sabato 1 settembre 2018

"E’ PER COLPA TUA CHE I GIOVANI DEVONO ANDARE ALL’ESTERO A MENDICARE LAVORO": la studentessa che ammazzò Prodi alla conferenza disse la sacrosanta verità




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Carlo Cambi per “la Verità”

Gira in Rete il filmato di una ragazza saggia, per quanto arrabbiata, che apostrofa Romano Prodi: «Non possiamo dimenticare che lei, come presidente dell’ Iri, ha svenduto il patrimonio economico italiano. Lei partecipò in prima persona alla nascita dell’ euro, come premier e come presidente della Commissione europea.

Lei ha svenduto il nostro futuro in cambio di cosa? Abbiamo ottenuto la libertà di andare all’ estero a fare i camerieri o di vivere una vita di precarietà e miseria. Le chiedo che riconosca i suoi errori e magari ci chieda anche scusa».

Vale più di un trattato sulle privatizzazioni il grido di «Cristina, di Rethinking economics di Bologna» perché questa è tutta la verità sul disastro che Romano Prodi, con l’ ottima compagnia di Mario Draghi, Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi e Mario Monti, ha provocato all’ Italia.

La svendita dell’ agroalimentare dell’ Iri è però un capitolo a parte: è la summa del disastro e una tavola ben apparecchiata per gli amici degli amici: Unilever, Benetton, De Benedetti, passando per tutto il sottobosco affaristico prima Dc e poi ulivista.

Il caso Sme è la plastica rappresentazione dell’ incapacità di quelli che sono diventati personaggi dal sapere economico mitologico, «prenditori» protetti da Confindustria e foraggiati da un sistema bancario complice, in azione dal 1985 al 1994.

All’ ombra della Sme – un agglomerato che andava da Motta a Cirio, da Bertolli ad Autogrill, dai surgelati ai supermercati, che nel 1985 fatturava oltre 800 miliardi di lire e dava utili consistenti – si sono consumate vendette, scontri tra cooperative e industrie, il tutto in un turbinare di carte bollate che hanno seguito – in Italia la giustizia va così – il corso degli eventi politici.

Più si consolidava l’ idea dell’ Ulivo con Prodi conducator, più i tribunali si occupavano non del disastro prodotto dal Professore, ma di chi lo aveva contrastato. Dalla svendita Sme sono derivati i due più grandi scandali finanziari della Repubblica italiana: il crac di Parmalat e Cirio, che hanno messo sul lastrico oltre 100.000 risparmiatori, con un buco di oltre 4 miliardi di euro, dando un colpo mortale alla credibilità internazionale del sistema finanziario italiano.

I risparmiatori saranno i veri pelati di Stato, altro che le conserve che Prodi ha svenduto a Sergio Cragnotti, senza passare dal via. Ma ovviamente oggi nessuno ne parla più perché protagonisti di quei casi furono Sergio Cragnotti e Calisto Tanzi, protettissimi dalla Dc e molto amati da Prodi.

Complice ne fu Cesare Geronzi, il padrone di Banca di Roma (abbiamo visto ieri che fu creata apposta per fare da pronta cassa per le svendite prodiane) condannato a 4 anni al termine di un processo durato 15 anni. Dalla disgraziata svendita della Sme è derivata la perdita di centralità del nostro agroalimentare.

Ed è bene sapere che se c’ è il caporalato al Sud, se chi produce latte non ce la fa a tirare avanti, se la grande distribuzione è diventata intoccabile e strozza gli agricoltori, se Francia e Spagna hanno fatto banco sulle nostre eccellenze agroalimentari, tutto questo va sul conto di questa operazione.

La storia è complessa e ci vide lungo Bettino Craxi che al di là della damnatio memoriae costruita dagli ultimi epigoni del Pci, diventati improvvisamente liberisti, ebbe a dire nel 1997 dall’ esilio di Hammamet: «Si presenta l’ Europa come una sorta di paradiso terrestre; l’ Europa per noi, nella migliore delle ipotesi, sarà un limbo, nella peggiore sarà un inferno.

La cosa più ragionevole era pretendere la rinegoziazione dei parametri di Maastricht. Perché se l’ Italia ha bisogno dell’ Europa, l’ Europa ha bisogno dell’ Italia e l’ Italia è un grande Paese».

Sembra la chiosa alla protesta di Cristina e Craxi fu colui che impedì che Prodi regalasse a Carlo De Benedetti tutto l’ agroalimentare italiano per una cifra quattro volte inferiore al valore poi realizzato (probabilmente meno della metà del valore reale).

Tutto ebbe inizio nell’ aprile del 1985 quando Bruno Visentini, repubblicano, viene avvertito da Giancarlo Elia Valori (il grande capo della Sme irizzata) che Prodi, arrivato a presiedere l’ Iri già dal 1982, voleva fare un regalo a Carlo De Benedetti e battezzò l’ affare come «quel pasticciaccio brutto di via Veneto».

C’ era il leit motiv alimentato bene da Prodi che comprava pubblicità sui giornali: lo Stato non può né sfornare i panettoni né fare i pelati, nonostante Pietro Armani, vicepresidente dell’ Iri in quota Pri, e Giancarlo Elia Valori dimostrassero, bilanci alla mano, che la Sme si avviava a produrre buoni utili.

Ma nel frattempo Carlo De Benedetti con la Cir si era comprato la Buitoni-Perugina per 160 miliardi. Un anno dopo la rivenderà alla Nestlé per 1.600 miliardi e si guadagnerà il soprannome di CoBaVe che sta per Compra baratta e vendi. Che il gruppo Buitoni-Perugina sia stato poi spolpato non interessa più a nessuno.

Prodi ha in testa il modello tedesco e per inseguirlo distruggerà l’ economia italiana. Così vuole dare la Sme a De Benedetti per costruire un solo polo dell’ agroalimentare. I due si mettono d’ accordo in gran segreto – Prodi avvertirà solo Clelio Darida, allora ministro dc delle Partecipazioni statali -per una cifra ridicola: De Benedetti offre meno di 1.100 lire ad azione quando la quotazione è di 1.270.

Il 29 aprile del 1985, nelle stanze di Mediobanca, Prodi e De Benedetti firmano, presente Enrico Cuccia, il preliminare d’ acquisto: la Buitoni-Perugina rileva dall’ Iri il 31% di Sme per 397 miliardi e un ulteriore 13% di azioni viene valutato 100 miliardi.

Giorgio Napolitano, allora comunista, fa il diavolo a quattro e parla di furto, Craxi si mette di traverso e blocca tutto. Si organizza una cordata alternativa composta da Silvio Berlusconi, Ferrero e Barilla. La vendita sfuma e ne nasce un contenzioso che va avanti 13 anni e su cui si incardinerà anche il famoso «processo Sme» che terrà il Cav imputato per quasi 10 anni.

Secondo la Procura di Milano aveva comprato le sentenze per impedire il trasferimento della Sme a De Benedetti. Cesare Previti e il giudice Renato Squillante furono condannati, Berlusconi completamente assolto. Ma nessuno ha invece indagato sulla seconda vendita di Sme. Si materializza nel 1993 quando alla presidenza dell’ Iri c’ è Franco Nobili che ha deciso di vendere a pezzi: Italgel, Gs e Autogrill, Cirio-Bertolli-DeRica.

Scoppia Tangentopoli, Antonio Di Pietro arresta Nobili, che resta in galera due mesi e poi viene completamente scagionato, ma tanto basta per far tornare all’ Iri Romano Prodi.

E lui, trovandosi lo spezzatino preparato da Nobili, si bea della vendita della Sme. Ma fa colossali errori ed enormi favori.

Il primo favore è per la Nestlè: gli dà Italgel per 680 miliardi quando Nobili aveva già concordato 750. Il secondo lo fa ai soliti Benetton. Ci sono in ballo gli Autogrill e i veneti, che già pensano ad Autostrade e si portano a casa i ristoranti insieme ai supermercati Gs. Ai Benetton vanno anche i ristoranti Ciao, il marchio Pavesi e proprietà immobiliari.

Tutto per 740 miliardi. Rivenderanno i supermercati al gruppo francese Carrefour – di fatto aprendo le porte dell’ Italia alla grande distribuzione d’ Oltralpe per 5.000 miliardi di lire.

Secondo due procure, Perugia e Salerno, ai Benetton alla fine sono rimasti in tasca poco meno di 5.000 miliardi di lire e la rete Autogrill. Ma lo scandalo vero è la privatizzazione della Cdb (Cirio-Bertolli-De Rica).

Prodi la mette a bando per un valore di 380 miliardi, la metà di quello stimato dagli advisor.

Si fa avanti subito la Granarolo (Legacoop), ma Prodi sa già a chi vuole vendere. Il Pci cerca d’ impallinarlo ma lui resiste: i pomodori sono per Cragnotti, il latte per Tanzi, ma serve un intermediario per non farla troppo sporca.

Compare così Carlo Saverio Lamiranda di Acerenza, pupillo di Ciriaco De Mita. La sua cooperativa Fisvi raggruppa produttori di pomodori e ha un capitale sociale di 50 milioni di lire. Eppure Prodi prosegue con Lamiranda, che si fa dare da Cesare Geronzi una fideiussione da 50 miliardi.

Prodi assegna alla Fisvi le quote e prima che la finanziaria delle coop agricole lucane abbia pagato una sola lira Lamiranda gira la Bertolli (il più prestigioso marchio di olio d’ Italia) alla Unilever per 253 miliardi. Unilever, di cui Prodi è stato consulente fino a poco prima di tornare all’ Iri, rivenderà poi agli spagnoli guadagnandoci un centinaio di miliardi.

Con i soldi di Bertolli, Lamiranda paga la prima tranche all’ Iri, poi costituisce con Cragnotti la Sagrit girandogli la Cirio. L’ affare viene fatto, presente Prodi, nell’ ufficio di Cesare Geronzi, che di fatto presta a Cragnotti, via Lamiranda, i soldi per comprare la Cirio e il latte. Cragnotti poi girerà a Parmalat il latte, realizzando una plusvalenza fittizia che è alla base del crac di Cirio e Parmalat.

Lamiranda resta con pochi spiccioli, ma soprattutto finirà processato: il classico pesce piccolo che paga per tutti. Il 24 febbraio del 1996 Prodi riceve un mandato di comparizione dal pm romano Giuseppe Geremia per abuso d’ ufficio.

Geremia a novembre chiederà il rinvio a giudizio, ma di quel procedimento si sono perse le tracce. Come nessuno ha mai indagato su quanto denunciato dal Telegraph. Secondo il quotidiano britannico nel 1994 Unilever fece un bonifico di 4 miliardi alla società di studi economici Asa di Romano Prodi e della moglie Flavia, via Goldman Sachs. Perché? A nessuno è interessato saperlo.

Come a nessuno è interessato sapere che dalla privatizzazione a spezzatino inventata da Nobili lo Stato incassò più di 2.000 miliardi: dieci anni prima Prodi voleva dare la Sme a De Benedetti per una cifra quattro volte inferiore.

Ma soprattutto a nessuno interessa che, smembrata la Sme, la grande distribuzione oggi non è più italiana: la Parmalat è di Lactalis e la Bertolli è degli spagnoli. E tutti lucrano sui nostri agricoltori. Ha ragione Cristina: «Hanno svenduto il futuro in cambio di che cosa?».

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