mercoledì 20 settembre 2017

Verdini vuole legge elettorale anti-M5S: "Ecco cosa dobbiamo fare


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(Alessandro De Angelis – huffingtonpost.it) – La “mossa” consiste nel tentare un accordo sulla legge elettorale che qualche mese fa fu messa da parte nella generale indignazione. Per passare al mitico “modello tedesco”. È la legge pensata da Denis Verdini, anche se nella nuova versione è parzialmente corretta, in peggio, nel senso che aumenta il numero dei “nominati”. Corretta e, ovviamente, ribattezzata come Rosatellum, o Rosatellum bis, dal nome del capogruppo alla Camera del Pd. Qualche sera fa, partecipando alla festa del proprietario di cliniche ed editore di Libero Antonio Angelucci, proprio Verdini spiegava che il tentativo è serio: “Se Silvio capisce che con questa legge prende gli stessi seggi che prende col proporzionale e anche qualcuno di più, ci sta. Va convinto”. L’altro corno del suo ragionamento, riferiscono diversi presenti, è questo: “La legge è perfetta per fottere i cinque Stelle”.


Ecco la proposta del Pd che giovedì sarà presentata in commissione Affari costituzionali e, al momento, ha entusiasmato solo la Lega. E attorno alla quale è in atto un forte pressing su Silvio Berlusconi. La maggioranza dei parlamentari, il 65 per cento, viene eletta con un sistema proporzionale, senza preferenze. Il 35 in collegi uninominali dove passa chi arriva primo. Unica scheda elettorale, niente voto disgiunto. Per gli amanti del genere, la prima proposta di Verdini era 50 e 50. I più smaliziati l’hanno già ribattezzato “imbrogliellum”, che nulla ha a che fare con la legge scritta dall’attuale capo dello Stato all’inizio degli anni Novanta, molto citata in questi giorni, che era maggioritaria vera.

Vediamo perché. Punto primo: il grosso dei parlamentari viene nominato col proporzionale (e il numero è stato aumentato proprio per provare a convincere Berlusconi). Punto secondo: il maggioritario c’è come strumento per arraffare voti, ma non come logica politica. Nel senso che la legge su cui è in corso la trattativa non prevede, e non è un dettaglio, l’obbligo di un programma comune, l’indicazione di un candidato premier. Addirittura, si prevedono alleanze a geometria variabile. In modo che magari a Milano ci si allea con Pisapia e a Palermo con Alfano. Punto terzo: non c’è la possibilità del doppio voto, il cosiddetto disgiunto. Il che significa (a differenza della legge scritta diversi lustri fa da Mattarella) che c’è un voto unico che si trasferisce dal candidato nel collegio alla lista che lo sostiene: un incentivo potente al voto utile.

Le tre cose creano un meccanismo evidentemente penalizzante per i cinque Stelle. In sostanza, è stato detto a Berlusconi, attraverso i suoi ambasciatori: “Col proporzionale ti nomini il gruppo. Poi è evidente che i 300 collegi del maggioritario ce li spartiamo tra centrodestra e centrosinistra. Il centrodestra si prende il nord, il centrosinistra il centro. E al sud ce la si gioca”. Insomma, detta in modo semplice, la quota maggioritaria diventa una sorta di premio di lista da spartirsi tra i partiti maggiori, penalizzando quello che ha meno radicamento sul territorio.

Prosegue Verdini, tra una tartina e uno champagne: “Silvio non si vuole sedere al tavolo con la Lega, ma con questo sistema evita il listone. E, non essendo una coalizione vera, una volta che ha eletto i parlamentari apre alle larghe intese. Bisogna solo convincerlo, numeri alla mano, che non perde un seggio rispetto a quelli che incasserebbe con l’attuale. Il Cavaliere però, al momento non è convinto perché non ha capito quali sono le reali intenzioni di Renzi: se il segretario del Pd fa sul serio, se vuole invece dimostrare che questo parlamento non è in grado di fare nulla perché non è affatto detto che ci siano i numeri, nel voto segreto. Pressato dal blocco del Nord che sogna di fare il pieno come ai bei tempi e la rivolta dei parlamentari del Sud, non ha alcuna fretta di chiudere. Anche perché non ha alcuna fretta di andare al voto dopo la legge di stabilità visto che in primavera si giocherà la partita della riabilitazione: “Chi l’ha detto – dicono ad Arcore – che si va a votare il 4 marzo come va dicendo Renzi? C’è tempo”.

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