e anche l’ingegneria delle società di produzione”.

Di Maio ha continuato: “Il nostro obiettivo è che le retribuzioni in Rai vengano assegnate e pagate senza un’ingegneria legata a società esterne e società di produzione”. D’altronde, il compenso di Fabio Fazio è da anni oggetto di discussione: il presentatore percepisce uno stipendio dalla Rai, per un totale di 2 milioni e 240 mila euro all’anno ed in passato era stato contrario alla delibera che fissava a 240 mila euro all’anno il tetto massimo di compensi per i dipendenti Rai.

Chi sono però realmente i dipendenti Rai e quanto costano alla tv pubblica? Stando ai dati più recenti disponibili, nel 2016 le uscite per il personale sono ammontate a 847.551.467 milioni di euro per un totale di 12.039 dipendenti. Tra le voci di spesa, quella a pesare maggiormente racchiude gli addetti allo spettacolo e all’intrattenimento: i numeri parlano di 5474 dipendenti che costano 325,56 milioni di euro.

Segue quindi il settore amministrativo, che comprende 3731 dipendenti per un costo di 228,6 milioni di euro. Ci sono poi 1393 giornalisti non dirigenti, che portano via alle casse della Rai 173,5 milioni di euro. I giornalisti dirigenti sono invece 296 e incassano 44,7 milioni, poco più dei 277 dirigenti d’azienda che guadagnano 40,9 milioni di euro.

La Rai però si avvale anche di collaboratori esterni, dai semplici attrezzisti ai grandi consulenti e presentatori. In totale sono 11.900, divisi in diverse fasce di stipendio. Di questi infatti 10.046 guadagnano ogni anno meno di 10.000 euro e pesano per poco più di 10 milioni sul bilancio. Seguono poi 1.006 collaboratori che ricevono tra i 10 mila e i 30 mila euro e pesano sul bilancio con 19 milioni di euro. Tra i 30 e i 50 mila euro rientrano 430 persone, che pesano 16 milioni sul bilancio, mentre si parla di 244 collaboratori che ricevono tra i 50 e gli 80 mila euro, pesando circa 15 milioni sulle casse Rai.

Tra 80 mila e 240 mila euro, troviamo 141 persone, che pesano 17 milioni sul bilancio, al pari dei 33 collaboratori esterni che percepiscono ogni anno più di 240 mila euro.

CONTE DEMOLISCE I PARASSITI DEL SINDACATO: “ZITTI E MUTI CON LA FORNERO E ADESSO SCENDETE IN PIAZZA?”








Il premier Giuseppe Conte nella consueta conferenza stampa di fine anno ha toccato un punto spinoso della manovra che riguarda proprio i tagli agli assegni


Il premier Giuseppe Conte nella consueta conferenza stampa di fine anno ha toccato un punto spinoso della manovra che riguarda proprio i tagli che il governo si appresta a a afre sugli assegni dei pensionati.

L’esecutivo opererà su due fronti. Il primo riguarda le sforbiciate agli assegni più alti che superano i 5000 euro netti, il secondo invece riguarda il blocco delle rivalutazioni sugli assegni. Due vere e proprie mazzate che hanno fatto infuriare e non poco i pensionati. I sindacati e le associazioni di categoria hanno scelto di protestare (e non poco) contro la decisione del governo.

Manifestazioni, incontri e sit-in per dire “no” alle sforbiciate tanto volute dall’esecutivo, sponda grillina. Ma il premier Conte non vuol sentir parlare di rivolta dei pensionati e non accetta i malumori tra chi ormai è fuori dal mercato del lavoro e vive con l’assegno previdenziale. La sua posizione a riguardo è chiara e anche dura: “I pensionati scendono in campo ma li ricordo silenti quando fu approvata la legge Fornero.

Oggi, nel pieno rispetto del governo, sono in strada a protestare. Facciano la loro protesta ma non mi sembra assolutamente che abbiamo attentato a trattamenti pensionistici, abbiamo operato con molto discernimento”. Ma le sue parole di certo non fermeranno l’onda di protesta. Nella prima settimana di gennaio sono già previste diverse manifestazioni. I pensionati scendono in piazza.

“Non siamo il Governo delle lobby e dei comitati d’affari”. Conte lancia un siluro ai vecchi partiti



“L’occasione per una riflessione per un primo bilancio dopo vari mesi di governo, una esperienza di governo innovativa che scandisce un significativo mutamento di passo della politica italiana”. E’ quanto ha detto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante la conferenza stampa di fine anno. “Le forze politiche – ha detto il premier – si sono presentate in campagna elettorale assumendosi degli impegni, formando un governo dopo un lungo processo di gestazione che ha portato a un contratto di governo e questo ha dato vita a un governo che adesso realizza quegli impegni: la manovra si pone in continuità con quegli impegni”.

“Stiamo contribuendo – ha aggiunto il presidente del Consiglio – a ridurre quella frattura tra classi politiche e cittadini, non siamo il governo delle lobby e dei comitati d’affari. Io non ricevo esponenti di comitati d’affari ma persone che hanno incarichi istituzionali e rappresentano interessi ala luce del sole”. Il presidente del Consiglio ha poi lanciato una nuova iniziativa, intitolata “Donne e uomini normali, gesti esemplari”, che avrà come obiettivo “l’individuazione di cittadini normali che hanno compiuto gesti che rappresentano un esempio per tutti”.

Parlando della Manovra economica, Conte ha detto che “è la prima tappa significativa, un altro progetto riformatore”. “Non ci fermiamo – ha aggiunto il premier -, vogliamo fare ancora meglio, possiamo fare ancora meglio e siamo determinati a fare meglio. Il nostro obiettivo è stato, è e sarà sempre rispondere agli interessi dei cittadini e cercheremo di farlo nel modo migliore”. “Non è affatto vero che la manovra sia stata scritta a Bruxelles – ha detto ancora il premier -, è stata scritta in Italia. Tutte le volte che mi sono seduto con Bruxelles non ho mai consentito che mettessero in discussione i punti qualificanti della manovra e devo dare atto loro che non hanno mai cercato di valutare nel merito tali punti”.

Parlando dell’aumento dell’Iva nel 2020 e 2021 Conte ha poi sottolineato  che in pochi mesi il Governo ha dovuto “recuperare 12,5 miliardi per neutralizzare l’incremento dell’Iva eredità del governo precedente”. “Continueremo nel 2020 e 2021 – ha aggiunto – con questa modalità e ci impegniamo a impedire l’incremento dell’Iva”. “Non stiamo aumentando la pressione fiscale sui cittadini. La pressione fiscale – ha detto ancora il presidente del Consiglio – noi per i cittadini l’abbiamo alleggerita. E’ questa la politica economica sociale che un governo deve esercitare, e non ci e’ stato affatto dettato dall’Ue. Abbiamo realizzato un’opera redistributiva privilegiando alcune fasce sociali rispetto ad altre”.

“Abbiamo una struttura tecnica da realizzare – ha detto ancora il presidente del Consiglio – dove ci saranno oltre trecento professionisti per realizzare un poderoso piano di investimenti e un ulteriore intervento sarà per il taglio degli sprechi. Per intervenire cum grano salis in questa direzione occorre lavorare, non bastano cinque o sei mesi di governo, e potremo recuperare molte risorse finanziarie per tagliare gli sprechi”.

“I fondamentali del sistema economico italiano sono solidissimi – ha aggiunto il premier nel corso della conferenza stampa di fine anno -, certo abbiamo un debito che incute un certo timore, ma è sotto controllo e non così spaventoso, siamo la settima economia del Mondo e abbiamo un forte risparmio privato. Abbiamo dovuto rivedere la crescita all’1% perché ci siamo accodati agli organismi internazionali ma ciò non significa che siamo rassegnati a una crescita bassa”.

Il premier ha poi accennato ai rapporti tra Lega e M5S. “L’esperienza di governo funziona e funzionerà – ha aggiunto – perché si regge su un’amalgama perfetta tra giallo e verde. Non una mescolanza, sono due colori ben riconoscibili e distinti, ma un equilibrio chimico perfetto, al quale contribuisco anche io. Una perfetta sintonia tra due forze politiche e i loro leader con me. Nessuno è portatore di interessi lobbistici o particolari. Finché l’amalgama si conserverà, io ritengo per 5 anni, sarebbe un grave errore tradire una prospettiva così riformatrice anche agli occhi dei cittadini”.

Luigi Di Maio e Matteo Salvini, ha detto ancora Conte, sono “due leader molto ragionevoli, ci descrivete spesso alle prese con litigi, ma vi posso assicurare che non c’è mai stato al tavolo in decine di vertici, a mia memoria, uno in cui sia avvenuta una seria litigata o un contrasto dialettico vivace”. “Forse – ha aggiunto il premier – sono anche un po’ noiosi, ma vogliamo fare del bene al Paese e ragionando troviamo la soluzione migliore senza litigare”.

Parlando del suo incarico, il presidente Conte ha detto che è “una parentesi meravigliosa che mi rende orgoglioso per realizzare un servizio a favore del paese nel modo più efficace possibile”. “Ma è una esperienza limitata ai 5 anni della legislatura – ha aggiunto -, poi libererò la poltrona. Non farò campagna elettorale per le europee, continuerò a tempo pieno nel mio ruolo di presidente del Consiglio”.

RDC, Conte elogia Di Maio: "Ha dato tutto se stesso per questa battaglia"





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Il PD sta sbavando di rabbia! In Commissione contesta Tria e mettono le mani addosso ad un collega!






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giovedì 27 dicembre 2018

Il PD contro aumento pensioni minime, rdc e quota 100: "Faremo ricorso in Consulta"



“Oggi insieme ai senatori del mio gruppo firmiamo e depositiamo il ricorso alla Consulta contro una legge di Bilancio approvata fuori dall’ordinario percorso parlamentare, senza che Commissioni (a partire da quella sul Bilancio) e Aula abbiamo potuto anche solo toccare il testo”. E’ quanto ha annunciato senatore del Partito democratico, Matteo Richetti. “Un fatto grave – ha aggiunto l’esponente del Pd -, nella forma e nella sostanza. Una legge che dimentica i giovani, punisce i pensionati, abbandona le imprese. E aumenta le tasse per il volontariato e chi fa del bene. A favore di condoni e di chi prova a raggirare il prossimo. Tutto il contrario di quello che chiedono gli italiani”.

UNICEF CHIEDE SOLDI PER LO TSUNAMI, GLI ITALIANI RISPONDONO: “CHIEDETELI ALLA FAMIGLIA RENZI”



Mario Giordano su La verità è andato a leggere i commenti dei semplici cittadini all’appello che ha lanciato Unicef Italia per le vittime dello tsunami in Indonesia. Lo abbiamo fatto anche noi e sicuramente concordiamo con chi li ha insultati.

ECCO UNA PICCOLA SELEZIONE

è un caso che essendo il cognato di un noto politico possa maneggiare e far sparire 6 Milioni? È sempre un caso che essendo cognato di Renzi non venga denunciato? È sempre in caso che all’interno del direttivo di UNICEF ci siano persone vicine a Renzi o alla sua parte politica? Strane coincidenze politiche? Io alle coincidenze faccio molta fatica a credere..Apri gli occhi va che è meglio

Verranno raccolti come quelli per i bambini in Italia gestiti dalla famiglia Renzi?

Invece di mettere pubblicità lacrimogeni in tv…mettete in piazza i rendi conto delle vostre entrate e spese….fate vedere l’onestà di cui siete fieri….!!!!!
Non solo esseri indifesi che fanno pena….che nei tg vengono oscurati per privacy e voi li mettete in piazza per raccogliere più soldi….

le mie donazioni le faccio personalmente alle persone che conosco bene e hanno bisogno. Voi vi potete anche dissolvere. Vergogna!!

Non mi fido più, troppa gente disonesta!

Mai più 1 centesimo da me e famiglia

Montecitorio si rimette a dieta. Ecco il primo bilancio dell’era Cinque Stelle: tagliati 56 milioni di spese di cui oltre 45 grazie alla sforbiciata ai vitalizi



Dopo un 2018 all’ingrasso, la Camera si rimette a dieta. Stando alla bozza di bilancio di previsione 2019, che l’Ufficio di presidenza esaminerà nelle prossime ore e che La Notizia ha potuto visionare, il prossimo anno Montecitorio costerà ai contribuenti 958,8 milioni di euro, circa 10,5 in meno rispetto all’anno precedente, con una riduzione dell’1,08%.

Ma in realtà, al di là delle scritture contabili, la sforbiciata effettiva è molto più consistente. Come si evince chiaramente dal capitolo riservato alla spesa previdenziale. Grazie alla delibera approvata dall’Ufficio di presidenza l’estate scorsa – istruita dall’ex questore anziano ora ministro, Riccardo Fraccaro (gli è subentrato Federico D’Incà), e che porta la firma del presidente della Camera, Roberto Fico – la voce relativa ai vitalizi degli ex parlamentari ha subito, infatti, una pesante decurtazione. Se quest’anno, le pensioni dei deputati cessati dal mandato pesano sulle casse di Montecitorio per 136,1 milioni, nel 2019 la spesa scenderà a 134,4 milioni (-1,25%). Ma per effetto del ricalcolo contributivo con efficacia retroattiva di tutti i trattamenti vitalizi erogati a partire dal primo gennaio del prossimo anno, la spesa effettiva si ridurrà di oltre 40 milioni.

Tuttavia, dal momento che sulla delibera si sono abbattuti oltre mille ricorsi dinanzi al Consiglio di giurisdizione della Camera, come spiega il Collegio dei Questori nella sua relazione, nel progetto di bilancio è stata inserita la voce analitica “quota da accantonare in relazione al ricalcolo degli assegni vitalizi” disposto dalla delibera Fico. “L’importo iscritto in bilancio – che corrisponde alla quantificazione dei risparmi derivanti nel 2019 dalla rideterminazione attraverso il metodo di calcolo contributivo dei trattamenti previdenziali erogati in favore dei deputati cessati dal mandato e dei loro aventi causa – ammonta a 45,6 milioni di euro”. Un taglio, in sostanza, effettivamente disposto ma congelato in attesa dell’esito dei ricorsi. Conteggiando, quindi, questa somma tra i tagli introdotti nel bilancio 2019, la spesa per i vitalizi scenderebbe a 88,8 milioni, con una riduzione, rispetto a quest’anno, del 33,5%. E, allo stesso tempo, la spesa complessiva di Montecitorio si abbasserebbe a 913,2 milioni, con un calo del 5,78%. Il taglio più consistente mai visto negli ultimi anni.

Di certo, tutta un’altra musica rispetto al 2018. Che ha visto la spesa totale della Camera salire di oltre 17 milioni, l’1,85% in più del 2017. A causa soprattutto della “spesa previdenziale per i deputati cessati dal mandato”, cioè ai vitalizi, come spiegava la precedente relazione al bilancio di previsione 2018, preannunciando un’aumento dell’esborso dai 133,3 milioni del 2017 a 136,1. Insomma, dopo il danno pure la beffa. Nonostante le promesse di tagliare i vitalizi con la (meritoria) proposta di legge del deputato del Pd, Matteo Richetti, naufragata al Senato nella passata legislatura, le ricche prebende degli ex inquilini di Montecitorio continuarono a correre indisturbate. Fino all’approvazione della delibera Fico dell’estate scorsa che, con qualche seduta dell’Ufficio di presidenza e una semplice modifica del regolamento che disciplina i trattamenti vitalizi della Camera, che in pochi mesi è riuscita a fare ciò che la precedente maggioranza di Centrosinistra aveva promesso di fare, senza successo, attraverso una legge.

L’80% dei costi assorbito da stipendi e pensioni di deputati e dipendenti

Sforbiciata dei vitalizi a parte, cosa c’è nella bozza del bilancio di previsione 2019 di Montecitorio? In linea con il passato, a pesare di più sulle spese correnti, quelle cioè necessarie per il funzionamento della Camera, sono le voci relative ai parlamentari e al personale dipendente. L’anno prossimo, la spesa per i deputati “rimane sostanzialmente invariata”, si legge nella relazione del Collegio dei questori, “grazie alle misure di contenimento” adottate nel 2011 “e costantemente prorogate negli anni successivi”.

Tra indennità parlamentare (78,95 milioni), indennità d’ufficio (2,2) e ammennicoli vari (115mila euro) se ne andranno 81,6 milioni di euro. Ai quali vanno aggiunti altri 63,6 milioni tra rimborsi per le spese di soggiorno, la cosiddetta diaria (26,5 milioni), per l’esercizio del mandato (27,9), di viaggio (8,4) e telefoniche (770mila). Totale 144 milioni 885mila euro, lo 0,01% in meno rispetto al 2018. Il Collegio dei questori, peraltro, proporrà all’Ufficio di presidenza “di prorogare fino al 31 dicembre 2021” le misure di contenimento dell’indennità parlamentare, bloccandone l’adeguamento (“corrisposto l’ultima volta nel 2006) e dei rimborsi, la cui scadenza è fissata al 2020. Poi c’è la spesa del personale dipendente in servizio, un salasso da 208 milioni 400mila euro, sebbene in calo di 5,7 milioni (-2,69%) rispetto agli oltre 214 milioni del 2018. E quella per il personale in pensione, che nel 2019 graverà sulle casse di Montecitorio per 276 milioni 805mila euro, con un aumento dello 0,76% rispetto al 2018. Considerati i costi del personale eletto, in carica e in pensione, e dipendente, in servizio e in quiescenza, la Camera spenderà il prossimo anno ben 764 milioni 490mila euro (considerati anche i 45,6 milioni accantonati per i ricorsi degli ex deputati colpiti dal ricalcolo retroattivo degli assegni disposto dalla delibera Fico). In pratica, i costi del personale assorbiranno il 79,7% della spesa complessiva di Montecitorio.

Ma non finisce qui. Spese per il personale a parte, la voce più corposa resta, anche per il prossimo anno, quella relativa al contributo ai gruppi parlamentari: 30,97 milioni. Per gli affitti di uffici e depositi (con relativi oneri accessori), invece, nel 2019 se ne andranno 2,4 milioni. Molto di più, 16,6 milioni, si spenderà invece per le attività di manutenzione all’interno del Palazzo. E per i servizi vari di assistenza tecnica e informatica? Il conto ammonterà a 12,7 milioni. Altri 6,3 milioni se ne andranno per i servizi di pulizia e igiene, 1,6 per quelli di facchinaggio. Mentre per pagare le bollette di acqua, luce e gas, Montecitorio dovrà staccare assegni per 4,6 milioni di euro. E dovrà aggiungere 1,2 milioni per le spese telefoniche (rete fissa, mobile e Internet). Per la ristorazione, se la caverà – si fa per dire – con 2,09 milioni. E non è tutto. Altri 1,5 milioni serviranno per acquistare carta, cancelleria, materiale d’ufficio, prodotti farmaceutici e sanitari. La stampa di pubblicazioni, degli atti parlamentari e le relative attività preparatorie, invece, costeranno nel 2019 quasi 5 milioni. E meno male che siamo nell’era del digitale. Quanto ai trasporti, tra aerei, navi, treni e pedaggi autostradali il conto è di quelli salati: 10,7 milioni. Mentre per tenere informati i nostri rappresentanti, tra agenzie di stampa e abbonamenti digitali ai giornali, la Camera dovrà sborsare quasi 3 milioni.

"Una giustizia più vicina ai cittadini". Ecco il piano dei Cinque Stelle. Partita la sperimentazione degli sportelli di prossimità. L’obiettivo di Bonafede: mille uffici in tutta Italia



Ricevere informazioni sui procedimenti giudiziari in corso, trasmettere atti per via telematica, ritirare comunicazioni e notificazioni, ricevere consulenze e aiuto. L’obiettivo è quello di “ridurre la distanza tra il cittadino e la giustizia stessa”. Specie dopo i tagli delle sedi introdotti dalla nuova geografia degli uffici giudiziari disegnata dai Governi precedenti. Il Guardasigilli, Alfonso Bonafede, spiega così, agli alleati della Lega, che con un’interrogazione parlamentare a prima firma del capogruppo Riccardo Molinari gli hanno chiesto conto alla Camera, il piano del Governo relativo ai cosiddetti sportelli di prossimità.

Insomma, una giustizia più vicina, grazie agli uffici di prossimità e costi ridotti “per avere accesso ai servizi giudiziari, incrementando, altresì, il livello di digitalizzazione e informatizzazione dell’amministrazione giudiziaria”. Un processo di semplificazione nel quale “un ruolo chiave è svolto anche dallo sviluppo dei sistemi informatici, dalla digitalizzazione dei fascicoli e dal potenziamento della trasmissione telematica degli atti e dei documenti”. Una rivoluzione che, come tale, necessita di investimenti. Ed è proprio su questo che i deputati della Lega hanno interrogato il ministro della Giustizia. Per sapere “quali siano le risorse con le quali intenda sostenere le relative spese, nonché in quali territori e con quali modalità”.

In altre parole: il quanto, il dove e il come. Il primo ufficio di prossimità è stato inaugurato a Bolzaneto (Genova) il 21 novembre scorso. Il 3 dicembre sono stati aperti anche gli sportelli di Firenze ed Empoli e il 6 è stata la volta di quelli di Pinerolo e Moncalieri. Un progetto ancora in fase sperimentale avviato sul territorio in sinergia con i tribunali interessati, gli ordini degli avvocati e le università. Al termine della sperimentazione, ha spiegato Bonafede in Aula, il traguardo successivo sarà “l’apertura di almeno mille, ulteriori uffici di prossimità su tutto il territorio nazionale, per un costo complessivo di 34 milioni di euro, ripartito tra le regioni in base a criteri oggettivi, riconducibili alla dimensione demografica, all’impatto delle sedi soppresse, alla domanda e al carico pendente in tema di volontaria giurisdizione”.

Ma non è tutto. “Sarà, peraltro, cura di ogni regione, in qualità di soggetto beneficiario – ha aggiunto il ministro – il numero di uffici di prossimità da aprire nel proprio territorio, tenuto conto del budget assegnato, rispetto al quale è stato reso disponibile complessivamente l’importo di oltre 36 milioni di euro, integralmente finanziato nell’ambito del Pon Governance e capacità istituzionale del Fondo sociale europeo”.

Chiarito il quanto e il come, resta ancora qualcosa da dire circa il dove. “Alcune città apriranno uffici di prossimità dentro i locali del comune e nei quartieri, costituendo poi una delle maggiori ambizioni del ministro – ha annunciato il guardasigilli -. Cioè quella di aprire sportelli anche nelle aziende sanitarie e ospedaliere per favorire gli ammalati e i loro parenti, per esempio, nella richiesta di amministrazione di sostegno”. Certo non sarà la panacea di tutti i mali. Né “pensiamo di poter curare e colmare le lacune successive alla riforma della geografia giudiziaria portata avanti dal precedente Governo”, ha ammesso Bonafede. Ma, di certo, ha assicurato il ministro, un aiuto per “le materie che stanno più a cuore alle fasce deboli della popolazione”.

Il Decreto Dignità funziona: Contratti stabili in aumento. Nel 2018 trasformati a tempo indeterminato 407mila rapporti a termine.



Crescono i contratti stabili, cala la cassa integrazione ma aumentano le richieste di disoccupazione. Nei primi dieci mesi del 2018, secondo gli Osservatori Inps, i dati che arrivano dal mercato del lavoro appaiono sostanzialmente positivi nonostante la crescita delle domande di disoccupazione arrivate a 1.693.538 (+6,3%), livello massimo dal 2015.

Quanto al settore privato, nei primi da gennaio ad ottobre 2018, crescono sia le assunzioni (+5,7%) sia le cessazioni +9,3%), ma il saldo resta attivo (+574mila contratti) anche se inferiore rispetto a quello dello stesso periodo del 2017 (724mila). Mentre è positivo soprattutto il saldo sui contratti stabili (207.541) reso possibile soprattutto dalle trasformazioni di contratti a termine in rapporti a tempo indeterminato (407mila, +64,9%).

Una vera e propria inversione di tendenza, favorita dal decreto Di Maio, rispetto al trend dei primi dieci mesi del 2017, quando il saldo dei contratti a tempo indeterminato era stato negativo per 37.714 unità (era addirittura peggiorato con le perdite registrate a novembre e dicembre).

“L’incremento delle trasformazioni da tempo determinato – sottolinea l’Inps – è in gran parte attribuibile al forte incremento dei contratti a tempo determinato nel 2017, che ora giungono a scadenza”. Inoltre, nel periodo gennaio-ottobre sono stati incentivati 103.680 rapporti di lavoro con i benefici previsti dall’esonero triennale sulle assunzioni degli under 35.

Non solo Reddito di cittadinanza e Quota 100. Ecco nel dettaglio tutte le novità contenute nella Manovra del popolo






Andiamo a vedere, nel dettaglio, tutte le novità della stessa Manovra.


Cittadinanza M5S. Stanziati 7 miliardi – Nel 2019 saranno destinati al reddito di cittadinanza 7,1 miliardi, di cui uno riservato ai centri per l’impiego. Inizialmente, prima della bocciatura dell’Ue, erano 9 i miliardi previsti. I beneficiari saranno 5 milioni. Il provvedimento dovrebbe partire a fine marzo 2019 e sarà finanziato per 9 mesi anziché 12.

Abolita la Fornero. Partirà a gennaio – Anche Quota 100 è stata leggermente rivista al ribasso: 2 miliardi in meno per la misura, che così avrà a disposizione 4,7 e non 6,7 miliardi. Le previsioni indicano che le richieste di pensione con quota 100 non saranno superiori all’85 per cento. Nel 2020 la copertura prevista è di 8 miliardi, e di 7 nel 2021. Salvini smentisce le voci secondo cui si partirà a marzo. “Partirà a inizio anno”.

Future mamme. Lavoro fino al parto – Le mamme potranno scegliere di lavorare fino al parto e godere dei cinque mesi di maternità direttamente dopo la nascita del bambino, a condizione che ci sia l’ok del medico. Prorogato per il 2019 il congedo per i papà che avranno diritto a stare a casa con i figli per 5 giorni (uno in più rispetto al 2018).

Bonus asili nido. Si sale a 1.500 euro – Sale da mille a 1.500 euro l’anno il bonus per l’iscrizione agli asili nido pubblici o privati ed è esteso fino al 2021. A partire dal 2022 il buono sarà determinato, nel rispetto del limite di spesa programmato e comunque per un importo non inferiore a mille euro su base annua, con Dpcm, su proposta del ministro per la famiglia, da adottare entro il 30 settembre 2021, tenuto conto degli esiti del monitoraggio previsto per la misura.

Ulteriori incentivi. Per le imprese 4.0 – Via libera alla proroga per il 2019 per il credito d’imposta per attività di formazione 4.0. Il bonus, con un tetto annuale di 300mila euro, è attribuito nella misura del 50% delle spese ammissibili sostenute nei confronti delle piccole imprese e del 40% nei confronti delle medie imprese. Alle grandi imprese è attribuito nel limite massimo annuale di 200mila euro e nella misura del 30%.

Cyberspazio. Fondo ad hoc – Arriva un fondo con una dotazione iniziale di un milione per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021 per potenziare gli investimenti e le dotazioni strumentali in materia di cybersecurity. Un passo in avanti importante nella sicurezza-web, che per gli ultimi dati, è il fronte più caldo nel mondo criminale.

Per i risparmiatori banche senza scudi – I risparmiatori truffati dalle banche potranno fare causa agli istituti di credito, anche se otterranno il risarcimento, per la parte di danno eccedente il ristoro corrisposto. Il rimborso previsto nella legge di Bilancio è pari al 30% dell’importo riconosciuto o liquidato nelle sentenze giudiziarie o dell’Arbitro delle controversie finanziare nel limite di 100mila euro per ciascun risparmiatore.

Stop all’azzardopoli. Salasso sulle slot – Arrivano nuove norme per consentire ai Comuni di controllare gli orari di funzionamento delle slot machine. Introdotti, poi, anche criteri omogenei degli orari degli esercizi che offrono gioco pubblico, anche al fine del monitoraggio telematico.

Seggiolini sicuri. Fondo di un milione – Per l’attuazione della legge sui seggiolini auto dotati di un sistema anti-abbandono “è autorizzata la spesa di 1 milione di euro per il 2019”.

Sisma centro Italia. Arrivano 85 milioni – Verranno destinati 85 milioni, frutto dei tagli della Camera dei deputati, alle popolazioni del centro Italia colpite dal sisma del 24 agosto 2016.

Biglietti ai concerti. Un’altra musica – Dal prossimo aprile i biglietti per concerti che si tengono in impianti con capienza superiore a 5mila persone “riportano la chiara indicazione del nome e del cognome” di chi li ha acquistati.

Sì auto elettriche. Tasse a chi inquina – L’ecotassa, cioè l’imposta aggiuntiva sulle auto ad emissioni più alte voluta per finanziare gli incentivi per l’acquisto di auto meno inquinanti, sarà applicata solo sulle auto extra lusso. Le auto ad alte emissioni ma di piccola cilindrata, che inizialmente erano state comprese nella tassa, restano escluse. Rimane il bonus per le auto elettriche e ibride, che ammonta a 6mila euro.

Università e ricerca. Più finanziamenti – Aumenta di 40 milioni di euro il fondo per il finanziamento delle Università, di 10 milioni quello per il finanziamento degli enti di ricerca e di 10 il fondo per le borse di studio. In arrivo anche 30 milioni straordinari per il Cnr.

Dal G20 a Expo 2020. Pioggia di milioni – Si prevede una spesa di 39 milioni di euro per la Presidenza italiana del G20 nel 2021. E poi l’Expo di Dubai, che si terrà sempre nel 2020. Per questo evento previsto un ulteriore fondo di 21 milioni di euro.

Ok al Bonus Cultura. Ma solo con l’Isee – Resta il bonus cultura per i neo nni ma verrà erogato in base all’Isee. Il fondo però verrà ridotto di 40 milioni, che andranno al Fondo unico per lo spettacolo, al sostegno di festival, cori e bande, a Matera.

Pulizia nelle scuole. In mano al pubblico – I collaboratori scolastici dipendenti di ditte private, da gennaio 2020 potranno essere assunti dall’amministrazione pubblica attraverso una procedura selettiva, “per titoli e colloquio”. La misura interessa circa 18mila persone.

Società non quotate. Ecco lo scudo – Via libera allo scudo anti-spread per banche e società non quotate e che non emettono titoli negoziati su mercati regolamentati.

Contante turisti. Tetto più soft – Sale da 10mila a 15mila euro il limite all’uso del denaro contante per tutti i turisti stranieri che vengono a soggiornare in Italia. Estesa la possibilità dell’uso del contante fino a 15mila euro per l’acquisto di beni e prestazioni di servizi legati al turismo anche ai cittadini Ue.

Carta d’identità 2.0. Ci penserà Poste – La carta d’identità elettronica potrà essere rilasciata anche negli uffici postali. Il ministero dell’Interno potrà infatti affidare, in convenzione, anche a Poste italiane la gestione del servizio pubblico nel limite di spesa di 750mila euro a partire dal 2019.

Nuovi ospedali. Previsti 28 miliardi – Il programma di interventi per la ristrutturazione dell’edilizia sanitaria e l’ammodernamento tecnologico passa da 26 a 28 miliardi di euro.

Più docenti a scuola. Sì al tempo pieno – Via libera a 2mila posti in più nelle scuole elementari per incrementare il tempo pieno.

Pensioni d’oro. Taglio fino al 40% – Il Governo conferma il taglio alle pensioni d’oro sopra i 90mila euro (circa 4.500 euro al mese). Nel specifico: taglio del 10 per cento per assegni da 90mila a 130mila euro lordi, taglio del 20 per cento per le pensioni dai 130mila fino ai 200mila euro, taglio del 25 per cento per gli assegni tra 200mila e 350mila euro, taglio del 30 per cento per le pensioni tra 350mila a 500mila euro e infine taglio del 40 per cento per tutte le pensioni superiori ai 500mila euro.

Manutenzione ponti. Ecco 250 milioni – Inserita anche una norma che stanzia le prime risorse necessarie per mettere in sicurezza i ponti sul Po che sono in condizioni di degrado. “Parliamo di 250 milioni di euro in cinque anni, 50 milioni l’anno da ripartire tra città metropolitane, Province e Anas”, ha detto lo steso Toninelli.

Ennesima mazzata per i vecchi partiti: il 60% degli italiani sta con il Governo Conte



I primi sei mesi e mezzo del governo che si definisce del cambiamento misurano lo spread tra buona parte del racconto pubblico – sui giornali, in televisione, sui social – e il sentimento della maggioranza che resta al momento a prova di bomba, mai scalfito: i partiti del contratto, M5s e Lega, insieme non mollano il 60 per cento di base elettorale virtuale. “Incompetenti, analfabeti istituzionali, scappati di casa!”, e restano lassù. “I ponti delle autostrade dove un giorno si potrà mangiare e giocare“, e restano lassù. “Tiro dritto, molti nemici molto onore, me ne frego”, e restano lassù. La festa sul balcone – che porta pure male – e restano lassù. La Tap si fa anziché no, il Terzo Valico si fa anziché no, e restano lassù. Le accise sulla benzina ci sono ancora tutte e restano lassù. Le fiducie degli altri erano “golpe“, “atti eversivi“, segni che “siamo in dittatura“: ne mettono 8 in 6 mesi ma restano ancora lassù.

Il 4 marzo, nel proporzionale, Cinquestelle e Carroccio avevano preso rispettivamente il 32,7 e il 17,4 per cento, cioè insieme la metà esatta dell’elettorato che si era presentato alle urne. L’ultimo sondaggio utile – di Tecnè, realizzato il 17 dicembre, diffuso da Quarta Repubblica di Nicola Porro su Rete 4 – dice che la Lega sfiora il 33 (32,8) e il M5s sta stabile sopra al 25 (25,3). Il primo inseguitore – il Pd – è distante di 8 punti che in voti effettivi fa più o meno 4 milioni e mezzo. I sondaggi di oggi hanno esteso la fiducia e quindi anche la legittimità dell’azione dell’esecutivo. Fiducia, infatti, in questo caso è ancora sinonimo di speranza. La manovra battezzata del popolo è stata approvata in questo modo un po’ sgangherato, all’ultimo tuffo e di fretta, tra duemila correzioni e rinvii? Chi se ne frega: gli elettori si fidano di chi hanno scelto quasi 7 mesi fa soprattutto perché aspettano che le promesse quelle grandi vengano mantenute. Aspettano, cioè, che reddito di cittadinanza e riforma della Fornero da parole diventino realtà. Tutto il resto – gli incidenti, le gaffe, le liti, le incoerenze – non conta niente, oggi.

Dal 4 marzo è cambiato che i leghisti sono primi e i Cinquestelle secondi e non più viceversa e col passare dei mesi il distacco tra i due si è mosso a fisarmonica (ora due, ora quattro, ora sei punti). Ma quello che salta all’occhio è che – a dirla grezza – al momento può accadere qualsiasi cosa, ma la maggioranza resta con chi sta al governo. I due elettorati, forse anche più delle basi parlamentari di ciascun partito, credono al governo Conte in qualsiasi passaggio, a prescindere dai fatti, dalle balbuzie che stare al governo comporta per prassi per tutti, quelli di prima e quelli di dopo. Anzi, visto che i diverbi da fight club tra due partiti così diversi non mancano, chi è visto come il principale mediatore (con il Quirinale, con l’Europa, ma soprattutto tra i due partiti), cioè il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, resta tra i leader politici più popolari: costantemente favorito al capo politico del M5s Luigi Di Maio, se la batte anche con Matteo Salvini, la cui comunicazione – a differenza del capo del governo – è studiata da anni proprio per produrre consenso, una tempesta che passa a ogni ora attraverso agenzie di stampa, tweet, foto di pasta e ragù, fiere di agricoltori e curve sud.

Si potrebbe forse definire “democrazia percepita“, come la temperatura o la sicurezza. Non c’è fact-checking che tenga: a prescindere dai dati, il governo che promette il cambiamento può sempre contare sulla spinta del suo popolo. Tanto da compiere almeno un cambiamento, quello sì storico nel suo piccolo e magari nemmeno voluto: dicono le ultime analisi di Demos&Pi, istituto che collabora con Repubblica, che è tornata a salire la fiducia nel Parlamento e nei partiti, che è come dire che passa davvero la stella cometa, visto che da anni sono le due istituzioni nei confronti delle quali i cittadini hanno meno stima. Tra il 2017 (fine dei governi di centrosinistra) e il 2018 (inizio dell’esecutivo Conte) l’indice di gradimento per le forze politiche è salito di tre punti – dal 5 all’8 per cento – mentre quello per il lavoro delle Camere è saltato dall’11 al 19, tornando a cifre di 10 anni fa, molto prima del big bang grillino e della cavalcata salviniana.

lunedì 24 dicembre 2018

NON FATEVI PRENDERE PER IL CULO! SPACCIANO PER ‘TUTORI DELLA DEMOCRAZIA’ I TRADITORI CHE HANNO SVENDUTO LA NOSTRA NAZIONE



Stanno tornando alla ribalta i tutori della democrazia. Salgono sul pulpito per dare lezione e attaccare a testa bassa il governo che, per inciso, sta facendo di tutto per farsi attaccare. Tuttavia, questi patrioti della democrazia fanno quantomeno sorridere perché sono stati i primi, anni fa, a far scempio delle volontà democratiche del popolo italiano tramando con i poteri forti di Bruxelles e ribaltando un governo regolarmente eletto.

Dopo esserci sorbiti per mesi l’ex ministro Elsa Fornero, che dava del fascista a Matteo Salvini perché stava lavorando per stralciare la sua riforma delle pensioni, nelle ultime ore è tornato in campo l’ex premier Mario Monti. Se ne è uscito con un’intervista al Foglio in cui diceva che “nessuna manovra ha mai subito una dettatura del genere da Bruxelles” come quella partorita dai gialloverdi. Proprio lui che nel 2011, come più volte denunciato dal Giornale, è arrivato a Palazzo Chigi scalzando Silvio Berlusconi dopo quello che è stato definito da molti “un golpe bianco” orchestrato, tra gli altri, dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e dai vertici dell’Unione europea, tra cui la cancelliera Angela Merkel. E così, dopo aver fatto carne da macello del voto popolare e aver fatto approvare alle Camere misure lacrime e sangue come le tasse sulla prima cassa, il blocco della rivalutazione delle pensioni, la legge Fornero e una serie infinita di nuovi balzelli che hanno peggiorato la crisi economica, ora il Professore accusa Salvini e Di Maio di aver “espropriato il ruolo del Parlamento, che è la più diretta espressione del popolo” italiano.

In un retroscena pubblicato oggi dalla Stampa, poi, a parlare è proprio Napolitano che, scendendo al fianco dell’ultrà europeista Emma Bonino, che giorni fa si è messa a piangere in Senato mentre accusava la maggioranza di “non capire il senso delle istituzioni”, ha lanciato l’allarme per “l’umiliante condizione riservata al Parlamento in occasione dell’esame della legge di Bilancio”. Certo, in questi giorni, la maggioranza sta effettivamente facendo pasticci inenarrabili con una manovra fantasma che è finita per tenere in ostaggio l’intera aula di Palazzo Madama. Una manovra che, all’ultimo stadio, è riuscita a scontentare tutti: industriali, imprenditori, pmi, pensionati e medici. L’emergenza, insomma, c’è. Resta, tuttavia, sconcertante che a dare lezioni siano quei finti tutori della democrazia che, all’occorrenza, se ne sono infischiati delle istituzioni e del popolo italiano e si sono piegati a logiche e direttive che hanno fatto male al nostro Paese.

MIMMO LUCANO, MA QUALE MARTIRE! NUOVE PESANTI ACCUSE DAL PM CHE INDAGA SULLE SUE PORCATE




Riace, chiusa inchiesta su Mimmo Lucano: contestata anche l’associazione a delinquere


Chiuse le indagini su Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, in merito all’inchiesta su presunte irregolarità nella gestione dell’accoglienza dei migranti nel comune calabrese. Lucano, messo inizialmente ai domiciliari e ora con divieto di dimora a Riace, è accusato anche di associazione per delinquere, truffa, falso, concorso in corruzione, abuso d’ufficio e malversazione.

La procura di Locri ha chiuso le indagini nei confronti dell’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, e su altre 30 persone, in merito all’inchiesta su presunte irregolarità nella gestione dell’accoglienza dei migranti nel comune calabrese. La notizia è stata riportata dalla Gazzetta del Sud: la procura, inoltre, contesta a Lucano anche l’associazione per delinquere, oltre a truffa, falso, concorso in corruzione, abuso d’ufficio e malversazione. L’inchiesta Xenia, condotta dai finanzieri del gruppo di Locri, ha portato agli arresti domiciliari il sindaco Lucano il 2 ottobre scorso. Domiciliari poi revocati il 16 ottobre, sostituiti con il divieto di dimora a Riace. L’accusa iniziale era di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e illeciti nell’affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti.L’avviso di conclusione indagini prevede però anche la contestazione di reati più gravi, per i quali il gip non aveva accolto la richiesta d’arresto. La procura ha presentato ricorso al tribunale del riesame, ma non è stato ancora discusso. La procura ipotizza di estendere l’accusa anche ad altri reati, legati alla gestione dei finanziamenti erogati dal ministero dell’Interno e della prefettura di Reggio Calabria al comune di Riace per l’accoglienza. I 31 indagati potranno, entro 20 giorni, depositare documenti in propria difesa e chiedere di essere sottoposti a interrogatorio.

Mimmo Lucano commenta, con l’Ansa, la notizia dell’avvio di conclusione indagini: “Sono tranquillo con la mia coscienza perché non ho fatto niente, anzi ho cercato di aiutare umanamente e non mi sono approfittato di nulla neanche sul piano economico. Non ho proprietà né conti correnti, come ho detto sin dal primo momento. Dopo tanto tempo hanno potuto verificare tutto su di me. Mi auguro che prevalga la coscienza. Gli avvocati mi hanno detto che è un fatto normale, anzi è positivo perché hanno chiuso e vuol dire che non ci sono altre cose e che quelli sono i capi di imputazione. Tutti gli accusati dicono che sono innocenti, è un fatto automatico quindi mi sembra talmente scontato che non lo voglio nemmeno dire. C’è chi ci giudica e sapranno loro cosa fare”.

LA VERGOGNA DEI SINDACATI: SCIOPERO CONTRO IL GOVERNO. Dov’erano quando il PD ha operato una vera e propria macelleria sociale?



Una manovra “sbagliata, miope, recessiva, che taglia ulteriormente su crescita e sviluppo, lavoro e pensioni, coesione e investimenti produttivi, negando al Paese, e in particolare alle sue aree più deboli, una prospettiva di rilancio”. Lo affermano in una nota Cgil, Cisl e Uil, dicendosi pronte alla mobilitazione unitaria “che culminerà con una grande manifestazioni nazionale a Gennaio”. “Per le modalità della sua approvazione, – affermano ancora – rappresenta una grave lesione alla democrazia parlamentare”.

“Nel testo approvato da Palazzo Madama – scrivono Cgil, Cisl e Uil in una nota – non c’è il minimo sforzo per intercettare le urgenti e profonde necessità espresse dai territori, dal lavoro, dalle categorie più deboli. Di fronte alle enormi difficoltà dei lavoratori, dei pensionati, dei disoccupati, dei giovani, si risponde con la logica assurda e incoerente delle spese correnti e dei tagli al capitale produttivo. Le risorse per gli investimenti, già limitate, sono drasticamente ridotte, bloccando così gli interventi in infrastrutture materiali e sociali (a partire da sanità e istruzione) necessaria leva per la creazione di lavoro, la crescita e la coesione sociale territoriale. Si fa cassa con il taglio dell’adeguamento all’inflazione per le pensioni sopra i 1522 euro lordi al mese, il blocco delle assunzioni nella PA fino a novembre e le risorse -insufficienti- per il rinnovo dei contratti pubblici”.

“Nessuna risposta”, proseguono i sindacati, viene data sugli ammortizzatori “e neppure sul versante fiscale per lavoratori e pensionati dove invece si sceglie di introdurre la flat tax e nuovi condoni. Una legge di bilancio che colloca per il 2020 e 2021 sulle spalle degli italiani un debito di oltre 50 miliardi in virtù delle clausole di salvaguardia, vincolando così anche per il futuro qualunque spazio per interventi espansivi che facciano ripartire il paese”. Si tratta di un andamento “che non risparmia, ma anzi infierisce di più sulle aree deboli del Mezzogiorno, come dimostra il drammatico ridimensionamento del cofinanziamento europeo per la convergenza territoriale”.

Quella voluta dal Governo è dunque una manovra “che non qualifica la spesa, e umilia economia reale e competitività, schiaccia la centralità della buona occupazione e del lavoro nelle dinamiche di crescita e di coesione nazionale. Lasciare che la politica economica italiana sia ridotta a questo significa condannare il Paese al declino e alla definitiva rottura del suo tessuto sociale e produttivo”.

“Cgil, Cisl e Uil – conclude la nota – non possono che condannare questo andamento ed esprimere il più forte dissenso a tale politica economica. Per questo il sindacato confederale, oggi unito in un fronte compatto di proposta sulla base di una piattaforma programmatica condivisa e sostenuta da decine di migliaia di lavoratori e pensionati annuncia l’apertura di una stagione di mobilitazione e di lotta nelle categorie e sui territori che culminerà con una grande manifestazione nazionale unitaria a gennaio”.

#BastaBufale: Nessun taglio alle pensioni da 1500. Diffondi la verità



Stando a gran parte dei media e dei principali giornali, il governo avrebbe complicato la vita a milioni di pensionati. Sarebbe infatti stato messo in atto il taglio di tutte le pensioni a partire dai 1500 euro a salire. Questa operazione è dunque descritta come l'ennesima scelta avversa alla popolazione e che andrebbe a gravare sulle spalle dei meno abbienti.

Di Maio si è però esposto in prima persona per chiarire questo punto [VIDEO], spiegando che è stato messo in atto dal governo semplicemente un metodo progressivo di taglio. Esso parte sì dai 1500 euro e va a salire, ma in modo leggerissimo sulle piccole pensioni. In parole povere, un pensionato con una pensione di 1500 si vedrà decurtati 1 0 2 euro, mentre uno che recepisce cifre molto più alte (10000, 20000, ecc.) si vedrà un taglio nettamente superiore, dell'ordine di centinaia o migliaia di euro.

Questa situazione viene descritta in molti articoli come un tradimento dei 5 stelle e della Lega verso la popolazione. Non si riflette sul fatto, però, che i pensionati che prendono cifre da 10000 o più euro sono un numero molto basso, e non rientrano minimamente nel profilo del "votante tipico" di questo governo. La maggior parte dei pensionati in difficoltà non vedrà invece alcun taglio alla propria pensione, o al massimo ne rileverà uno del valore di qualche euro.

#BastaBufale: Professioni sanitarie aperte agli abusivi? FALSO! Ecco tutta la verità



In queste ore tanti operatori sanitari si stanno chiedendo cosa realmente prevede l’emendamento alla manovra che riguarda la loro professione. Considerando la falsa informazione che sta circolando in queste ore, è importante fare chiarezza e finirla con un ingiustificato allarmismo. L’emendamento in questione prevede che oltre 20mila operatori sanitari (come educatori professionali, massofisioterapisti, tecnici di laboratorio), che per anni hanno esercitato la professione dopo aver svolto corsi a norma di legge e che già operano nel servizio sanitario nazionale, da un giorno all’altro restino senza lavoro o diventino abusivi. Mettiamo fine al caos normativo che abbiamo ereditato, evitando che questa situazione di indeterminatezza per gli operatori sanitari si ripeta in futuro. Senza togliere diritti a nessuno, impediamo che 20mila professionisti finiscano per strada. Insomma l’articolo di Repubblica è una vera e propria bufala, come spiegato anche qui.

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L’emendamento in manovra non è una sanatoria, si tratta di intervenire nell’unico modo possibile per evitare che davvero 20 mila persone e più si ritrovino da un giorno all’altro licenziate o a non poter più esercitare un’attività per cui avevano i titoli previsti dalla legge fino all’entrata in vigore del decreto Lorenzin. Per poter lavorare, queste persone hanno fatto i corsi a norma di legge e sono già nel sistema sanitario, ma oggi rischiano di diventare abusivi. Evitiamo questa assurdità, senza togliere nulla agli operatori iscritti all’albo e senza equipararli a loro. Questo lo scopo dell’emendamento inserito in manovra.

Questo, l’emendamento approfondito tecnicamente e oggetto di interlocuzione costante con le varie sigle, persino con quelle che oggi ergono muri e attaccano. Sigle che sono state ricevute dalla sottoscritta, alle quali ho avuto modo di far presente cosa avrebbe previsto la proposta, e che erano consapevoli dell’esistenza di un problema che andava risolto, ma che hanno ritenuto più opportuno ricorrere a comunicati stampa, invece che a fattive proposte.

Senza un intervento ci saremmo ritrovati nell’arco di pochissimo tempo di fronte ad una vera e propria emergenza sociale. È questo ciò che abbiamo voluto evitare dando la possibilità di continuare a svolgere la propria attività, sia nel caso di lavoro dipendente sia autonomo, a chi abbia svolto un’attività professionale per un periodo minimo di 36 mesi, anche non continuativi, negli ultimi 10 anni permettendone l’iscrizione in elenchi speciali a esaurimento, sottoposti al controllo dell’ordine.

Si badi bene a non confondere il concetto “elenchi speciali” con “albo”. NON si tratta di iscrizione all’albo, possibile esclusivamente a coloro che ne hanno i titoli, cioè a coloro che hanno conseguito la laurea o titolo equipollente o equivalente. L’elenco speciale ad esaurimento è un registro nel quale inserire coloro che rispondono ai requisiti previsti dall’emendamento, e che abbiamo deciso di sottoporre all’ordine ai fini di un maggior controllo del rispetto dei requisiti richiesti.

Inoltre, NON è prevista in alcun modo l’equiparazione ai titoli (altra informazione errata). L’obiettivo è solo evitare che professionisti di riconosciuta competenza perdano il posto di lavoro. Anzi, a tutela dell’evoluzione del percorso formativo di chi opera nella sanità abbiamo stabilito che non potranno più essere attivati corsi di formazione regionale per il rilascio di titoli ai fini dell’esercizio delle professioni sanitarie. Cosa che finora è stata fatta, non certo per volontà nostra, ma con questo intervento si permetterà di non ritrovarsi in futuro di fronte alla medesima situazione odierna, di tutelare chi ha intrapreso un percorso di laurea, di superare l’indeterminatezza del quadro giuridico normativo creato dai precedenti governi.

Inoltre, resta salva per il lavoratore in possesso di un titolo conseguito prima dell’entrata in vigore della legge 42 del 1999 la possibilità di regolarizzare la propria situazione partecipando alle procedure per il riconoscimento delle equivalenze, da attivarsi a cura delle Regioni. Noi, siamo i primi ad esserci trovati di fronte a leggi che hanno generato tutto questo. Ora ci tocca trovare una soluzione. E questa soluzione ritengo abbia rappresentato il punto di caduta che salvaguarda tutti e non toglie alcun diritto.

#BastaBufale: L'Iva non aumenterà mai, ecco tutta la verità



Oggi gran parte dei media parlano di miliardi di aumento Iva, la cosiddetta clausola di salvaguardia, come se fosse un fatto già certo. Questo è falso. E finchè il MoVimento 5 Stelle sarà al governo questo non accadrà mai. L’aumento dell’Iva per il 2019 lo abbiamo già disinnescato, mentre per il 2020 e 2021 verrà disinnescato con le prossime manovre. Non ci sarà nessun aumento, nè quest’anno né mai finché saremo al governo. È sempre stato così da quando furono introdotte per la prima volta dal governo Berlusconi nel 2011.

Solo il governo Letta nel 2013 fece aumentare l’Iva di 1 punto dal 21 al 22% (il livello attuale). Una follia, visti gli effetti negativi che questa imposta produce sui consumi. L’Italia non se lo poteva permettere nel 2013 e non se lo potrà permettere tanto meno nel 2020-2021, dato che l’economia globale volge al peggio e c’è bisogno di sostenere la domanda interna.

Lo ribadiamo: non ci sarà bisogno di aumentare l’Iva per centrare le previsioni di finanza pubblica, anche perché siamo convinti che le stime di crescita concordate con la Commissione Europea siano molto prudenti.

L’unica differenza con il passato è che gran parte dei giornali sbattono in prima pagina futuri aumenti dell’Iva che non ci saranno mai. La strategia di questi media è sempre la stessa: alimentare un clima di sfiducia e di paura che fa male al Paese. Ma non ci fermeranno.