mercoledì 7 marzo 2018
"Luigi, uno di noi": ora sono diventati tutti grillini
C.Zap. per il Corriere della Sera) – Prima delle elezioni, a domanda diretta, aveva detto di preferire Silvio Berlusconi a Luigi Di Maio. A urne chiuse, di fronte al dilemma sulla figura cui affidare il governo («meglio Salvini o Di Maio?» gli ha chiesto ieri sera Giovanni Floris a DiMartedì su La7), il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari a sorpresa ha scelto il capo politico del Movimento 5 Stelle, spiegando di aver cambiato opinione sul suo conto, con un giudizio destinato a riaccendere le polemiche come già nelle scorse settimane.
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«Un tempo li consideravo uguali. Nel senso che non si potevano votare. Perché erano al centro uno della chiusura e l’ altro, il movimento grillino, del populismo. Oggi tra Salvini, che è quello di prima, e Di Maio che sembra radicalmente cambiato, sceglierei Di Maio». Secondo l’ ex direttore lo scenario è cambiato.
«Di Maio ha dimostrato – ha sostenuto Scalfari ieri in tv – un’ intelligenza politica notevole, perché di fatto il Movimento è diventato un partito. Lui addirittura ha steso la lista dei ministri e l’ ha voluta portare al Quirinale». «Facendo un’ alleanza con il Pd – ha aggiunto il giornalista- non è che ci sono due partiti, diventa un unico partito. Di Maio è il grande partito della sinistra moderna. Allora la faccenda cambia: se lui diventa la sinistra italiana voterò per questo partito».
Se «questo partito (quello che nascerebbe dall’ alleanza Pd-M5S, ndr ) diventasse un partito di maggioranza assoluta, il presidente Mattarella avrebbe un governo che ha la maggioranza assoluta. Renzi ha detto no, ma Di Maio non parla di alleanza con Renzi ma di alleanza con il Partito democratico». Ma al momento, ha concluso, «il Pd è in uno stato di abbattimento, l’ abbattimento porta alla confusione. Il Pd è un partito confuso».
SPOSETTI: «RENZI? LA BASE LO PROCESSI UN ESECUTIVO SERVE, M5S NON PERICOLOSI»
Tommaso Labate per il Corriere della Sera) – «Renzi e l’attuale direzione del Pd non sono degni di affrontare il dibattito su quello che dovrà fare da ora il partito. Sono indegni. Lui e la sua cerchia sono delinquenti seriali che hanno distrutto la sinistra e rotto l’idea di comunità. Proporrò la costituzione di “Comitati 5 marzo” per la rinascita del Pd. I circoli devono autoconvocarsi per esaminare il risultato elettorale ed elaborare proposte per tornare a essere un partito vero. Renzi va processato. Ha capito bene, pro-ces-sa-to».
Ugo Sposetti ha sempre pesato le parole. E per lo storico tesoriere del Ds, senatore uscente del Pd, «partito» e «segretario» sono parole sacre. Se oggi parla «di processare Renzi», citando il Pasolini del processo alla Dc, è perché «ci ha portati in una situazione peggioreaquella del ’48. Qua non è rimasto nulla. Lui ha distrutto tutto».
Perché, secondo lei?
«La sconfitta di domenica è figlia di arroganza politica, boria, pressappochismo, visione miope».
In fondo, ogni sconfitta…
«Questa sconfitta non è “ogni sconfitta”. Dietro questa c’è anche l’insano gusto del potere che pervade ogni azione di Renzi».
Renzi ha annunciato le dimissioni.
«Ma quali dimissioni? Tutto quello che sta facendo Renzi in questi giorni e in queste ore è dettato da un vero e disgustoso attaccamento alla poltrona. Per questo non esiste altra via che quella di un vero e proprio processo politico a Renzi da parte della nostra gente».
Non lo chiama più segretario, eppure ha rifiutato di seguire D’Alema.
«La scissione è stata sbagliata e infatti ha generato risultati disastrosi. Quanto a Renzi, è solo uno a cui bisogna ribellarsi subito. Lo sa che hanno fatto la sera delle candidature? Si erano accorti che non avevano un numero sufficiente di donne nelle liste e le hanno inzeppate di pluricandidature della Boschi, della De Giorgi. Tutto per eleggere altri maschi fedeli e senza che le donne alzassero un dito per protestare contro questo scempio. Ma è politica, questa? E non dimentico scelte come Casini a Bologna».
Casini però ha vinto.
«Casini ha profanato le case del popolo. Lo scriva bene. E io, dov’è passato Casini, adesso devo andare a pulire».
Chi dovrebbe decidere cosa deve fare il Pd adesso?
«Si formino i gruppi parlamentari. Si autoconvochino, votino, decidano».
Lei che cosa farebbe?
«Io non mi sono ricandidato. Il 60% degli italiani ha votato per abbattere un regime. E sa chi era quel regime? Era il Pd di Renzi. Io con i regimi non ho nulla a che fare».
Il Pd dovrebbe sostenere un governo?
«Il Paese ha bisogno di un governo».
Di Maio sarebbe in grado?
«Ricordo trent’anni fa quando osservavo in Senato Bossi, da solo, il primo leghista piombato a Roma. Perché io osservo, sa? Ho osservato anche i Cinque Stelle. Sono migliorati molto negli ultimi cinque anni. Non sono pericolosi né li ho mai considerati un pericolo».
Le hanno fatto la guerra sui vitalizi, Sposetti.
«Quella è la loro legittima battaglia politica, che io ovviamente non condivido. Ma va riconosciuto che fanno battaglie politiche, loro. Non personali».
Altro riferimento a Renzi?
«A Renzi va soltanto impedito di fare altri danni a se stesso, al partito, alla sinistra, al Paese».
Chi dopo di lui?
«Non è l’ora di nomi».
Sulla scrivania ha i ritagli sulla vittoria di Zingaretti.
«Da cittadino del Lazio spero che continui a governare bene. Da militante apprezzo la sua capacità di aver tenuto insieme la sinistra, portandola alla vittoria».
Calenda ha preso la tessera del Pd.
«C’è bisogno di gente che voglia dare una mano».
NON ABBIAMO PAURA DI VOI
(Estratto dell’articolo di Paola Zanca per il Fatto Quotidiano) – Giusto il tempo di leggere il titolo del commento a pagina 11 del Financial Times – “L’ Italia manda un segnale schiacciante alle sue élite ” – e le élite italiane hanno mandato il loro, di messaggio. E per dirla con il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, tra Salvini e Di Maio, scelgono Di Maio. Meglio i Cinque Stelle, gli ex barbari che si sono messi giacca e cravatta e che adesso sono più rassicuranti del nuovo capo del centrodestra.
[…] In quel che resta del Nord produttivo, la campagna elettorale dei grillini è stata un lungo e proficuo tour di incontri con gli industriali: “Siamo andati a farci toccare – raccontano – a dire: ‘Lo vedi? Non c’è da aver paura’, a spiegare le nostre idee”. E ieri, puntuale, è arrivata la benedizione.
Dice Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, che “un partito democratico non fa paura” e che insomma, tolta la faccenda del Jobs Act (“smontarlo significa rallentare”) e del freno tirato sulle infrastrutture (“Stiamo attenti: collegano le periferie al centro”), con un governo così si potrebbe parlare. Perfino il reddito di cittadinanza diventa una variabile da poter prendere in considerazione perché “bisogna vedere cosa hanno veramente in mente di fare”.
[…] Ora però, nelle reciproche relazioni, c’ è un salto di qualità. E Sergio Marchionne, l’amministratore delegato di Fca, chiarisce al mondo: “I Cinque Stelle? Non mi spaventano, ne abbiamo viste di peggio”. Poi la butta là – ma qui è merito solo di una coincidenza spazio temporale – che nello stabilimento di Pomigliano, la città natale dell’ aspirante premier grillino, “può darsi” che a giugno arrivi la notizia che si produrrà una nuova Jeep.
[…]Ieri, oltre a Boccia e Marchionne, hanno parlato l’ad di Unicredit Jean Pierre Mustier (“secondo noi la crescita proseguirà”), l’ ad di Saipem Stefano Cao (“grande serenità”, anche per il cantiere della Tap), l’ economista francese, ex commissario europeo, Pascal Lamy (“I Cinquestelle non sono proprio la Le Pen, per essere chiari”), il cardinale di Stato vaticano Pietro Parolin (“La Santa Sede deve lavorare nelle condizioni che si presentano”). A sera la parola fine la mette Piazza Affari: l’indice Ftse-Mib chiude +1,75%. Luigi, uno di noi.
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