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di Franco Bechis – limbeccata.it) – In gran parte dell’Italia la tassa è del 10%. In qualche provincia oscilla fra il 15 e il 18% A Mantova però c’è lo sconto: 8%. In Veneto va ancora più di lusso: 6%. A Siena invece è una mezza tragedia: 30%. Un manager pubblico deve stare attento alle composizioni
delle giunte comunali, di città metropolitane, province e Regioni. Perché se lì comanda il Pd, scatta quella tassa: una parte dello stipendio che prenderà per fare il presidente, l’amministratore delegato, il direttore generale, il consigliere di amministrazione o il revisore dei conti deve essere versata nelle casse locali del partito di cui è segretario Matteo Renzi.
Così è scritto nei singoli regolamenti finanziari del Pd, il solo partito in Italia che stabilisce una regola così border line non solo per i propri eletti o chiamati ad incarichi di governo, ma anche per i “nominati” e i “designati” con il contributo determinante del partito ad incarichi in enti e società pubbliche, perfino di diritto privato. Una tassa impropria, che potrebbe apparire un ricatto verso professionisti e che indica una concezione proprietaria dell’ente pubblico, con il solo pregio di bandire ogni ipocrisia.
Nei suoi regolamenti interni il Pd fa piazza pulita di tanta retorica che i suoi stessi esponenti spargono in dichiarazioni pubbliche quando si nomina questo o quel professionista in vari cda pubblici. Contano zero i grandi curricula, sono negative le caratteristiche di indipendenza, si bada al sodo: se vuoi quella poltrona, prima devi garantire al partito che farà il tuo nome il ritorno finanziario, il pagamento di quella tassa. E alcuni regolamenti di federazioni locali del Pd prevedono espressamente, scrivendola nero su bianco la punizione in caso di mancato pagamento anche parziale della tassa “politica”: il tizio si può scordare un altro incarico pubblico se il Pd sarà decisivo nella scelta.
La vetta più straordinaria la tocca il Partito democratico di Cremona, che oltre al regolamento finanziario per la tassa sul nominato o designato, ha approvato anche un esilarante (non si parlasse di argomenti così seri) documento di tre paginette con le “Linee guida per la scelta dei soggetti da indicare ai fini della nomina nei consigli di amministrazione di società pubbliche e /o a partecipazione pubblica”. Il culmine si tocca nel comma 5 del documento sulle “norme di comportamento a cui il nominato/a dovrà attenersi”: nessuna differenza sessista in questa scelta di fare carta straccia di norme del codice civile e anche un po’ del codice penale italiano.
Il Pd di Cremona spiega che “una volta effettuata la designazione il nominato dovrà sottoscrivere per accettazione un documento contenente le regole di comportamento che dovrà adottare”. Ed ecco qui le regole che fanno impallidire i contratti firmati dai candidati M5s con la Casaleggio & associati. Ovviamente c’è espressa la tassa, visto che il nominato in un cda pubblico dovrà “contribuire al sostentamento del Partito in conformità con quanto stabilito dai regolamenti nazionali e regionali”, impegnandosi per altro a “rispettare il limite di mandato, ovvero non potrà accettare più di due mandati nel medesimo ente”
Non solo: il manager potrà essere anche l’uomo guida della più importante municipalizzata, che magari è quotata in borsa, ma dovrà avere come primo riferimento il partito a cui deve quell’incarico. Garantendo “la propria disponibilità ogni qual volta venga chiamato a rendere informazioni o comunicazioni agli organismi del partito che lo richiedano”. Di più: il poveretto- pur essendo in regola con i versamenti e molto gentile, dovrà rinunciare ad ogni autonomia intellettuale.
Perché nel contratto con il Pd per essere nominato firma una condizione -capestro: “nel caso di gravi difformità fra le proprie scelte all’interno del cda di appartenenza e gli orientamenti politici espressi dalla segreteria provinciale, è dovuto un confronto con gli organismi di designazione”. Il culmine però è un altro ancora: il manager dovrà garantire al Pd di “tenere una condotta sobria e decorosa nella vita pubblica e privata”. Sì anche privata: il Pd per nominarti in quel cda non vuole che tu possa avere amanti, vada in discoteca, magari bevi qualche goccio in più in una serata con amici. E chissà se avrà da ridire su qualche vestito variopinto in vacanza…
Ps. Provate ad immaginare la stessa scena a Roma. Per nominare l’amministratore delegato di Acea o Atac il manager deve concorrere a un’asta promossa dalla Casaleggio & associati e firmare un contratto con loro anche solo per un posto in cda in una qualsiasi delle municipalizzate della città guidata da Virginia Raggi. Nel contratto il manager per ottenere il posto si impegna a versare il 10% minimo del suo stipendio alla Casaleggio, poi ad andare a Milano a prendere la linea prima di qualsiasi cda, e pure a stabilire alcuni punti fissi nella vita privata: niente serate mondane, niente amanti o fidanzate non gradite, abiti approvati dalla Casaleggio, e così via. Quante dichiarazioni di fuoco sentiremmo dalle suffragette Pd? Già. Ma è solo il Nazareno a fare firmare contratti così…
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