mercoledì 5 dicembre 2018

RENZI ED I SOLDI IN NERO DI SUO PADRE? INCHIODATO E SPUTTANATO: così ha reagito a chi gli chiedeva di rispondere alle accuse dell’ex collaboratore che pagava in nero per conto di papà





da Circo Massimo – Radio Capital


“Con Matteo era tutto a nero, tutto aumm aumm, non ho mai firmato niente”. Parla a Radio Capital Andrea Santoni, oggi chef a Londra, nel 1997 faceva lo strillone per la Speedy, la società della famiglia Renzi che vendeva i giornali ai semafori a Firenze. I Renzi da parte loro annunciano querele. Radio Capital ha rintracciato Santoni per sentire il suo racconto dalla sua viva voce.

Santoni parla al telefono da Londra, racconta la sua storia, replica alle dichiarazioni di Tiziano Renzi secondo il quale gli strilloni erano pagati in contanti ma non erano in nero. “Io vendevo i giornali ai semafori”, racconta Santoni, “l’ho fatto per sei mesi, cercavo un lavoretto prima della partenza per il servizio militare. Avevo 20 anni. Lavoravo tutti i giorni, circa tre-quattro ore al giorno. Non incassavo grosse cifre. Nelle postazioni migliori si poteva arrivare a 400 mila lire a settimana”.

Santoni racconta come è arrivato al colloquio di lavoro con Matteo Renzi: “Cercavo un lavoretto e un amico mi disse che una sua amica lavorava per un tal Matteo Renzi, che non era nessuno allora, era come dire Mario Rossi. Mi disse che vendeva giornali, guadagnava, allora andai a parlare con Matteo una mezz’ora, mi ha spiegato come funzionava e a me andava bene, io non sono uno che si meraviglia del nero”.  Matteo Renzi parlò di contratti? “No, logicamente no. Andava bene a me, andava bene a lui, tutto a nero, aumm aumm, tanto dovevo stare poco. Lui si era presentato semplicemente come Matteo Renzi della Speedy, senza specificare se avesse incarichi nella società”.

Poi Santoni racconta come e quanto veniva pagato. “Prendevo 20 mila lire di fisso se superavo le 50  copie al giorno. In più circa 300 lire a copia. Di mattina una volta c’era Matteo, una volta Tiziano,  arrivavano con il furgone, davano i giornali ai ragazzi. Poi tu vendevi i giornali, andavi a casa con i resi dividevi i soldi. Tenevi il fisso, il tot a copia, le mance e il resto lo mettevi nella busta che portavi con i resi la mattina dopo quando caricavi le nuove copie”.

Tiziano Renzi ha spiegato che gli strilloni erano “pagati cash perché trattenevano il compenso, poi noi pagavamo le tasse come previsto dalla legge quindi pagamento in contanti ma non in nero”. E Santoni gli risponde: “Io non mai firmato alcun contratto, non ho firmato niente, non avevo contributi o ritenuta d’acconto”.

Radio Capital ha chiesto Matteo Renzi di intervenire per una sua replica ma la risposta è stata negativa.



BABBO RENZI ATTACCA IL NOSTRO SCOOP MA UNA SENTENZA DÀ RAGIONE A NOI
Giacomo Amadori per ‘la Verità’

Quando ha letto la prima pagina della Verità di ieri mattina, a Tiziano Renzi deve essere andato il caffè di traverso. «Lavoravo in nero per i Renzi. Alle paghe ci pensava Matteo» era il titolo, e l’ articolo conteneva la testimonianza di un ex distributore di giornali al soldo dei Renzi, il quarantunenne fiorentino Andrea Santoni, il quale ci spiegava di aver collaborato per sei mesi presso una delle loro ditte senza nessun tipo di accordo scritto.

Sulla notizia sono saltati i 5 stelle con un comunicato: «Siamo curiosi di sapere come adesso il Pd commenterà la vicenda venuta fuori sui lavoratori senza contratto gestiti da Matteo Renzi e suo padre, quando li mandavano a distribuire giornali a nero a Firenze () Dall’ alto della propria ipocrisia hanno tentato di infangare il nome di Luigi (Di Maio, ndr) per un bidone, una carriola e qualche calcinaccio abbandonati nella proprietà del padre, coprendosi di ridicolo perché Luigi era totalmente estraneo alla vicenda. Al contrario – così come emerge dall’ inchiesta della Verità – Matteo Renzi era coinvolto in prima persona negli affari del padre, ne era persino complice».

Dopo aver letto il servizio, anche babbo Tiziano ha deciso di intervenire e ha pubblicato su Facebook un commento risentito, accusando di diffamazione il direttore, Maurizio Belpietro, e chi scrive. Per quale motivo? Lo spiega lui stesso: «Basterebbe conoscere le leggi per capire. I ragazzi che distribuivano i quotidiani, infatti, erano pagati cash perché trattenevano il loro compenso da ciò che incassavano con la vendita dei quotidiani ma poi ovviamente l’ azienda provvedeva al pagamento delle tasse come previsto dalla legge.

Era pagamento in contanti, NON in nero: una semplice differenza che in sede di tribunale sarà facilmente dimostrabile». Il post di Tiziano ha scatenato i bassi istinti della sua claque che, senza conoscere la materia del contendere, ha iniziato a insultare il direttore Belpietro con espressioni, quelle sì, diffamatorie. Il tutto perché babbo Renzi, plurindagato per i reati di bancarotta, false fatturazioni (procedimento per cui è già stato rinviato a giudizio) e traffico di influenze illecite (in questo caso la Procura di Roma ha chiesto l’ archiviazione), ci accusa di non conoscere le leggi.

Ma in realtà a non avere dimestichezza con le pandette, secondo il giudice fiorentino Giovanni Bronzini, era lui. Nel 1999 l’ Inps fece due accertamenti presso le società di distribuzione di giornali dei coniugi Renzi, per cui lavorava anche il figlio Matteo (il quale, secondo Il Fatto Quotidiano, per un anno prestò servizio senza nessun tipo di contribuzione).

Gli ispettori dell’ ente previdenziale fecero i controlli sull’ utilizzo degli strilloni in due diversi periodi, per un totale di 16 mesi, tra il 1997 e il 1998. La Speedy se la cavò con una multa di 1 milione di lire per il mancato pagamento dei contributi, mentre alla Chil toccò un conto molto più salato: 34.748.500 lire. Tiziano Renzi e la moglie Laura Bovoli presentarono ricorso contro i due verbali sostenendo di non essere tenuti «al pagamento della contribuzione» agli «strilloni».

Ma il giudice nel 2000 li rimbalzò, spiegando che il lavoro dei suoi venditori ambulanti di giornali era chiaramente una prestazione di tipo coordinato e continuativo come previsto dall’ articolo 2, comma 26, della legge 335 dell’ 8 agosto 1995, norma che introduceva la figura contributiva dei co.co.co, assoggettandoli a un’ aliquota del 10 per cento, poi cresciuta negli anni.

Così, a decorrere dall’ 1 gennaio 1996, tali soggetti che esercitavano «per professione abituale, ancorché non esclusiva attività di lavoro autonomo» erano «tenuti a iscriversi in un’ apposita gestione separata presso l’ Inps e finalizzata all’ estensione generale e obbligatoria per l’ invalidità la vecchiaia e i superstiti». Tra i nuovi lavoratori autonomi che avrebbero dovuto iscriversi alla gestione separata dell’ Inps, c’ erano anche i venditori ambulanti di giornali.

La toga ribadì, facendo riferimento all’ articolo 7 della legge sull’ editoria del 1987, che l’«apposita materia della vendita dei quotidiani e delle connesse autorizzazioni amministrative ha delineato la figura del venditore ambulante di giornali e ha stabilito che, qualora egli non sia un dipendente dell’ editore, del distributore o dell’ edicolante, allora egli deve “considerarsi in ogni caso” un collaboratore coordinato e continuativo ai sensi e per gli effetti dell’ Irpef sul reddito delle persone fisiche». Un argomento che i Renzi non dovevano aver compreso.

Codice alla mano, il giudice, ricordò ai coniugi Renzi che la nuova «definizione legale e inderogabile» del venditore ambulante di giornali «come lavoratore (quantomeno) “coordinato e continuativo”, prima sul piano fiscale e poi su quello previdenziale, appare come una scelta consapevole del legislatore, diretta appunto ad escludere, sotto il profilo giuridico, la stessa reviviscenza della vecchia e inattuale figura dello “strillone”».

La sentenza del giudice Bronzini ha retto sino in Cassazione. Insomma Renzi senior, che sostiene di aver pagato le tasse (non specifica quali), secondo gli ispettori dell’ Inps e i tribunali, non versava i contributi come invece avrebbe dovuto fare. Durante il processo i genitori di Renzi esibirono un «modulo-contratto» che gli strilloni sottoscrivevano e che secondo il giudice serviva più che altro a farli identificare «con nome, cognome e dati fiscali». Con noi, però, Santoni ha negato di aver firmato alcunché o di aver consegnato ai Renzi il codice fiscale o altro. E ieri, in serata, ha commentato amaro: «Mi hanno detto del post di Tiziano Renzi. Se stava zitto era meglio…». Il padre dell’ ex premier può sbraitare quanto vuole. Ma questi sono i fatti. E saremo ben contenti di spiegarli in tribunale.

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